A Ivrea gran carosello storico per la Mugnaia poi sfrenata battaglia delle arance nelle piazze

A Ivrea gran carosello storico per la Mugnaia poi sfrenata battaglia delle arance nelle piazze A Ivrea gran carosello storico per la Mugnaia poi sfrenata battaglia delle arance nelle piazze La «vezzosa» Mugnaia, primDAL NOSTRO INVIATO IVREA — Odore di arance e suono di pifferi: questo è il ricordo che si porta a casa il •forestiero' che assista al secondo atto del carnevale di Ivrea, culminato ieri nella battaglia delle arance sulle piazze. Ed è questo il vero sapore — che nessuna telecamera potrà mai cogliere — di una tradizione che, pur vecchia di secoli, ogni volta si ripropone con nuovi motivi. L'odore è acre, penetrante: presto te lo porti addosso e lo respiri come una nebbia sottile. La musica dei pifferi, diversa a seconda del rione attraversato — marce militari dell'epoca napoleonica e del Risorgimento, allegre monferrine alternate alle •obade», serenate di trovatori provenzali — fa da filo conduttore e da amalgama alla sceneggiata. Ai pifferi e ai tamburi dalle fiammanti divise rosse e verdi, più che ai primattori è affidato il successo dello spettacolo che si svolge in vari tempi. Tocca infatti ai pifferi all'Epifania suonare la 'diana- annunciando la manifestazione che, secondo la documentazione dei verbali, risale al 1808, ma che è certamente assai più antica come scontro di campanile tra i vari rioni. Di anno in anno però il •carnevale» di Ivrea si stacca sempre più dall'etichetta ufficiale per valorizzare quello che è il suo vero carat¬ adonna del Carnevale (Elisabetta tere di •carosello». E' infatti una pittoresca parata militare di altri tempi con armigeri michelangioleschi in corazza ed elmo su brache a strisce colorate, ufficiali francesi con pennacchio, speroni e sciabola, tamburi, tromboni, alfieri con stendardi ricamati e universitari dal cappello appuntito. Una festa «della non ragione» che mescola i secoli e indispettisce gli uomini di cultura, ma anche — come dice l'ordinanza del generale Davide Olivetti appesa in ogni vetrina — «gioiose giornate per continuare e tramandare in modo sempre più sentito le schiette tradizioni popolari di cui noi tutti siamo gelosi custodi». Giornate da vivere calzando il rosso berretto della li' berta, che ha ormai raggiunto sulle bancarelle le 500C: lire e che potrebbe diventare un veicolo pubblicitario di primurdine. Ma Ivrea — fa Ivrea dei Giacosa, dei Gozzano, dei romanzi di Salvator Gotta, discreta, signorile, vagamente crepuscolare — rifiuta la pubblicità. Il suo carnevale è una commedia d'arte che si tramanda di padre in figlio mantenendo intatto l'anelito patriottico da cui ha preso lo spunto. Berretti rossi, ma anche i bianchi gabbiani della Dora, i civici stendardi con la croce rossa che sventolano sui pali della luce, le strade ricoperte dalle arance schiacciate e dalle tracce degli scalpitanti Martini Pollano) sul carro cavalli tra cui i coriandoli sembrano caduti per sbaglio e una folla di più di 50 mila persone a viso scoperto, senza neanche una maschera. Ieri mattina, a detta dei cavanesani autentici, si è svolto il momento più bello della rievocazione: la distruzione del Castellaccio e il lancio della •preda in Dora». Quando nel 1152 Federico I di Svevia detto il Barbarossa sali in trono, in Italia stavano nascendo uno dopo l'altro i liberi comuni. A Ivrea Barbarossa insediò con pieni poteri Ranieri di Biandrate sovrapponendolo al Vescovo e al borgomastro e restituendogli il Castello di San Maurizio, che più tardi diventerà il Castellaccio, simbolo della tirannia da distruggere. Nel 1194 una sommossa popolare cacciò il Biandrate e rase al suolo il castello. Ma ecco, 72 anni dopo, Guglielmo VII marchese di Monferrato prendere possesso della città e ricostruire il maniero. Breve gloria: fini in una gabbia di ferro prigioniero degli alessandrini e dopo la sua morte il castello fu per la seconda volta distrutto. E' l'episodio ricordato con la •preda in Dora». Il podestà (Giuseppe Mondino» ieri è salito in portantina ai resti dell'edificio che si scorgono dopo il primo ponte sulla Dora e con un martello trecentesco ha staccato la •preda», un pietrone di cinque chili che è stato poi portato sul ponte vecchio e, mentre il campanone della torre civica suonava a distesa, scagliato nel fiume: «Facciamo questo in dispregio del marchese dei Monferrato, né permetteremo che alcun edificio abbia a sorgere ove erano le torri del marchese». Anche la sfrenata battaglia delle arance ha origini antichissime, si riallaccia infatti ai fagioli che, ieri, cotti per un'intera nottata, sono stati distribuiti a partire dall'alba in piazza Maretta. Un tempo, regalati alla plebe dal feudatario in vena di generosità, venivano poi gettati via per le strade in segno di disprezzo. Nell'intreccio storico a metà del secolo scorso è stata inserita la vicenda medioevale della bella mugnaia che mozzò la testa al signore e l'infilò sulla spada mostran¬ dola al popolo per indurlo alla rivolta. Il cocchio dorato della • vezzosa» mugnaia (Elisabetta Martini Pollono, 26 anni) ha aperto nel pomeriggio il corteo storico a cui quest'anno è stato aggiunta, forse per colmare i salti di secoli, una cavalcata di personaggi in costumi quattrocenteschi. Poi nelle piasse principali gran battaglia delle arance tra castellani sui carri e popolo a piedi o sui balconi. Uno spettacolo di violenza spontanea che suscita negli spettatori una straordinaria suggestione. Di volta in volta il numero degli aranceri cresce. Ormai sono più di 1200. Consumano un quintale di arance ciascuno (ne sono stati fatti arrivare dal Sud 1850 quintali a 250 lire il chilo). E poiché lo spettacolo si ripete oggi e domani, il costo del carnevale sale a 350 milioni a cui, come ammette il presidente dell'Azienda di turismo Stefano Strobbia, gli enti pubblici possono contribuire solo in minima parte. Il resto è offerta volontaria. C'è da temere che prima o poi le solite difficoltà finanziarie possano interrompere quella che senza dubbio è una delle tradizioni più coreografiche e soprattutto più ricche di linfe popolari dell'intero Piemonte. Vittoria Sincer Un momento della violenta battaglia delle arance

Persone citate: Barbarossa, Davide Olivetti, Elisabetta Martini Pollono, Giacosa, Giuseppe Mondino, Guglielmo Vii, Martini Pollano, Salvator Gotta, Stefano Strobbia