Quei due giganti di bronzo venuti dal nostro passato di Francesco Rosso

Quei due giganti di bronzo venuti dal nostro passato LA STORIA E IL MISTERO DELLE STATUE DI RIACE Quei due giganti di bronzo venuti dal nostro passato I bronzei giganti di Riace incominciano a fare storia, ed era tempo che ciò avvenisse perché il loro recupero, si badi, avvenne nell'agosto 1972. E' vero che per trarli dal mare occorse un anno e mezzo e sei anni per restaurarli, ma quando le due statue furono imbragate, sollevate, ed infine deposte sul lido di Riace, pochi si resero conto che l'umanità aveva ritrovato favolose vestigia della sua civiltà. Fra questi pochi, il prof. Giuseppe Foti, sovrintendente alle Antichità per la Calabria. Si trattava di un'avventura incredibile, bellissima, tutta da raccontare, ma non se ne parlò. Sono quasi certo di essere stato il primo giornalista ad ammirare da presso, ad accarezzare i due superbi colossi di bronzo in una sala segreta del Museo Archeologico di Reggio Calabria; da allora sono passati quasi otto anni, ma per svegliare la curiosità pubblica occorreva l'esposizione a Firenze dopo i restauri, la visita del Presidente della Repubblica, e la disposizione, piuttosto arbitraria a mio avviso, di protrarre la mostra fino a giugno. Ma conviene parlare degli aspetti poco noti del ritrovamento, come me li raccontarono il prof. Foti ed il suo assistente, il torinese prof. Sabbione, in quel finire del 1973, durante un mio viaggio nella Calabria archeologica. II Museo di Reggio è sicuramente fra i più ricchi e meglio articolati d'Italia, e lo diceva al prof. Foti che mi accompagnava nella visita. «Non ha ancora veduto il meglio, rispose. Lei è un privilegiato, venga». Entrando in una sala esclusa dal consueto giro dei visitatori, barcollai per l'emozione. Allungati su materassi di gommapiuma, giacevano i colossi bronzei, due metri e dieci uno, il secondo 1,95. Uno aveva in testa l'elmo, l'altro una benda attorno ai capelli ricciuti. Spirava dalle statue la calma infinita dell'opera d'arte compiuta. «Sono del IV secolo a. C, disse il prof. Foti, rarissimi esemplari di statuaria bronzea greca, paragonabili solo all'Auriga di Delfo ed al Poseidone, o Zeus, dell'Artemision di Atene». Mentre conversavamo, quasi di soppiatto, arrivò Gesuele Spinella, restauratore del Museo di Reggio, che già aveva incominciato a lavorare sulla testa del gigante senza elmo. Aveva ripulito il volto, la barba, i capelli, la bocca, gli occhi dalla salsedine e dalle incrostazioni marine, sì che gli occhi d'avorio splendevano bianchissimi dentro le orbite bronzee. Tra le labbra ageminate di rame, rosee, come sfiorate da un rossetto femminile, i denti d'argento balenavano con un sorriso lievemente feroce. Era chiaro che, pur lavorando tutta la vita, Gesuele Spinella non sarebbe riuscito da solo a riportare le statue allo splendore primigenio. Inoltre, il bronzo era malato, aveva bisogno di cure radicali che solo un istituto specializzato del restauro avrebbe potuto procurare. Gesuele Spinella capiva, ma era ugualmente contristato. «Me ne vado in pensione, disse. Che farei qui, dopo?». Con quel «dopo» alludeva al vuoto che gli avrebbe aperto la ineluttabile partenza delle statue che, immobili nella loro millenaria perfezione, emanavano un senso di inquietudine. I due colossi di Riace, guerrieri o idoli che fossero, avevano fatto precipitare il dramma di un uomo che aveva sognato l'impossibile; riportarli ad una seconda vita nel Museo in cui aveva consumato la propria. Prima di uscire dalla sala incantata, il prof. Foti mi fece notare un dettaglio; i piedi delle due statue erano rilucenti nonostante i secoli trascorsi in mare. Migliaia, milioni di mani greche li avevano sfiorati con gesto scaramantico. Come il piede di San Pietro a Roma. Ma dove era avvenuta l'adorazione, all'ingresso di quale tempio, santuario, teatro erano poste le due bellissime statue? Mistero. Erano sicuramente statue famose, a giudicare dal luccichio del bronzo patinato da milioni di mani durante secoli, ma dove erano, e chi rappresentavano, se in tanti avevano accarezzato quei piedi oltre due millenni prima del loro riemergere dal mare? Poi erano arrivati i romani razziatori che le avevano asportate per abbellire la loro capitale orgogliosa, ed erano affondate vicino a Punta Stilo perché un giovane chimico romano, Stefano Mariottini, fidanzato di una ragazza di Riace, facendo pesca subacquea, le riscoprisse nell'agosto del 1972. Durante un'immersione vide spuntare dalla sabbia un braccio. Convinto si trattasse di un frammento tentò di sollevarlo, ma a quel braccio erano appese cinque tonnellate di bronzo di una delle due statue. Arrivarono i carabinieri sommozzatori di Messina, cercarono, trovarono una seconda statua. Della nave che doveva trasportarli nessun relitto, né lo scudo che doveva avere al braccio il gigante con l'elmo, e nemmeno l'asta che sicuramente impugnava l'altro atleta. Mistero fitto anche sul modo con cui i due giganti bronzei erano giunti fino a Riace. I lavori di recupero durarono fino all'inverno del 973, e la vicenda si colorò di giallo quando, imbragate e recuperate dal mare, le due statue furono caricate sui camion che le avrebbero trasportate a Reggio Calabria. La popolazione di Riace fece barriera sulla strada. «Le statue, gridava la gente, sono dei santi Cosma e Damiano, nostri patroni. Sappiamo da sempre che dovevano giungere dal mare. Sono arrivati, sono nostri». Folla esasperata, imprecazioni, minacce. Una commissione di donne fu delegata a visitare le due statue, nude e con davanti qualcosa che non si addiceva alla pudicizia dei santi Cosma e Damiano. Le donne si persuasero, ma non il sindaco, che voleva rizzarle al centro della piazza di Riace. «Sarà un formidabile richiamo turistico», gridava. Gli promisero un premio per il municipio, come era avvenuto per il sub Stefano Mariottini, che avrebbe avuto 120 milioni per la scoperta, milioni che non gli portarono fortuna, mi disse il prof. Foti, pregandomi di sorvolare sulla vicenda. Dovettero intervenire carabinieri e polizia per disperdere la folla e aprire la strada verso Reggio Calabria ai due colossi strappati ai gorghi limpidi dello Ionio. Giunsero al museo per mettere in crisi Gesuele Spinella, che subito li aveva adottati. Poi furono inviati a Firenze, restaurati a dovere e, dopo sette anni, esposti al pubblico. Vi rimarranno fino a giugno, poi torneranno, forse, a Reggio Calabria. Ma intanto la stagione estiva ed il flusso turistico nel Meridione si saranno esauriti. Se ne riparlerà l'anno venturo, ammesso che qualcuno non abbia già ammirato a Firenze i due colossi splendidi, irripetibili, unici e fatali come l'Auriga di Delfo e il Poseidone dell'Artemision di Atene. Intanto, i dotti discuteranno se i due bronzi del IV secolo a. C. siano opera di Fidia, Mirone, o Policleto, ma Reggio avrà perduto la sua stagione d'oro. E questo, a mio parere, è un torto fatto al capoluogo calabrese. Francesco Rosso I due guerrieri saranno esposti fino a giugno al Museo archeologico di Firenze