Terrorismo: vuole giustizia la vedova che ebbe 300 mila lire di indennizzo di Giuliano Marchesini

Terrorismo: vuole giustizia la vedova che ebbe 300 mila lire di indennizzo Presentata ieri la domanda al tribunale civile di Trento Terrorismo: vuole giustizia la vedova che ebbe 300 mila lire di indennizzo DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE TRENTO — Le diedero 300 mila lire per il sacrificio di suo marito, un agente della polizia ferroviaria dilaniato insieme con un collega dall'esplosione di una bomba alla stazione di Trento. Ieri mattina s'è presentata davanti al giudice del tribunale civile, chiedendo che lo Stato non la consideri diversa dai parenti di tante altre vittime del terrorismo, per i quali sono in vigore norme speciali d'intervento. Si chiama Carla Frapporti, abita in un piccolo condominio in una borgata sopra Trento con i tre figli: Roberto, Luisa e Mirella. A quasi quattordici anni dalla tragedia che ha stravolto la sua famiglia, le è rimasta la medaglia d'oro che fu concessa alla memoria di suo marito, Edoardo Martini. Alla stazione di Trento c'è un monumento che ricorda il dramma del 30 settembre 1967. Quel giorno, con una serie di telefonate anonime, venne segnalata una valigia «sospetta» sul direttissimo Monaco-Roma. La guardia scelta Martini e il maresciallo Filippo Foti si precipitarono sul marciapiede non appena il convoglio imboccò lo scalo trentino, poi balzarono sul treno affollato e misero le mani su quel micidiale bagaglio: la valigia conteneva un ordigno confezionato con dodici chili di esplosivo ad alto potenziale. Mentre i viaggiatori trattenevano il respiro, i due uomini della Polfer portarono la bomba lontano, oltre i fasci di binari: mentre stavano per deporta, lo scoppio tremendo che li dilaniò. Gli autori di quell'attentato non furono scoperti. Nella motivazione con cui si concedeva la medaglia d'oro, l'intervento di Edoardo Martini e Filippo Foti era definito «fulgido atto di eroismo che ha suscitato la commossa riconoscenza della Nazione». Carla Frapporti e i suoi figli non hanno avuto molto di più di quelle parole, in tutti questi anni. Il 19 novembre scorso la vedova dell'agente di polizia s'è rivolta al ministero dell'Interno: sperava che il suo caso rientrasse tra quelli per i quali si interviene in base alle ultime norme a favore delle vittime del terrorismo, che fissano un contributo di cento milioni. Ma le hanno risposto che «tali benefici non sono stati retrodatati all'unno 1967». La vedova dell'agente Martini, dunque, ha ricevuto finora soltanto l'elargizione stabilita quattordici anni fa per le «vittime del dovere» e un indennizzo assicurativo proveniente dal Fondo di assistenza per il personale della Pubblica sicurezza. E in mezzo a un mare difficoltà ha tirato su i tre figli. «Adesso — dice — i grandi sacrifici sono passati, i ragazzi sono cresciuti. Ma è stata proprio tanto dura. A quei tempi eravamo dei poveretti. Continuavo a ripetermi: come farò ad andare avanti? Vennero a casa mia il ministro Restivo, il capo della polizia e un generale. Mi dissero: signora, cercheremo di fare qualcosa, di aiutarla». Carla Frapporti sospira: «La prima pensione era di 57 mila lire. Per fortuna, mi ha dato una mano altra gente. Ma ho dovuto mettere in collegio il bambino piti grande: proprio non ce la facevo». Ora, la vedova dell'agente Martini domanda al tribunale che le si rivaluti questo gran peso, e manda avanti la causa contro lo Stato. «Non lo faccio mica per il denaro, sapete. Mi sono decisa a questo passo perché voglio giustizia. Vediamo cosa dice il tribunale: se quello che chiedo è giusto oppure no. Sono la vedova di una vittima del terrorismo, e allora devo essere come le altre. Se non domandassi questo, mi sembrerebbe persino di calpestare la memoria di mio marito». Il suo avvocato, Andrea Di Francia, ha presentato ieri mattina le argomentazioni al giudice Vincenzo Lallo. Se Carla Frapporti, osserva il legale, «é consolata dal ricordo del marito, non lo è anche da una diversa realtà che nei fatti e atto -erso gli organi rappresentativi e di governo avrebbe dovuto testimoniare quella commossa riconoscenza della nazione». Aggiunge che l'aver operato una distinzione temporale fra le vittime del terrorismo dal 1973 in poi e quelle degli anni precedenti «significa aver dimenticato queste ultime e, in termini giuridici, a,ver violato il fondamentale precetto dell'art. 3 della Carta costituzionale». L'avvocato dello Stato, Maurizio De Franchis, ripete che gli aumenti degli interventi non sono retroattivi fino a comprendere il caso dei parenti di chi è rimasto ucciso nell'attentato del 30 settembre 1967. La causa, nella quale s'è inserita anche la madre di Filippo Foti, è stata aggiornata al 22 maggio . Mentre procede l'esame delle carte, si aspetta di sapere se quella di un agente ucciso dai terroristi quasi quattordici anni fa sia una vedova «troppo lontana». Giuliano Marchesini

Luoghi citati: Roma, Trento