Una navicella italiana ricoperta d'oro sarà il primo «cliente» dello Shuttle

Una navicella italiana ricoperta d'oro sarà il primo «cliente» dello Shuttle Parlando dello spazio con i nostri ricercatori e tecnici Una navicella italiana ricoperta d'oro sarà il primo «cliente» dello Shuttle Sull'impresa dello «Shuttle» abbiamo rivolto alcune domande a personalità di primo piano della scienza e della ricerca spaziale italiane. — L'Italia non ha partecipato direttamente alla realizzazione dello «Shuttle»; perché tanto interesse al suo successo? «Perché l'industria italiana è impegnata, insieme con l'America, con il Giappone e con le principali nazioni europee, nel cosiddetto progetto "Spacelab", cioè il laboratorio spaziale che verrà posto in orbita proprio dallo "Shuttle" entro il 1983. Un fallimento avrebbe messo in pericolo ogni cosa — chi risponde è l'ing. Giuseppe Viriglio, responsabile all'Aeritalia del progetto Spacelab —. Questo "Spacelab" è come una cabina pressurizzata da inserirsi nella stiva dello "Shuttle", entro la quale opereranno i piloti e scienziati della Nasa per le numerose e varie esperienze da effettuare in orbita. Per questo laboratorio che almeno in un primo momento non deve andare da solo nello spazio, l'Aeritalia costruisce la struttura portante, cioè l'involucro, il rivestimento interno e il controllo termico attivo e passivo». — Si tratta delle famose «tegole» dello «Shuttle»? «Assolutamente no — risponde il dott. Saverio Lioy. responsabile del controllo termico — anche se già negli Anni 70 l'Aeritalia ha avuto un contratto di ricerca dell'Ente spaziale europeo per i materiali refrattari. Nel nostro caso parliamo di "coperte isolanti" costituite da un foglio di plastica rivestite d'oro. Queste coperte sono applicate all'esterno dello "Spacelab" e mantengono la temperatura nei limiti voluti-. — E perché questa plastica dorata non va bene per lo «Shuttle»? «Perché nel caso dello "Shuttle" si t>a sui 1600 gradi, doimti all'attrito nel momento del rientro, mentre le coperte dorate servono nello spazio vuoto, allorché il "Lab" sarà in orbita e le temperature in gioco vanno dai meno 270 ai più 150gradi». — E' un materiale costoso? «Pensi che ogni metro quadro richiede due grammi d'oro — risponde ancora il dott. Lioy — e ce ne vogliono tremila metri«. — E che cosa fa ancora l'Aeritalia per lo «Spacelab»? «Facciamo il controllo termico attivo, cioè gli apparecchi che servono a mantenere la temperatura interna più. o meno sui venti gradi. I singoli componenti, pompe, scambiatori di calore, piastre refrigeranti, sono costruite dalla Microtecnica e sono cosi perfezionati che la Nasa ha chiesto di comprarli per i propri scopi». — A quanto è ammontato, finora, il totale delle commesse affidate all'Aeritalia per le ricerche spaziali? «Per ora siamo sui 90 miliardi». — Anche la Fiat è impegnata nel progetto Spacelab che —ricordiamo — è strettamente legato allo «Shuttle». Ci risponde il dott. Galotto, responsabile del dipartimento materiali e tecnologie del Centro ricerche Fiat. «Certamente. Con un mezzo simile alla navetta spaziale "Columbia" verrà messo in orbita, nel 1983, lo "Spacelab". Nello "Spacelab", appunto, funzionerà un complesso sistema per Io studio dei fluidi in assenza di gravità, realizzato dal Centro ricerche Fiat. «Il "Fluid Physics Module". uno dei più rilevanti contributi italiani (e della Fiat in particolare) al piano spaziale euro-americano Esa-Nasa. permetterà una migliore conoscenza delle proprietà (quali viscosità, fenomeni di ebollizione e vaporizzazione, calori specifici) dei liquidi senza la presenza della forza di gravità che ha ripercussioni sulle loro proprietà fisico-chimiche. «I l'antaggi che ne deriveranno saranno notevoli ed evidenti, soprattutto nella risoluzione di problemi quali ad esempio quello della lubrificazione dei macchinari e dei motori, degli scambi termici nelle centrali di potenza, ecc. «Il "Fluid Physics Module" ha richiesto, oltre a complessi calcoli di natura strutturale effettuati mediante i grossi