Berenson e la giovane amica una love-story recitata allo specchio

Berenson e la giovane amica una love-story recitata allo specchio Anteprima: l'epistolario Berenson e la giovane amica una love-story recitata allo specchio Sta per uscire da Rusconi «Lo specchio doppio» (pagine 540, lire 10.000) che è il carteggio tra Bernard Berenson e Clotilde Marghleri. Lo presentiamo in anteprima e pubblichiamo, per gentile concessione dell'editore, alcune lettere. SIAMO nel 1926. Una giovane signora napoletana viene ammessa alla piccola corte di Bernard Berenson. Lei è la «romantica» figlia di viceré borghesi, ribelle al femminile silenzio imposto dalle tradizioni dei clan meridionali. Lui è il più ricco e celebre degli esperti d'arte. E' nato in un villaggio lituano, il cognome originario è Valvrojenski, ebrei, trasformato in Berenson quando emigrano negli Stati Uniti. Lei nasce Betocchi maritata Marghieri, proprietari e professionisti colti della Napoli tra Scarfoglio e Croce; ha scelto di «educarsi» in un nobile collegio della allora «svizzera» Firenze: la città ha tradizione di residenti stranieri, soprattutto inglesi. Ha poi voluto ascoltare lezioni di Borgese, di Buonaiuti, ha avuto due bambini; ora sente Napoli richiudersi su di lei come una familiare opacità. Le sua amiche toscane frequentano quel misterioso santone internazionale ch'è Berenson. Chiede anche lei di visitarlo. "Lui ha studiato ad Harvard. Si credeva scrittore ma nel primo viaggio in Europa (1887) scopre il Louvre e si trasforma, a Berlino, in studente non solo della storia dell'arte ma di un suo misterioso «occhio»: l'italiano Giovanni Morelli, consigliere di musei e regnanti, che vanta certezze «scientifiche» nella classificazione-attribuzione. Conosce, in Italia, un altro «occhio» favoloso, quello del vecchissimo Cavalcasene. Cosi inizia, con esplorazioni minuziosamente incredibili nei luoghi allora più sperduti d'Italia, Africa, Grecia, Spagna, Medio Oriente, una fiammeggiante e insaziabile «autoeducazione» della sensibilità. «La cultura», scriverà proprio in una lettera alla Marghieri, «consiste nel perfezionare il proprio modo di accostarsi ad ogni manifestazione dello spirito, al punto di riconoscerne il genuino sapore, non confondendolo col sapore che uno si porta anticipatamente sul palato». Per tutta la sua lunghissima vita — muore nel 1959 — Berenson eserciterà il dif- ficile, quasi mistico equilibrio di una europea curiosità «libertina» e di un anglosassone giudizio obbiettivo, «liberale». Nel 1895, a trent'anni, il suo è già un nome celebre per i quattro lucenti volumi sui «Pittori italiani del Rinascimento», la monografia sul Lotto, il ruolo di «consigliere» della miliardaria americana Isabel Gardner, di «esperto» dei più solenni mercanti d'arte. Dal 1900 abita «I Tatti», una elegante villa rinascimentale sui colli fiorentini di cui ha fatto la sua «casa di vita». Dipinti, oggetti, libri, archivi preziosi. Ma soprattutto preziosi visitatori, selezionati. Berenson ritiene che occorra «fare di noi stessi i migliori strumenti possibili» (è un'altra lettera alla Marghieri) «e considerare tutto ciò che si produce solo come sottoprodotto». La fama della sua «conversazione» corre cosi il mondo intellettuale; spesso fraintesa poiché Berenson parla ma per ricevere quanto gli altri han da dire. E' senza dubbio un «vampiro» eternamente assetato. Ma sa bene come la propria dipenda dalla autenticità di quella altrui. Sa come il piacere della' caccia debba esser fine a se stesso: vibrante duello che arricchisce l'esperienza. A questo esclusivo ginnasio, alla piccola musica da camera, viene dunque eletta la giovane signora Marghieri. Tanto eletta che professore ed allieva, mago e ninfa, vecchio e giovane finiscono con l'innamorarsi. Lui di lei: certo. Lei della sua invidiabile «casa di vita»: piuttosto. Lei sta a Napoli, oltrettutto, ed ha come si è detto famiglia. Nasce cosi una corrispondenza lunga quasi trent'anni che ha però tutto del «romanzo». C'è l'amore felice-infelice, forse «l'ultimo amore», di Berenson: fatto di comprensione ma anche di amarezza. Certe sue sono cardelliane «lettere spedite» all'amante ribelle; sempre «noblesse oblige» ma talvolta a denti davvero stretti. Lei si pente, o si inalbera per non pentirsi. E ricomincia come sempre a tentare di tessere la propria vita, a cercare anche per sé una piccola perfezione. Ma è una donna, lei, che rifiuta di confessarsi, non vuo¬ le. Questa storia d'amore «a specchio» è cosi, romanzescamente, spesso spezzata e scheggiata. Il cacciatore ama e soffre l'incontro con una Diana cacciatrice anche lei; un maschio sottilmente femmineo incontra una donna meridionalmente maschile; una maturità si ferisce (e ferisce) ad una luciferina immaturità; il possesso reciproco rischia periodicamente di sfilacciarsi o corrompersi in una «lotta feroce»: perché la giovane signora ha dentro di sé come un ordine che le comanda di vivere: «a qualunque costo, ma vivere». Orgogliosa, che però cerca l'amore maiuscolo: e ha terrore di sentirsene «diminuita». Insomma, qualcosa, a momenti, di quasi troppo istintivo per il tatto di Berenson, educato agli amori. Ma continuano entrambi: sono entrambi — anche se con ragioni psicologicamente opposte — due esseri concupiscenti di se stessi negli altri. Lei ha visceri materni, amori e romanzi. Ma anche inibizioni e frigidità. E lui è Mefisto: ma anche il povero Faust che sa di dover morire, e allora è paziente-paterno verso una allieva-compare che dovrà guadagnarsi, anche contro di lui, la propria rassegnazione di vivere. E' un epistolario-romanzo femminile, insomma; abbozzo riflesso per l'autoritratto di una donna, grata e agitata dalla discesa di una grazia che non le appartiene. Ed è ancora un diario di certi personaggi tra le due guerre, di un certo «clima» romantico-neoclassico nella tragedia che arriva, e infine la traccia di un apprendistato professionale. A luci spente, e solo a ceneri tiepide, Clotilde difatti arriverà finalmente a impiantare coi propri libri la sua «casa di vita». I suoi titoli sono, per chi non li conoscesse, i cari «Vita in villa», «Le educande di Poggio Gherardo», «Il segno sul braccio», «Amati enigmi»: che vinse un Viareggio. In codesta corrispondenza de «Lo specchio doppio» racconta dunque per ultimo il suo primo amore, prova a liberare finalmente altre sincerità, che non confesserà mai. Il prezioso avorio di Berenson, cosi, ha avuto fin dal principio la sua capitale rivincita. Claudio Savonuzzi Clotilde Marghieri in un disegno di Roberto Pane (1928) Bernard Berenson