«Il dollaro resterà forte» di Ennio Caretto

«Il dollaro resterà forte» Parla Schultze, kennediano, che fu consigliere economico di Carter «Il dollaro resterà forte» Gli Stati Uniti lo sosterranno mantenendo alti i tassi d'interesse - Solo così si potranno stabilizzare i prezzi del petrolio e delle altre materie prime - Europa e Italia dovranno adeguarsi - L'Occidente consuma troppo e produce poco - Industria dell'auto: salari e prezzi troppo alti favoriscono i giapponesi - Salvataggi industriali in Italia: rimedio peggiore del male -L'Europa, l'Italia non possono farsi illusioni: gli Stati Uniti manterranno, per alcuni anni, un regime di tassi di interesse elevati. Essi non saranno stabili, fluttueranno, ma non scenderanno sotto un certo livello, neppure quando l'economia si riprenderà. E' una realtà con cui noi e voi dobbiamo imparare a vivere-. Charles Schultze scuote il capo: «La Riserva federale non ha alternative. Negli Stati Uniti i tassi d'interesse non hanno più l'effetto di una volta. E'un fenomeno tecnico. Sino all'inizio degli Anni 70, erano in vigore regolamenti restrittivi delle attività bancarie che indirizzavano il risparmio verso Buoni del Tesoro. Con una liquidità ben delimitata, bastava alzare i tassi d'interesse per deflazionare. Più tardi, abbiamo — come dire? — liberalizzato il regime degli istituti finanziari, e la massa circolante è divenuta incontrollabile. Oggi i tassi di interesse elevati sono insufficienti a frenare l'inflazione. Non che l'economia sia immune ai loro rialzi: semplicemente non accusa gli stessi contraccolpi di ristagno e disoccupazione di un tempo-. Charles Schultze è l'uomo che fino a qualche mese fa dirigeva la politica economica americana. Primo consigliere del presidente Carter, aveva già lavorato alla Casa Bianca sotto Kennedy e Johnson, a fianco di studiosi come Heller e Hkun. La sua carriera al pubblico servizio gli ha conferito una esperienza senza pari. Nessuno riassume meglio di lui la continuità del pensiero Usa nell'ultimo ventennio. Discorriamo della congiuntura internazionale nel suo ufficio al Brookings Institutions. il serbatoio dei cervelli del partito democratico. «L'Europa e l'Italia- prosegue l'economista passandosi una mano nei capelli «sono in condizioni analoghe alle nostre. Anziché recriminare, dovrebbero cercare di porvi rimedio insieme con noi. Il deprezzamento della lira non è solo il risultato dell'apprezzamento del dollaro: lo è anche e soprattutto della precarietà dell'economia italiana-. Schultze si sofferma sulla nostra moneta. «Esaminiamo la questione obiettivamentedice. «Grazie agli alti tassi d'interesse — ma non solo a essi — il dollaro è tornato più o meno a livello del 77, e sia pure tra alti e bassi è destinato a restarvi a lungo. Ciò avrà un effetto stabilizzatore sui prezzi del petrolio e di altre materie prime. Da un punto di vista internazionale, è vantaggioso per tutti-. «Il problema dell'Italia e di molti altri Paesi europei- continua l'economista «è che nel frattempo le loro economie si sono indebolite. Nel momento in cui gli Stati Uniti hanno abbracciato un regime di austerità, e il merito è del precedente governo prima che di questo, sono venute alla luce le loro deficienze-. «Ricordo le due conferenze dei sette Paesi più industrializzati del 78 e del 79- osserva Scultze. «Alla prima, gli alleati rinfacciarono agli Stati Uniti uno spreco colpevole dell'energia, e alla seconda una politica monetaria inflazionistica. Volevano che seguissimo il loro esempio, limitando le importazioni del petrolio e restringendo il credito. Ma da quando noi — e mi riferisco ancora a Carter, non a Reagan — abbiamo adottato questa strategia, ci accusano di danneggiarli-. Fa una pausa: «L'insistenza dell'Europa sul coordina- mento dei tassi d'interesse dei Paesi occidentali non ha senso: equivale a quello del medico che cura il sintomo e non la malattia. Come sono comuni i nostri guai, così lo sono le nostre matrici. Sostanzialmente oggi in Occidente si consuma troppo e si produce poco: tutti viviamo al di sopra delle nostre possibilità-. Schultze ha 57 anni, di cui venti di insegnamento o nella pubblica amministrazione. E' un kennediano, ma revisionista. La politica liberista di Reagan, con la sua fede incondizionata nello strumento dell'offerta, lo spinge a cercare alternative all'assistenzialismo di Stato nel periodo di crisi. Ammette senza remore che sotto Carter «si sarebbe potute fare di più e di meglio-. Ma non crede nei miracoli. La ricetta che propone «frutto dei miei successi e delle mie sconfitte-, parte dal presupposto che l'inflazione sia tuttora il nemico pubblico numero uno. e mette in risalto che il risanamento delle economie alleate «richiederà anni di sacrifici-. Secondo Schultze due sono i fattori principali del malessere occidentale: l'eccesso di denaro «facile ma costoso- e le «irresistibili- pressioni salariali. Esse si traducono «come voi italiani ben sapete-, in una spirale inflazionistica su cui. periodicamente interviene un terzo fattore negativo, il rincaro dell'energia. «A quest'ultimo proposito-, asserisce Schultze, «qualcosa abbiamo imparato. Due anni fa, dopo la seconda scossa petrolifera e il conseguente regime di austerità, ci siamo guardati bene dal riflazionare, come invece avevamo fatto nel 75. Ma la lezione salariale non l'abbiamo ancora mandata a memoria-. • Un caso tipico-, mi dice Schultze. «è quello di Detroit. Come quella italiana, la nostra industria automobilistica è passata negli ultimi sette anni attraverso due gravissime crisi. Ma nonostante esse i suoi salari e i prezzi delle auto sono saliti a dismisura. Attualmente i primi sono superiori del 60 per cento alla media dell'industria manufatturiera, e i secondi sono cosi elevati che la gente non compra più, compra le vetture giapponesi meno care-. Si accalora. «Ma che rimedio contempliamo? Il contingentamento delle importazioni dal Giappone! Dovremmo invece costringere imprese e sindacati a negoziare un ristagno salariale-. Lo Stato, sostiene, ha a disposizione i più straordinari strumenti d'intervento, quelli fiscale e dei regolamenti, ma li usa in modo sbagliato. «Li dirige spesso contro l'industria addossandole troppi oneri per le maestranze, l'ambiente e via di seguito e decurtandole il capitale necessario agli investimenti, cosa che si ripercuote sui costi. Dovrebbe indirizzarli invece verso i contribuenti, per penalizzare la parte indebita dei redditi, fra cui quella degli aumenti salariali controproducenti-. Il paradosso «che voi in Italia state vivendo da tempo-, termina lo studioso, «è che un certo tipo di statalismo, riassunto dal salvataggio di aziende destinate a morire, è un rimedio peggiore del male-. Ennio Caretto