Una voglia di «superpotenza»

Una voglia di «superpotenza» LA NUOVA POLITICA DELLA CASA BIANCA TRA CONSENSI E PERPLESSITÀ' Una voglia di «superpotenza» Aumento delle spese militari, consiglieri inviati a organizzare la lotta contro la guerriglia nel Salvador e altre iniziative sono il segno di una drastica svolta - Atteggiamento strumentale per un miglior negoziato con l'Urss o vera involuzione? - Alla radice sta però un «riarmo morale» nato dalle delusioni del passato NEW YORK — Tra polemiche e ripensamenti, gli Stati Uniti stanno riassumendo il ruolo di gendarme del mondo abbandonato nel '75 dopo il Watergate. Da un continente all'altro, essi ripropongono la propria presema militare, in forma autonoma o con gli alleati della Nato, quale garanzia di stabilità. Una cinquantina di consiglieri organizzano la lotta contro la guerriglia al Salvador, mentre il presidente Reagan si dice pronto a riarmare i patrioti afgani. Radars volanti — gli aerei Aivacs — vengono forniti all'Arabia Saudita con personale tecnico, e la da. contempla la ripresa dei contatti con le forse filo occidentali dell'Angola. Il segretario di Stato Haig comunica al ministro degli Esteri tedesco Genscher di non gradire il progetto del gasdotto siberiano, e il Pentagono parla più rigidamente di dotare l'Europa della bomba N. L'inversione di rotta rispetto all'epoca di Carter è tanto repentina quanto drastica. Dove il presidente democratico accettava sema protestare la guerra civile in Nicaragua, il repubblicano Reagan denuncia con vigore la matrice sovietica del terrorismo. Se qualche anno fa l'avvento dì un regime marxista-leninista in Etiopia restava incontestato, adesso l'America minaccia ritorsioni contro Cuba, dal blocco navale all'ostracismo a Castro. L'immagine della superpotema in ritirata, impotente di fronte a episodi come l'invasione cambogiana, è sostituita da quella della superpotema all'offensiva, pronta anche al confronto armato. Al linguaggio della rassegnazione e della prudenza subentra quello della decisione e della forza, che la scrittrice Susan Sontag definisce ^dell'impero». Il cambiamento non avviene senza traumi. Al congresso, i democratici protestano contro questo concetto della «pax americana», e a Ottawa Reagan è accolto con fischi da numerosi dimostranti. La grande stampa quotidiana si chiede se il ritorno alla guerra fredda sia soltanto apparente e strumentale, diretto cioè e negoziare con l'Urss a vantaggiose condizioni, o non rappresenti un'involuzione autentica. Gli europei, che tanto hanno invocato la leadership dì Washington, si dimostrano scontenti e sconcertati. Qualcosa di analogo accade con il dollaro, il cui apprezzamento demolisce non solo la lira ma anche il marco. Come nel periodo di Nixon, riaffiorano le accuse di colonialismo. Se Carter era troppo molle, Reagan è troppo duro. Si dice che il primo indulgesse inutilmente nell'intelligenza, e il secondo fletta eccessivamente i muscoli. Con la presentazione del bilancio dello Stato '81-82, gli Stati Uniti si ripresentano sulla scena mondiale come una spietata macchina bellica. L'aumento delle spese militari in un biennio è del 16 per cento: il prossimo lustro, si investirà nella difesa la spaventosa somma di 1500 miliardi di dollari. Accanto agli euromissili, i Pershing e Cruise da installare sul fronte europeo a partire dall'83, si affacciano, oltre alla bomba N, il nuovo missile intercontinentale Mobili Mx, e l'aereo invisibile, capace cioè di sottrarsi ai radars grazie a speciali vernici e materiali. A tutto questo, corrisponde una riduzione drastica nei servizi sociali e assistenziali, dai trasporti all'istruzione. Ne soffrono le minoranze e i diseredati, ì negri, i giovani, gli ispano-americani, i vecchi, anche se il presidente garantisce che • una rete di sicurezza» frenerà la loro inevitabile caduta. Tuttavia, la trasformazione non manca di consensi. La Casa Bianca proclama che il 94 per cento delle lettere che pervengono a Reagan sono favorevoli alla nuova strategia. Il capo della Camera, O'Neill, sconsiglia ai compagni del partito democratico di prendere di petto il programma, per non scontrarsi con la maggiorala elettorale. La radio e la televisione ammettono che è molto popolare l'accanimento dei repubblicani contro ••l'interferenza dello Stato nella privacy». L'uomo della strada è assai più dalla parte di Reagan di quanto non lo fosse da quella di Carter. Nelle interviste dichiara di aver ritrovato l'orgoglio di essere americano. Una industria in crisi, quella di auto della Chrysler, ne approfitta per la sua pubblicità: «L'America è stanca di essere presa a calci» dice. «Non comprate più tedesco o giapponese». A Detroit, le macchine straniere sono escluse dai parcheggi. Il ritorno alla funzione di gendarme non è un fenomeno revanchista né di xenofobia. Riflette una sorta di riarmo morale di un Paese che si è spostato a destra. Da Spadolini a Piccoli, gli uomini politici italiani che hanno visitato Washington riscontrano nella superpotema una volontà di affermazione, un impegno nella salvaguardia dei valori occidentali che sono sì conservatori, ma non reazionari. A livello personale e nazionale si reagisce a un senso di resa che troppo a lungo ha paralizzato tutti, contribuenti e istituzioni. E' come se di colpo questa società avesse ritrovato la coscienza della propria missione e del proprio potere. Sia pure in termini diversi, lo slogan «il nuovo inizio» di Reagan riflette l'atmosfera di speranza delle «nuove frontiere» di John