Farfalle nell'ambra di Oreste Del Buono

Farfalle nell'ambra LA FANTASCIENZA E I VOLI SPAZIALI Farfalle nell'ambra «Il 21 luglio 1969 gli innumerevoli racconti fantascientifici sul primo sbarco sulla Luna diventarono prigionieri del tempo come farfalle nell'ambra» ha scritto Arthur C. Clarice, scienziato inglese di qualche rispetto, laureato in fisica, matematica e astronomia applicata, fondatore della British Interplanetary Society, grande divulgatore, ma noto soprattutto come autore di fantascienza, e lo ha scritto proprio nell'introduzione a una ristampa, dopo l'Apollo 11, di un suo romanzo del 1951, «Preludio allo spazio». «Ora possiamo considerarli in una nuova prospettiva e magari con un nuovo interesse, poiché sappiamo come è realmente avvenuto il primo sbarco e possiamo giudicare l'esattezza della predizione...» era un modo di compiacersi e giustificarsi, ma anche un modo di dare l'addio a tutta una produzione narrativa di buono o meno buono livello, spesso di infimo, che aveva preteso di anticipare il futuro. Le farfalle fantascientifiche già smarrivano i loro colori nell'ambra che le imprigionava. La targa metallica lasciata sulla Luna, nel Mare della Tranquillità, oltre a una balla sulle buone intenzioni del genere umano, faceva balenare l'epitaffio di un filone di successo della letteratura di consumo: «Qui uomini del pianeta Terra I per primi misero piede sulla Luna I luglio 1969 I siamo venuti in pace I per tutta l'umanità...... * * Del resto, i migliori autori di fantascienza, i più vecchi e marpioni, i più giovani e intolleranti, avevano già dato per scontato da tempo ogni tipo di viaggio spaziale, relative difficoltà, relative vicissitudini, relative conseguenze. Riguardo al trasferimento nello spazio dei loro vari eroi avevano ormai la stessa indifferenza che avevano avuto i precursori della fantascienza a partire da Luciano di Samosata, Siria II secolo, che nel dialogo «IcaroMenippo» aveva fatto così formulare la ricetta di volo al suo loquace personaggio: «Quel trucco delle ali di Icaro, l'ho adoperato anch'io... Icaro s'appiccò le ali con la cera, che si liquefece al sole, e, spennacchiato, dovette cadere, ma le mie brave ali non erano appiccate con la cera... Presi una grande aquila e un forte avvoltoio, e. tagliate loro le ali, le sole proporzionate al corpo d'un uomo, l'ala destra dell'aquila e l'ala sinistra dell'avvoltoio, le congiunsi, me le attaccai agli omeri con robuste corregge, adattai alle punte un marchingegno per tenerle con le mani, e feci la prima prova, saltellando e agitando per aiutarmi con le braccia..., come le oche che appena si levan di terra, io andavo su le punte dei piedi e sbattevo l'ali... Accortomi che riuscivo a qualcosa, diventai più ardito, e, montato su la cittadella, mi buttai giù, e venni sin sopra il teatro. Fatto questo volo senza pericolo, ne tentai altri più lontani e più alti: e, spiccatomi dal V amelo e dall'I metto andavo librato sino al Geranio, e di là sopra l'Acrocorinto, e poi sul Foloe, sull'Erimanto, sino al Taigete. L'esercizio mi crebbe l'ardire, e l'arte, e la forza di montar più su...». L'indifferenza dei precursori della fantascienza era data dalla loro assoluta incredulità in qualsiasi eventualità di realizzazione futura di un viaggio del genere, l'indifferenza dei continuatori della fantascienza è data dalla constatazione che un viaggio del genere ormai si è realizzato, è realizzabile tutte le volte che si vorrà realizzarlo, se si avranno i mezzi e le ragioni, non proprio o comunque non completamente umanitarie, di realizzarlo. Con il 1969 il viaggio spaziale tende a luccicare nella memoria essenzialmente come un grandioso spettacolo televisivo in grado di imporsi appunto per grandiosità, e diffusione simultanea a romanzi, fumetti e film che lo hanno preceduto bene o male. Eppure il 1968 era stato, tra le tante altre cose, l'anno di «2001: odissea nello spazio» di Stanley Kubrick, il meraviglioso film tratto da un racconto di Arthur C. Clarke, «La sentinella» del 1951 e dilatato, a furor di qualità d'artigianato