Il fantastico salto di Arnie Boldt di Gian Paolo Ormezzano

Il fantastico salto di Arnie Boldt Il fantastico salto di Arnie Boldt L'impresa dell'handicappato canadese che balza al di là dei due metri con una gamba sola, è diventata il simbolo d'uno straordinario ricupero - Ma l'attività sportiva non è una panacea, né si sostituisce alle provvidenze sociali E' in corso a Roma, e si concluderà domani, un convegno sul tema: «L'handicappato e lo sport... Sono pure in corso, in questi stessi giorni, i Giochi sportivi internazionali, con atleti di tutto il mondo, quegli stessi che ogni anno si radunano a Stoke Mandeville. Inghilterra, per una sorta di Olimpiade più fiera che patetica, e che ogni quattro anni danno vita ai loro Giochi olimpici, possibilmente nella sede dei Giochi veri e propri (cosi dal 1960. ma nel 1968 si scartò Città del Messico per via dell'altitudine, e l'anno scorso si scartò Mosca, sostituendola con Arnhem. Olanda, per via del boicottaggio). Lo sport è indicato come una terapia fisica per molti tipi di handicap, come terapia psicologica per tutti. Il 1981 è stato intitolato dalle Nazioni Unite all'handicappato, e ora lo sport «rischia» di venire presentato come una medicina meravigliosa: in assenza, sia chiaro, di altre medicine. A Torino Dino Violante e Mario Viviani, fondatori dell'Uicep (Unione italiana contro l'emarginazione dei paraplegici), legati alla Pisha (Federazione italiana sport handicappati), sono persino preoccupati: «Si vogliono delegare allo sport miracoli che neppure la chirurgia può fare. Se dai'vero uno ha subito una troncatura del midollo spinale, tutto il gran parlare che si fa intorno a una eventuale operazione serve soltanto a dare pericolose illusioni, non¬ ché a fornire un alibi a quegli enti, a quei governi che esitano a creare le strutture autenticamente valide per gli handicappati. Perché spendere soldi, magari in impianti sportwi, palestre e piscine, se tanto c'è il chirurgo magico che può sistemare tutto? Anche in Italia abbiamo chi promette miracoli, e non li fa». Viviani è un handicappato, era un buon ciclista: faceva il taxista per vivere, ebbe un incidente in moto, con un tragico errore dei soccorritori: « Mi fecero sedere, finii cosi di tranciarmi il midollo spinale•». Il prodigio Gli handicappati chiedono, possono chiedere allo sport di permettere lo sfruttamento massimo dei muscoli ancora utili, potenziandoli e mantenendoli tonici, e di aumentare la circolazione del sangue in tutto il corpo. Niente altro, psicologia a parte, ma è molto. C'è però quest'anno, ripetiamo, la possibilità che lo sport venga presentato come una medicina assoluta per loro. Il canadese Arnie Boldt. che ha saltato in alto due metri e otto centimetri pur essendo amputato di una gamba (e a Roma si è quasi ripetuto), è assurto a simbolo di uno strabiliante recupero. Ma pare che questi primati non debbano troppo interessare: a rigore, un handicappato troppo bravo nello sport è sì motivo d'orgoglio per quelli come lui. ma è motivo di facile alibi per gli altri, i «normali». Eppure — dicono i dirigenti, sportivi e no. degli handicappati — ci sono soltanto in Italia otto milioni di persone che non sono in grado di salire le scale: e costoro sono in qualche modo handicappati. «E' un handicappato anche chi porta il parrucchinon dice Viviani. Le categorie «sportive» degli handicappati, che praticano o cercano di praticare tutte le gare del programma olimpico, uomini e donne ma molto più gli uomini che le donne («la donna handicappata ma ancora attwa non esiste, non deve esistere: lei è a priori una creatura vinta'). sono quattro: paraplegici, amputati, non vedenti, spastici. Quarantadue Paesi, ducmilaottocento atleti hanno preso parte agli ultimi Giochi olimpici, ma la vera festa dello sport è Stoke Mandeville. il centro di riabilitazione creato durante la guerra da Ludwig Guttman. ebreo tedesco, che si interessò dapprima, come medico, ai paraplegici per cause di guerra. Il rapporto fra sport e handicappati è insieme entusiasmante e pericoloso. Adesso si organizzano anche Olimpiadi per gli handicappati mentali, e lo sport come medicina viene cosi trasferito nei complessi problemi del cervello, o del non cervello. Un discorso semplice nelle linee generali, delicato in quelle particolari. Un discorso che comunque, nel suo insieme, non riguarda troppo l'Italia, dove già ci sono difficoltà per la creazione. la messa in opera e il funzionamento dei centri di riabilitazione più elementari: figuriamoci per l'aggiunta dello sport, con impianti e attrezzature, in questo schema terapeutico. Ci vorrebbero palestre e piscine presso le unità paraplegiche degli ospedali, ma il primo problema consiste nel rintracciare queste unità paraplegiche. Ostia era un centro sportivo per handicappati che prometteva, ora è in decadenza. Le terapie Eppure i risultati, non appena c'è un impianto valido, privo di barriere architettoniche, sono subito buoni. La strutturazione nuova del Palazzo a Vela a Torino, dove gli handicappati hanno avuto, in occasione di «Sportuomo '80». uno stand e soprattutto un terreno sportivo attrezzato, ha per esempio significato molto per l'handicappato torinese. «Ma siamo sempre impegnati a chiedere favori, non a rivendicare diritti, o a imporre doveri agii altri, dicono Violante e Viviani. E poi la società, in assenza di un'azione statale energica, tende a sospettare di noi, a diffidare anche dello sport. E' difficile entrare al Cottolengo con un'attività sportiva, è difficile convincere le famiglie a lasciare uscir di casa il bambino handicappato, perché faccia dello sport*. La terapia sportiva non ufficiale, sommaria, diciamo pure d'urto, è questa: si fa sapere all'handicappato, paraplegico, quello più difficile da portare allo sport perché bloccato sulla sedia a rotelle («i non vedenti possono essere bravissimi nel nuoto*: e viene in mente «Le nageur aveugle». il sublime quadro di Max Ernst), che non guarirà mai: lo si invita a praticare lo sport, «per sostituire alle gambe la sedia a rotelle* : lo si impegna preferibilmente in uno sport di squadra, ideale il basket. Adesso l'Anspi (Associazione nazionale per lo sport dei paraplegici italiani), la Fism (Federazione italiana sportiva minorati) e la Fics (Federazione italiana ciechi sportivi), confluendo tutte nella Fisha. dovrebbero quanto meno permettere un'uniformità degli sforzi. L'Italia è finita al diciottesimo posto nei Giochi olimpici di Arnhem. con quattro medaglie d'oro (e Giuliano Koten. arciere paraplegico, è fra i migliori italiani in assoluto nella specialità), ma la sua posizione reale, sia nell'assistenza agli handicappati in genere, sia nell'effettuazione di un programma sportivo, è molto più bassa. E c'è già un po' della nostra maledetta furbizia anche nello sport: squadre di basket presentano, con tanto di certificato medico, poliomielitici colpiti magari dal male in una gioventù lontana, vincono le partite, i tornei. . campionati contro i paraplegici. Gian Paolo Ormezzano

Persone citate: Dino Violante, Giuliano Koten, Ludwig Guttman, Mandeville, Mario Viviani, Max Ernst, Vela, Viviani