Kennedy. L'appello è simile, anche se rivolto soprattutto all'esterno, e non anche ai mali interni. La svolta morale risale al dramma degli ostaggi a Teheran. Paradossalmente, sono stati i mass media a ispirarla. I giornali, la radio e la televisione che avevano costretto gli Stati Uniti a ritirarsi dal Vietnam, rivelandosi più influenti di tutte le divisioni aerotrasportate e motocorazzate del presidente Johnson, li hanno spinti a riaffacciarsi con violema sulla scena internazionale. Ogni giorno, per 14 mesi e mezzo, essi hanno ricordato agli elettori i 52 prigionieri, l'umiliazione inflitta dall'ayatollah Khomeini, IHmpotema della politica carteriana di compromesso e di conciliazione. La rabbia e la nostalgia per il passato sono cresciute di ora in ora. Lo stesso popolo che nel 72 aveva assistito in silenzio al rimpatrio dei soldati dal Vietnam, nell'81 ha riservato agli ostaggi l'accogliema degli eroi. A essi ha promesso di ripristinare l'antica grandezza militare e diplomatica. Il riarmo dello spirito ha cosi manifestazioni sottili, inquietanti a tratti, che vanno al di là dei programmi del Pentagono. Si rivalutano ad esempio i servizi segreti della Cia, sino al punto da legittimare quella sorveglianza dei cittadini sospetti di attività contro lo Stato che portarono al Watergate e alla catastrofe di Nixon. Si riparla delle avventure spaziali della Nasa, la cui navetta sta per compiere il primo ingresso in orbita, anche a fini strategici, per bloccare cioè i cosiddetti satelliti killers o assassini (armati) del Cremlino. Il rammarico del Vietnam non è tanto per essersi lasciati coinvolgere in un conflitto lontano e incomprensibile, quanto per averlo perso. Pochi sono coloro che ritengono questi fatti come sintomi di attentati alla democrazia: la fiducia nel tessuto civile del Paese è tale che lo spettro del maccartismo viene liquidato con una scrollata di spalle. Le ripercussioni sull'Europa sono chiare. Il segretario di Stato Haig, che è innanzitutto un generale, rammenta che in un mondo scosso dall'espansione dell'Urss la politica delle «mani pulite» non è più realizzabile: egli adopera anzi un'espressione spregiativa, la politica di Ponzio Pilato. A qualche visitatore, ripete una frase celebre: che vi sono ideali per cui vale la pena di combattere e anche di morire. Gli accenni a una mediazione europea tra le superpoteme non sono benvenuti. Li considera come fare il gioco del nemico. L'obiettivo moscovita, a suo parere, è la -finlandizzazione» del vecchio continente, è scavare un solco tra gli Stati Uniti e i loro alleati della Nato. Dalla Cee, si aspetta un completo allineamento, con un aumento quindi delle spese militari, sino a che non sarà «realistico» il recupero della distensione. Questa America diversa non ha rinnegato comunque né la distensione né la pace. Essa asserisce solamente che la loro conservazione è legata all'equilibrio di forze con l'Urss e il patto di Varsavia. Reagan e Haig hanno una visione pessimistica dell'»orso russo», alla cinese. Lo ritengono impegnato al dominio mondiale, non tramite un disegno articolato, ma un empirismo diretto a sfruttare ogni occasione favorevole. Nel loro giudizio, il caso dell'Iran è da manuale: Mosca non ha causato né diretto la rivoluzione di Khomeini, ma si accinge a strumentalizzarla ai proprii fini per raggiun¬ gere il Golfo Persico. Così è capitato anche nel ^Vietnam. «L'orso russo» ha armato ma non comandato Ho Ci Min: però, all'atto pratico, è adesso in grado di controllare l'Indocina e i mari circostanti. In silenzio, ha realizzato il suo obiettivo di circondare la Cina. Come gendarme del mondo, gli Stati Uniti vogliono uno o più compagni in ciascuno dei diversi scacchieri internazionali su cui l'Urss muove le sue pedine. In Estremo Oriente, dove di tutta l'Indocina la sola Thailandia sì è sottratta al dominio sovietico, essi si sono rivolti al Giappone a nord e all'Australia e alla Nuova Zelanda a sud. Il direttore della Cia, Casey, sta visitando quella regione per preparare una campagna contro il terrorismo, ma il vero scopo americano è la formazione di una forza aero-navale congiunta con gli alleati. In Medio Oriente e nell'Asia centrale, anzi dal Marocco al Pakistan, gli Stati Uniti reclamano una partecipazione dei Paesi più potenti o più vicini della Nato alla difesa dello status quo. Anche navi francesi e britanniche dovranno presidiare il Golfo Persico, e verranno richiesti aiuti logistici all'Italia e alla Germania. E' nell'America Latina, a cominciare dal Salvador, che essi intendono agire da soli. In un libro pubblicato lo scorso anno e in una recentissima intervista Nixon ha asserito che la terza guerra mondiale, una guerra strisciante, fatta di conflitti locali e di assorbimento di piccole nazioni terzomondiste nel sistema sovietico, ha già avuto inizio; e ne ha individuato la causa nell'incipiente retrocessione dell'America dal primo al secondo posto nella gerarchia militare. L'asserzione di Reagan e Haig che l'equilibrio delle forze, se non la supremazia Usa, è necessario alla pace è fatta in buona fede. Risponde alla logica della condizione posta da Washington per dei negoziati e un vertice Breznev-Reagan: che Mosca rispetti il 'Codice di condotta internazionale», che forma la base della convivenza pacifica, e accetti il principio che nessun problema può essere risolto indipendentemente dagli altri. Ennio Carette Il presidente Reagan mentre parla ai giornalisti. Recentemente si è detto anche disposto a inviare armi ai patrioti afghani