e profondità di sentimento, necessità fede e urgenza d'arte, a una suggestiva, anche se inquietante sintesi di passato, presente e futuro dell'umanità. * * Ma nel 1969 la televisione ha stretto un'alleanza con l'astronautica, proclamandosi parte di una stessa tecnologia e di uno stesso progresso. Il pessimismo di Stanley Kubrick è stato combattuto con un mezzo antiquato. Fantascienza, nel senso di scienza finta. La parte sbagliata. Dalla parte giusta, invece, stava la verità. La televisione garantiva l'effettiva realizzazione del viaggio, la realtà inconfutabile. La realtà contro l'immaginazione, matrice di sogni, ma anche di dubbi. La moltitudine degli spettatori è stata coinvolta nella vittoria della scienza, dell'ottimismo. Non che. per l'esattezza, si sia visto molto, il 21 luglio 1969, di quei primi passi di Neil A. Armstrong, comandante di Apollo 11, sulla Luna. La visione garantita esatta delle imprese spaziali era allucinogena. Puntini di luce e di oscurità smarriti nel grande nulla, colori più o meno impazziti, fantasmi di involucri che goffamente simulavano la vita extraterrestre. E parole, a interpretarli, parole, una quantità, un diluvio, un'infinità di parole pronunciate da telecronisti più o meno preparati, commentatori scientifici e parascientifici, personalità di pronto intervento, tuttologi al minuto e all'ingrosso radunati, incentivati, aizzati a dirci quello che dovevamo vedere, che dovevamo aver visto, quello che dovevamo aver sentito, che dovevamo sentire. L'entusiasmo dei telespettatori nel 1969 è stato indubbiamente sincero, ma la fede è stata imposta dalla violenza della televisione, il più violento tra i media, il più autoritario, il più refrattario alla democrazia, al rispetto delle facoltà umane di ragionare, di farsi una convinzione per proprio conto senza subire il commento, l'imposizione, l'ammonimento continuo di un'altra opinione. E l'immaginazione? Ovvio che l'immaginazione, la fantascienza ortodossa o non ortodossa, la fantasticheria, pura e semplice, era costretta a cercare vie diverse, dando peggio che scontato il viaggio spaziale. Peggio che scontato nel senso che, proprio perché ormai effettivamente e inconfutabilmente realizzato, non gli veniva più attribuita la minima opportunità di risolvere le questioni assillanti della sopravvivenza umana. Non a caso il successivo film di Stanley Kubrick nel 1971 è stato «Arancia meccanica» incubo fantascien¬ tifico di ben altra fantascienza, tratto da un romanzo del 1962 di Anthony Burgess e imperniato sull'orrore delle tecniche di controllo mentale esperimentabili su chiunque nella società di massa, la società capace di creare presunti mostri come presunti angeli, capri espiatori, comunque. E il viaggio spaziale appena trionfalmente concluso? Dipende dal punto di vista. Lo stesso giorno in cui la navetta Columbia è atterrata a velocità doppia del suono, gli abitanti di Milano, a esempio, per rincasare dal lavoro, hanno avuto il loro da fare a causa dello sciopero della metropolitana. Ingorghi di macchine, incidenti a catena, grovigli lacerocontusi di biciclette, scarpinate forsennate nel torrido aprile, ed eccoli lì. a riprender fiato davanti alla televisione. E la televisione trasmetteva l'immagine della Columbia, lieve piuma di candido sparviero della colonizzazione cosmica, finalmente un'immagine nitida e splendente che nessuna delle troppe parole di commento sprecate riusciva a offuscare. I milanesi accasciati hanno indubbiamente percepito in quest'impresa spaziale inaugurante una nuova era qualcosa di fantascientifico, che concerneva il particolare più straordinario dell'evento: la Columbia atterrava puntualmente quanto soavemente all'ora stabilita nel posto stabilito. Puntualmente, qualcosa di fantascientifico, s'è detto, occorre aggiungere che si tratta di fantascientificità di tipo improprio? Ma, insomma, è quanto passa il convento. Oreste del Buono

Persone citate: Anthony Burgess, Armstrong, Arthur C. Clarice, Arthur C. Clarke, Icaro, Stanley Kubrick

Luoghi citati: Columbia, Milano, Siria