Moretti parla con i magistrati ma solo dei tempo e di politica di Clemente Granata

Moretti parla con i magistrati ma solo dei tempo e di politica Contestati al capo br numerosi attentati e omicidi Moretti parla con i magistrati ma solo dei tempo e di politica Il giovane rifiuta di rispondere quando i giudici gli notificano le imputazioni - «Vi spariamo perché siete strumenti di un dominio che vogliamo combattere» - Ripete: «Non sono il personaggio che credete» - Domani confronto sul delitto Moro DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE MILANO — Giungono dalle città d'Italia più colpite dal terrorismo i magistrati che conducono le numerose inchieste sull'eversione. Per Mario Moretti, ben custodito nella caserma di via Sant'Ambrogio, è una pioggia di contestazioni e di ordini di cattura: sequestri, ferimenti, assassinii: le pagine più tragiche della recente storia della Repubblica. Martedì è stato il turno dei magistrati genovesi (omicidi Coco, Tu ttobene e Casu), domani sarà quello dei magistrati romani Sica e Imposimato (via Fani e Moro), che già domenica si erano recati nella cella del capo delle br, ma avevano subito rinunciato a tentare un interrogatorio per l'assenza dell'avvocato difensore; poi, forse, sarà la volta dei magistrati torinesi. Gli ordini di cattura erano già stati emessi all'epoca degli eventi delittuosi. Si tratta ora di notificarli all'uomo che, secondo le valutazioni degli inquirenti, ha retto le fila del terrorismo italiano, mantenendo i collegamenti tra le «colonne» operanti nelle varie città, progettando le imprese più spietate dell'organizzazione criminale e tentando di dar loro una dimensione «politica» sempre aberrante. Un uomo che non è più un'ombra, immagine imprecisa di una fotografia che risale nel tempo, ma che in carne ed ossa è rinchiuso in una camera di sicurezza. Ad esso la giustizia chiede ora il rendiconto. Moretti è tutt'altro che disposto ad accettare l'opera di questa giustizia, a sottoporsi al processo. Già al momento dell'arresto si è dichiarato -prigioniero politico*, secondo il rituale dei brigatisti detenuti e non sembra che voglia discostarsi da questa formula. Chi ha avuto occasione di avvicinarlo durante i primi giorni della sua detenzione fornisce di lui quest'immagine. Il capo delle br si dimostra persino cortese, disponibile al colloquio, quando non si affronta il tema specifico del processo e delle gravissime imputazioni che significano ergastolo. Parla del tempo, discetta intorno ad argomenti di carattere politi¬ co, oppure proclama rivolto agli inquirenti: « Vi spariamo addosso non perché proviamo un particolare astio nei vostri confronti ma perché siete strumenti di un dominio che noi vogliamo combattere. Quando prenderemo noi il potere, voi sarete gli strumenti del nostro dominio». Vecchi discorsi, in nome dei quali tanti lutti sono stati provocati. Ma, appunto, quando al capo delle br si muovono contestazioni precise, subito egli si irrigidisce, ripete meccanicamente le proprie generalità e non va oltre. Pare che si sia persino rifiutato di firmare la cartella segnaletica che lo riguarda. Quale sarà il suo atteggiamento nei confronti della magistratura lo ha ribadito ieri in una lettera inviata al presidente della corte d'assise, che dirige il processo Gap-Feltrinelli: vuol essere presente al dibattimento per condurre accanto agli altri detenuti quel «processo di rottura» che già aveva contraddistinto il comportamento del nucleo originario delle br durante il processo di Torino. Lo stesso rifiuto della giustizia sembra essere condiviso dall'altro perso- naggio di rilievo arrestato nell'operazione di polizia di sabato scorso: il professore genovese Enrico Fenzi. Egli neppure si concede quegli «intermezzi» colloquiali che sono propri di Moretti. Appare chiuso in se stesso, depresso, cupo. Ed appare anche molto invecchiato rispetto alle fotografie che, or è un anno, lo ritraevano altezzoso e arrogante al termine del processo genovese in cui fu assolto con formula piena dall'accusa di partecipazione a banda armata («la ingiustizia che assolve», secondo il sarcastico commento del generale Dalla Chiesa). Questi atteggiamenti fanno comprendere che poco o nulla ricaveranno i magistrati dall'interrogatorio dei due principali detenuti (e forse anche dei due personaggi minori Fadda e Volpi). Si può escludere che egli voglia sottoporsi alla perizia fonica, diretta a individuare la voce del telefonista br durante il sequestro Moro. Al massimo Moretti ripeterà ciò che già disse poche ore dopo l'arresto: -Non sono il personaggio che credete». Affermazione comunque poco credibile, stante il suo ruolo, ampiamente provato dagli inquirenti, di organizzatore, reclutatore e ispiratore «politico» della strategia di sangue delle br. Compiti che intendeva assolvere anche a Milano. Gli investigatori ora esprimono la convinzione che la presenza nel capoluogo lombardo del capo br fosse dovuta soprattutto al tentativo di fondare nella città una colonna a lui fedele, dopo il dissidio, apparso insuperabile, con il gruppo della Walter Alasia. Dissidio esploso nell'estate dell'80 durante una riunione di brigatisti a Tor San Lorenzo vicino a Roma e accentuatosi nei mesi successivi. Ma l'opera è stata interrotta dall'intervento della Digos, che aveva agganciato due personaggi, Fadda e Volpi, appartenenti al sottobosco delinquenziale lombardo. E, secondo una voce ricorrente, la prima fase delle indagini si sarebbe concentrata in Pavia per estendersi poi a Milano. Clemente Granata

Luoghi citati: Italia, Milano, Pavia, Roma, Torino