Dostoevskij, l'uomo che morì due volte
Dostoevskij, l'uomo che morì due volte L'ESPERIENZA DI UN GRANDE SCRITTORE E LE SUE RIFLESSIONI SULLA PENA CAPITALE Dostoevskij, l'uomo che morì due volte Facciamo parlare un uomo che è morto due volte. Quando l'avremo sentito sarà più facile capire che la pena di morte è un atto selvaggio e avremo anche onorato, nel modo più attuale e civile, uno dei più grandi scrittori dell'Ottocento: Fiodor Dostoevskij. Lo stato civile di Pietroburgo annota che lo scrittore fu sepolto il 28 gennaio 1881. Era un gelido mattino e una folla enorme e silenziosa accompagnò la sepoltura. Morì scrivendo, due giorni prima. La penna gli sfuggi tra le dita e s'infilò sotto un armadio. Dostoevskij tentò di spostarlo per recuperarla. Per lo sforzo gli si frantumò una vena e la bocca si riempì di sangue. Poco dopo, riverso sul letto, senti che era venuto il momento, questa volta definitivo: «Non trattenermi», sussurrò alla moglie. E si spense. Dostoevskij, però, «moriuna prima volta, 28 anni prima. Andò cosi. Era l'alba del 22 dicembre 1849 e i «petrascevcy» — i prigionieri condannati al patibolo perché sospettati di aver partecipato alle riunioni dei socialisti utopisti — vengono caricati sulle sgangherate carrozze della polizia zarista. Tra loro c'è Dostoevskij. Era stato pescato qualche mese prima in una sala dove si riunivano i seguaci di Petrasevskij. Era andato con un amico, per caso: si proclamò sempre innocente. Non fu creduto e gli confermarono l'arresto. Dopo la retata fu rinchiuso nella fortezza dì Pietro e Paolo a Pietroburgo, da dove — quella mattina — era stato prelevato con gli altri presunti cospiratori. Tre quarti d'ora dopo le carrozze-cellulare si fermano nell'immensa piazza Semionovski, bianca di neve. Al centro c'è un palco e, sopra, un patibolo. Un ufficiale fa l'appello e dopo ogni nome dice: «Condannato a morte». La sua voce, quegli ordini, rimbombano sulla spianata davanti alla cattedrale, dove adesso, al culmine del tragico rituale della morte, s'affaccia un tiepido sole. I condannati vengono fatti inginocchiare tra il rullo dei tamburi e squilli di tromba. I soldati infilano cappucci sul capo dei condannati perché non possano vedere il boia; poi indossano un lungo abito bianco e infine vengono legati al palo. I carnefici spezzano una spada sul capo di ogni condannato. Da quel momento, per la legge, non hanno più nessun diritto. Dostoevskij e gli altri hanno ancora pochi istanti di vita. Sentono caricare i fucili. Poi scende il silenzio, rotto dopo pochi minuti da un nuovo urlo della tromba. Infine, ancora il silenzio. Dopo altri interminabili istanti qualcuno toglie il cappuccio dal capo dei condannati e la tromba attacca con la «ritirata». Adesso vengono fatti rialzare, mentre cominciavano a sentire la morte addosso. Lo stesso ufficiale che aveva scandito l'appello, sale sul palco e dice: «I colpevoli, pur avendo meritato la pena di morte secondo i termini della legge, sono graziati per la clemenza infinita di sua maestà l'imperatore». Legge quindi le pene alternative. A Dostoevskij toccano otto anni di carcere duro in Siberia e la degradazione (era infatti un ufficiale del genio zarista). Lo scenario del patibolo è stato una macabra farsa. A Dostoevskij, non sembra vero. Quella scossa psicologica lascerà il segno per tutta la sua vita. Dirà in seguito che in quegli attimi di sospensione tra vita e morte, imparò a capire e godere perfino le schegge del tempo, i minuti e i secondi. Racconterà che dopo la «grazia» non gli importava più nulla di ciò che gli sarebbe successo: ergastolo? lavori forzati? l'importante era essere vivi. Dicono poi che fu poco dopo la finta esecuzione che Dostoevskij manifestò i primi attacchi di epilessia. Altri studiosi fanno invece coincidere i primi sintomi del male con la morte del padre di Fiodor, il tra¬ cotante Machail Andrevic, che fu ucciso dai suoi contadini, esasperati dalle sue crudeltà. Dostoevskij ha raccontato la «propria morte- in uno dei suoi più grandi romanzi, «L'idiota», dove mostra con le parole i segni della profonda ferita psicologica. Il principe Myskin — :/ protagonista — è l'«alter ego- romanzato dello scrittore: come lui epilettico, come lui soprav¬ vissuto al patibolo. Le pagine che raccontano e descrivono il supplizio sono un appassionato, civile e bellissimo appello contro la pena di morte. g. m. Fedor Dostoevskij
Luoghi citati: Pietroburgo, Siberia
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