L'arte dei benefattori

L'arte dei benefattori PIETÀ' E PERDONO ALLA CA' GRANDA DI MILANO L'arte dei benefattori MILANO — Il rapporto che intercorse per cinquecento anni fra la Ca' Granda, sede dell'Ospedale Maggiore di Carità, e Milano e i milanesi — tema della grande mostra inaugurata in Palazzo Reale il 26 marzo e che si protrarrà fino ad agosto — non ha forse paragoni. Non si tratta solo dell'immanenza fisica e simbolica di un colossale monumento, crescente nei secoli, gotico-rinascimentale del Filarete dal 1460 (poi dell'Amadeo), protobarocco del Ricchini dal 1626, neoclassico del Castelli dal 1798, alle spalle del Duomo, del Palazzo Ducale e del Vescovado, affacciato sulla cerchia dei Navigli e su quel «laghetto» dove sbarcavano i marmi per la fabbrica del Duomo; si tratta, per i milanesi, come dice Testori nell'introduzione al catalogo, di aprire' «il grembo sacro della memoria; le vene in cui scorre il loro sangue; e sangue va qui inteso come nascita, come vita e trapasso dei congiunti più cari, degli amici più fidati, dei maestri... e degli avi». Tutto ciò, la memoria del dolore di un'intera città, la pietà e la carità dei suoi potenti ma anche, nel tempo, mediocri e umili per censo, è esistenzialmente e storicamente vero; è legittimo dunque che tutta la mostra sia volta a che anche il non milanese veda e «senta» questa memoria e questa pietà nei secoli. Testori, affiancato dalla sicura competenza di Gian Alberto Dell'Acqua, le ha infatti conferito un'esplicita, inequivocabile impronta ideologica cattolica popolaregiovanilistica, contrapponente nell'oggi il «volontarismo» benefico alla pubblica assistenza sociale. Il paragone non è mai dichiarato, nei testi del catalogo, ma è evidente che il «discorso» milanese finisce per confrontarsi e contrapporsi a quello recente bolognese su Arte e Pietà, riguardante l'acquisizione pubblica dei patrimoni storico-artistici delle Opere Pie; anche se i due discorsi non hanno in realtà un rapporto di azione e reazione. In mostre di questo tipo il paragone, il rapporto non emerge solo da dichiarazioni, perorazioni, analisi storiche in catalogo; emerge soprattutto da concreti contesti visuali, e dunque poi emozionali; da sottili e non sottili spostamenti di accenti; dalla visualizzazione, che era a Bologna e non è a Milano, delle più ampie referenze sociali agli «oggetti di dolore» e alle cause fisiche e sociali del dolore stesso, per cui esso, individuale o collettivo, non è divina fatalità e riscatto de imitatione Christi; e la pietà, pubblica e privata, è anche strumento di governo e di prevenzione sociale. * * Onestà vuole che qui affermi la preferenza per gli accenti bolognesi; ma, come ho già detto, verità — anche verità storica di quell'incomparabile rapporto fra Ca' Granda e Milano — vuole il pieno riconoscimento della severa, coinvolgente forza d'impatto della mostra milanese, basata su una semplicissima struttura espositiva. Tre sale iniziali, sulle fondamenta storiche documentarie e sulla fondazione architettonica filaretiana: stemmate pergamene viscontee, sforzesche, pontificie, il duecentesco Liber privilegiorum dell'Ospedale di San Barnaba in Brolo, l'enorme rotolo verticale di otto metri con la donazione nel 1359 da parte di Bernabò Visconti di beni e terre agli ospedali dalla cui aggregazione nascerà la Ca' Granda. Infine e soprattutto la donazione del 1456 di case e terreni per l'erezione di «un nuovo, grande, magnifico ospedale degno della grandezza del ducato e dell'inclita città di Milano» da parte di Francesco Sforza, «duca di Milano, conte di Aligera e signore di Cremona, in segno di ringraziamento a Dio, in remissione dei peccati e per la salute dell'anima sua e della consorte duchessa Bianca Maria». Ed ecco, dopo le prime sale, la grande martellante sequenza: in un'ininterrotta successione a diedri, di sala in sala, le vetrine in basso documentano la storia architettonica, istituzionale, amministrativa, scientifico-medica dell'Ospedale; sopra di esse, si susseguono nudamente 283 ritratti scelti fra gli 890 della «Quadreria dei benefattori». Storia della carità attraverso i suoi attori (di regola, rappresentati post mortem per volontà e a spese degli amministratori