calcolatori Fiat di None per un equivalente di un centinaio di ore di tempo di calcolo, anche l'utilizzazione, da parte del Centro ricerche Fiat, di tecnologie ai limiti del conosciuto e del realizzabile. «Molto gravosa — conclude il dott. Galotto — è stata anche l'attività di coordinamento di questo complesso progetto, che ha richiesto un lavoro di gruppo di specialisti in numerose discipline». — Lo «Shuttle» comprende un'infinità di strumenti, calcolatori, sensori, telecamere, materiali termoresistenti ecc. Può dirmi se molti particolari sono tenuti segreti? «Bisogna distinguere — risponde qui l'ing. Paolo Piantella. responsabile del "Modulo" dello Spacelab —. Non esiste assolutamente alcun segreto di carattere militare, nello "Shuttle", ma esiste un segreto industriale. Per esempio noi dell'Aeritatia abbiamo realizzato, unici in Europa, un processo di saldatura automatica di particolari materiali: questo processo viene tenuto riservato e non rivelato a nessuno. Ciò può accedere anche per qualche apparecchio o materiale dello "Shuttle". La Nasa è un ente civile e segue le regole dell'industria ch'ile». — Uno degli scopi dello «Shuttle» è ovviamente quello di facilitare la realizzazione di una grande base spaziale, utilizzabile da interi gruppi di scienziati, e che possa anche servire come rampa di lancio per la Luna e i pianeti. Esiste qualche piano in questo senso? «Certamente — risponde il prof. Viriglio —. C'è più di un piano proprio per lo sviluppo di grandi piattaforme spaziali abitate. Proprio in questi giorni si stanno fissando (in collaborazione con gli Usa e l'Ente spaziale europeo) le linee per la progettazione concreta: l'Aeritalia è presente con un suo piano già ben delineato». — Questa piattaforma, quand'e che potremo vederla in opera? • Diciamo negli Anni 90. Tutto è condizionato, in ultima analisi, al successo dello "Shuttle"». Una domanda suggeritaci da molli lettori: «E' possibile vedere le navette con i tele scopi terrestri?». «In favorevoli condizioni di luce — risponde l'astronomo Paolo Maffei — le navette costituiscono un punto luminoso die può essere seguito da Terra con gli strumenti ottici a disposizione. In pratica perù gli osservatori astronomici non se ne occupano. 1 telescopi sono sufficientemente potenti, ma sono montati equatorialmente e sono usati per seguire oggetti celesti che si muovono molto lentamente. «Le navette si muovono invece in maniera diversa e molto rapidamente. Non è quindi possibile, né sarebbe di alcuna utilità pratica, cercare di inseguirle con strumenti complessi, imponenti, difficili da maneggiare e lenti nei movimenti come il telescopio di Monte Palomar. Molto meglio ricorrere a macchine fotografiche o a telecamere a largo campo e di una certa luminosità. Tanti satelliti sono stati visti cosi, anche se apparivano soltanto come puntini luminosi». Infine una domanda al prof. Luigi Broglio: «Il programma "Space Shuttle" favorisce i progetti italiani per lo spazio?». «Le navette lanciate da Capo Canaveral possono portare in orbita soltanto carichi utili (satelliti per telecomunicazioni, per esempio) che viaggeranno poi su orbite inclinate rispetto all'Equatore. Riman¬ gono cosi escluse le orbite polari e quelle equatoriali, mentre a partire dal 1986 le prime potranno essere sfruttate dalle navette lanciate dal nuovo poligono in costruzione sulla costa del Pacifico, quelle equatoriali resteranno escluse alla Nasa ancora per molti anni. «Vettori come il "San Marco Scout", lanciati dal nostro poligono equatoriale di Mombasa. consentono invece di lanciare satelliti su tutte le orbite, comprese quelle equatoriali. Per questo abbiamo allo studio programmi che prevedono contemporaneamente in orbita la navetta spaziale e un satellite lanciato dal "San Marco". Il sistema potrà aiutarci a sviluppare le tecniche che usano lo spazio come laboratorio scientifico naturale e quelle per le misure dei movimenti tettonici in vista della previsione dei sismi». Umberto Oddone

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