S'insedia il neo presidente argentino erede di un Paese vicino al tracollo

S'insedia il neo presidente argentino erede di un Paese vicino al tracollo Come primo provvedimento Viola ha chiuso il mercato dei cambi S'insedia il neo presidente argentino erede di un Paese vicino al tracollo BUENOS AIRES — Il nuovo governo argentino presieduto dal generale Roberto Viola, ha chiuso ieri per 24 ore il mercato dei cambi. Oggi sarà annunciata una serie di misure economiche. In serata, il nuovo presidente rivolgerà un messaggio al Paese. NOSTRO SERVIZIO PARTICOLARE BUENOS AIRES — Il generale Viola, ex comandante in capo dell'esercito dal 1978 all'inizio dell'80. si è insediato domenica scorsa come presidente della Repubblica argentina al posto di Videla. Viola, che è stato nominato alla carica dalla giunta dei comandanti in capo delle tre Armi, eredita una catastrofica situazione economica. In materia politica, ha promesso una certa apertura. 'La crisi attuale è più grave di quella del 1976. Cinque anni fa l'apparato produttivo non era deteriorato, e il disordine finanziario non era quello di oggi. Eppure, il regime ha avuto tutte le carte in mano: niente scioperi, niente opposi- zione, un popolo disposto ad accettare le direttive del governo, per non parlare di quattro eccellenti raccolti agricoli in 5 anni.. Questo bilancio è stato fatto da un ex ministro dell'economia argentino fedele alla più rigida ortodossia liberale e favorevole al regime militare, Alvaro Alsogaray, mentre il generale-presidente cedeva il posto ad un presidente-generale. E' la constatazione del fallimento di un regime che è riuscito a fare di questa bella parola che è «Argentina» il sinonimo di «barbara repressione». Il colpo di Stato militare del 24 marzo 1976 era previsto: il generale Videla aveva dato un preavviso di 90 giorni, e certamente il putsch era auspicato dalla maggioranza della popolazione. Sotto il «regno» di Isabelita Peròn, elevata alla funzione di Capo dello Stato solo grazie alla vedovanza, il Paese era in pieno sfacelo. Le Forze Armate avevano meditato sull'esempio del Cile e avevano preso tre decisioni destinate a ridimensionare la riprovazione internazionale: non vi sarebbe stato, come nel settembre '73 dall'altra parte delle Ande, un bagno di sangue; non sarebbe stato messo fuori legge il partito comunista: non sarebbero stati rotti i legami economici allacciati con Cuba e con i regimi socialisti dai governi peronisti. Si sa come siano poi andate le cose. Alla metà del 1977 la guerriglia era ormai vinta, ma i militari non rinunciarono a estirpare per sempre il male alle radici. C'era stata si una vera guerra che era costata la vita a centinaia di militari (fra 500 e 1000, a seconda delle fonti). Ma oppositori pacifici, progressisti o semplici liberali, intellettuali sospettati di pensare nel modo «sbagliato», dirigenti sindacali, persone i cui nomi erano scritti su rubriche d'indirizzi trovate in mano ai «cattivi» furono vittime di rapimenti, arresti e omicidi dei quali erano responsabili i «gruppi di lavoro», il nome in codice dei commando di ufficiali e sottufficiali in abito civile. La cosa continuò su grande scala fino al 1978. su scala ridotta fino al 1980. Dopo aver attribuito tutte le denunce di violazioni dei diritti umani ad una campagna di stampa fomentata dai marxisti, i militari scelsero una nuova linea di difesa: certo ci potevano essere stati 'eccessi., nel senso che quella era stata una 'Sporca guerra.. Ma né il generale Videla, né il suo omologo dell'Aviazione accolsero il suggerimento dell'ammiraglio Massera, allora comandante in capo della Marina, di pubblicare già nel 1978 un elenco dei morti e degli scomparsi, e di firmarlo' tutti e tre per evitare che questa mostruosa 'assenza incombesse come uno spettro sulla vita del Paese per un'intera generazione.. In un primo tempo, e questo dava ragione al presidente, gli argentini, forse frastornati dall'esperienza che avevano vissuto, sembrarono disinteressarsi a questi 6 mila-15 mila fantasmi che sono i desaparecidos. Poi la paura è diminuita, e questo problema ha incominciato a rodere le coscienze. Mentre reprimeva gli oppositori, il regime tentava di rimettere ordine nell'economia. Una settimana dopo il colpo di Stato il ministro incaricato, José Martinez de Hoz, pubblicò il suo piano di risanamento: un piano ortodosso che prevedeva il riequilibrio del bilancio attraverso tagli alle spese, apertura all'estero con la riduzione delle barriere doganali e migliori condizioni per gli investimenti stranieri, minor controllo dello Stato, abolizione del controllo dei prezzi. Ma il sistema si è inceppato all'inizio del 1980. La disoccupazione è aumentata, i risultati di quell'anno sono stati catastrofici, la crescita è stata nulla, il debito estero è passato da 28 a 30 miliardi di dollari. Oltre 50 banche sono fallite, centinaia di industriali sono comparsi in tribunale per bancarotta. Cinque anni sprecati. Nel febbraio dell'81 viene decisa la svalutazione del 10 per cento, è il panico. Ultimo problema per Viola è la politica estera. A parte le dispute territoriali con il Cile per il Canale di Beagle e con l'Inghilterra per le isole Falkland, c'è la grave questione dell'allineamento geopolitico dell'Argentina, che, approfittando della freddezza con Carter per la vicenda dei diritti umani, ha rafforzato la politica inaugurata nel 1973 di avvicinamento al blocco socialista. Nel 1980. circa il 30 per cento delle esportazioni sono andate all'Urss, divenuta così il primo partner in cambio di turbine e della promessa di acqua pesante e uranio arricchito per il primo programma nucleare d'America Latina. Il recente viaggio di Viola a Washington ha dissipato le ombre? In caso di gravi tensioni, l'Argentina probabilmente starà con gli Usa; ma è anche dubbio che rinunci ad un margine d'indipendenza che si è ritagliata nel corso degli anni. Jean-Pierre Clerc Copyright «I .<-■ Monde» e per l'Italia «l.a Stampa»

Persone citate: Alvaro Alsogaray, José Martinez, Massera, Pierre Clerc, Roberto Viola, Videla