dell'ospedale, a seguito di lasciti testamentari), storia dell'arte, stori;, del costume, storia sociale. Un notevole acuto ritrattista, il Biondi (1735-1805). tratto dall'oscurità come parecchi altri dalla mostra, percorre con attenzione, che non è solo di costume, l'arco fra la nobiltà di toga deWancien regime asburgico e la borghesia mercantile emergente. Ogni angolazione interpretativa può essere ampiamente soddisfatta da questa straordinaria rassegna, al di là della suggestione voluta — e raggiunta — dagli organizzatori, specie nella prima fase, dominata dalle infinite varianti di panni neri, di pallide carni anziane, cattoliche spagnole «al diapason». E qui, come più avanti, cadono tradizionali distinzioni fra «maggiori» e «minori», noti e ignoti, fra una Fede Galizia, un Giuseppe Nuvolone e un Melchiorre Gherardini genero del Cerano (indubbio autore del bellissimo Francesco Carnisano, anche se la scheda mantiene un dubbio troppo prudenziale sulla tradizionale attribuzione), o i fratelli Santagostino, o Cesare Fiori, o il ricordato Biondi. Avvengono, fra '600 e '700, bei confronti di pittura fra Andrea Porta e Filippo Abbiati. Ci si imbatte in uno dei pochissimi ritratti documentati e databili del Ceruti, il Lampugnani Visconti del 1757, e, nell'Orazio del Conte del 1705 di un oscuro Antonio Lucini. quasi in un'inconscia anticipazione. Con il XLX Secolo, il legame fra storia civile, costume, forma visiva diviene strettissimo, anche perché il «ceto» dei benefattori non è più univoco, si trasforma, la realtà all'intorno preme, anche visualmente, la carità è talora «sceneggiata», talora al ritratto si sostituisce romanticamente il «cenotafio» dipinto. Quando Eleuterio Pagliano nel 1877 rappresenta, con coerente realismo pittorico, il vinattiere Cesare Fastelli in maniche di camicia all'interno della sua cantina con la «mezzetta» in mano, commercianti e osti insorgono e im¬ pongono nel 1880 un secondo ritratto «borghese» in cappotto. Anche qui comunque, al di là del noto (il Rotta di Segantini del 1897), abbiamo scoperte e conferme di recentissimi studi, con i ritratti di Palagi, di Serangeli, di Mazzola; incontri affascinati, come il ritratto ancora tardo settecentesco (del Borroni) di quel Giacomo Sannazzari per le cui mani passò per acquisto lo Sposalizio di Raffaello, rapinato a Urbino dal generale Lechi, donato all'ospedale con il patrimonio Sannazzari (enorme, quasi tre milioni di stima) e infine approdato a Brera. Il nostro secolo smentisce di fondo, senza voler fare facili ironie, la «pietosa» impostazione testoriana, che fino a questo punto è stata indubbiamente ben sorretta dalla consapevole severità delle forme pittoriche. A partire dalla clamorosa, boldiniana Eliade Cfespi Colombo di Cesare Tallone (un ritratto, a onor del vero, donato solo nel 1953 a circa un cinquantennio dall'esecuzione), è una parata, a suo modo affascinante, di «padroni del vapore» lombardi. Anche qui, comunque, un bel contributo alla conoscenza, specie del «novecentismo» in tutte le sue varianti, da Carrà a Sironi, da un Salietti con qualche intenzionalità matissiana (nel 1928) a validi risultati, «oggettivi» o «primitivistici», di Bucci, di Lilloni, di Tozzi, di Funi, a cui si affiancano due ignorati esempi di Casorati e di Menzio. Assai periclitante la «carità», non compatibile con le vanità umane, in quest'ultima sequenza, rimane dunque la storia della pittura. Ciò non sembra tuttavia giustificare il completo ribaltamento di tutta l'impostazione, di tutta la linea, innanzitutto «etica», pro¬ psctddmapTscpm posta dalla mostra, nell'ultima sala, dedicata ai «tesori artistici» dell'Ospedale. Che, certo, tesori artistici sono, a partire dal Sant'Antonio del Moretto e dal severo Ritratto di gentiluomo col figlio, per cui Longhi avanzò il nome del Peterzano. per arrivare al Ritratto per cui Testori. con una scheda che è stupenda, fascinosa per «delicatezza» di lettura formale e psicologica, avanza il gran nome di Velàzquez. Marco Rosei I ritratti di due benemeriti dell' dipinto (1797) di A. F. Biondi e ospedale esposti alla Ca' Granda: Giuseppe Magghi, a sinistra, Cesare Fante Ili (1877) nella discussa tela di Eleutcrio Pagliano di l' f l bilà l 1880 d dll ll'li