L'America violenta dei pazzi solitari di Lietta Tornabuoni

L'America violenta dei pazzi solitari L'America violenta dei pazzi solitari E' poi così strano che sparino al Presidente, nell'America dove hanno battezzato una pistola Saturday Night Special, speciale .per il sabato sera, manco fosse un rock fuori moda di Travoita> Reagan era governatore di California nel 1968, quando ammazzarono Bob Kennedy a Los Angeles. Disse: «Non sono stati duecento milioni di americani. E' stato un ragazzo, solo». Gore Vidal, lo scrittore parente dell'assassinato, disse: «Non molto tempo fa, qualcosa come il trenta per cento degli abitanti d'un quartiere di Manhattan fu trovato bisognoso, in un modo o nell'altro, di cure psichiatriche. Al tempo stesso, ci sono negli Stati1 Uniti più di 150 milioni di armi da fuoco in mani private. Non fosse la paura della Squadra Omicidi, saremmo tutti morti». Sono i due tipi di analisi semplificata da sempre usati per spiegare i gesti sanguinosi che periodicamente traumatizzano l'America, mescolando alle emozioni individuali un'ansiosa ricerca collettiva della vera anima nazionale e il sentimento che ci sia nel Paese qualcosa di profondamente sbagliato. II pazzo solitario, diverso e nemico, estraneo alla' società buona, mosso soltanto dalla malattia della propria mente. Oppure la società malata, d'ingiustizia, di paranoia, di violenza armata. Le due teorie risultano sempre in antagonismo tra loro: e di solito il pazzo solitario è di destra, la società malata di sinistra. Nel mondo dei media, magari funzionano meglio tutte e due insieme: perché se è vero che da tanti assassinii americani non s'allontanerà mai il sospetto di complotto politico o di strage ideologica, è anche vero che il manovale della morte risulta spesso creatura del sottosuolo, rifiutata dalla famiglia, respinta dal successo, squilibrata dalla droga, emarginata o disprezzata dalla comunità. Insomma «uno sposta to», secondo il luogo comune frettoloso e presuntuoso: come se nelle società contemporanee esistesse davvero un posto per ciascuno, e ciascuno stesse al posto giusto. E' l'oscuro squinternato Lee Oswald a sparare (soltanto lui, anche lui, proprio lui?) su John Kennedy; è l'ex detenuto James Earl Ray ad ammazzare Martin Luther King (c'è andato, ce l'hanno mandato?); è il revanscista immigrato giordano Shiran Bishara Shiran a uccidere Bob Kennedy (è suo il piano?); sono i crudeli bambini drogati della nomade banda di «Satana» Manson a fare strage di Sharon Tate e degli altri, è una delle naufraghe ragazze di Manson, Lynn Fromme, a tentare nel 1975 di far fuori il presidente Ford. Poi c'è la nuova generazione dei killer dei media, quelli che avevano sette, dodici anni quando se ne andarono i Kennedy, quelli cresciuti guardando la Storia-spettacolo e la morte in diretta alla Tv. Un ragazzo" in impermeabile nero, una voce nella ne.te di New York: «Mister Le.inon», e finisce il più bravo dei Beatles. Un ragazzo coi capelli biondi e il nasetto ali'insù, una pistòla impugnata a braccia tese come i poliziotti da telefilm: e cadono in tre, e una smorfia di do¬ lfsbc lore-spavento deforma quella faccia di Reagan che da vicino sembra il lavoro d'un abile imbalsamatore ma che sa essere così attraente da lontano, se la luce torrida dei riflettori gli fa scintillare gli occhi piccoli e scuri, interessanti. Sono i crazies, i matti senza precedenti, i non delinquenti che adesso fanno vivere nella paura i divi in California, e ovunque i giornalisti televisivi, i politici, gli scrittori, i cantanti, i mondani, i comunque famosi: nel terrore degli omicidi gratuiti contro le «personalità»; delle aggressioni immotivate contro «figure pubbliche» la cui ricca celebrità viene sentita come sopraffazione e ingiustizia; delle voglie compulsive di frantumare immagini ossessivamente presenti alla Tv; delle violazioni vendicative, «tu ce l'hai fatta, io no, ti rovino». Quando gli atti di sangue arrivano più sensazionali dall'oscurità melmosa dell'America violenta, allora si fanno i conti: ci sono più di 120 milioni d'armi da fuoco detenute legalmente da privati, e 30 milioni possedute illegalmente; c'è il gran potere politico della Ri- fle's Association, l'associazione dei produttori, commercianti e utenti di armi; ci sono stati 400 assassinii alla settimana nel 1980, il 7 per cento in più che nel 1979; c'è la tradizione storica tanto amata da Reagan, quella epopea del West dove il migliore spara per primo; c'è la democrazia-spettacolo che impedisce ai leaders di proteggersi seriamente, che li sottopone (è magari il solo obbligo, o uno dei pochi inviolabili) al dovere rituale di mostrarsi in pubblico, di ostentare fiducia nell'affetto della gente, di non sottrarsi del tutto al contatto col popolo. Quando «il fatto» succede, allora si fanno le ipotesi: perché si uccide, in America? Perché si è stati pagati, mandati a uccidere. Per uccidere un leader, metafora della collettività. Per uccidere il proprio padre che vota per quel leader, che lo ammira e che tenta di somigliargli in grinta e rispettabilità. Per uccidere i miti, specchio rovesciato della propria pochezza. Per uccidere altro: il tempo, la speranza, se stessi. Per fatuità: «Pensa se sparassero a Reagan...». Lietta Tornabuoni