Il cavallo non beve di Mario Salvatorelli

Il cavallo non beve Il costo del denaro è proibitivo, le aziende investono meno Il cavallo non beve «I piccoli imprenditori — affermano Modiano e Spinella — sono costretti a rivedere le loro esposizioni bancarie» - «Ma anche la grande industria — dice Mandelli — deve ripensare sui piani» - Parlano i banchieri Banfi e Ossola ROMA — Le aziende, industriali e del credito, non hanno atteso il dibattito in Parlamento per rifare i conti, dopo le recenti misure che hanno ulteriormente • ridotto la quantità, e aumentato il costo, del denaro disponibile per l'economia. Le imprese devono vedere se «ci stanno dentro», e orientare in ogni caso i programmi d'investimento a fini immediatamente redditizi. E tra questi prevalgono, ma non solo in Italia, quelli per ridurre l'incidenza della mano d'opera sul costo del prodotto finito. Le banche devono selezionare al massimo i prestiti, dato lo scarso denaro disponibile — ormai è meno della metà dei depositi — per evitare che le «sofferenze», cioè i prestiti non rimborsati regolarmente, superino i 11- velli di guardia. E' un po' questo il succo delle risposte alla domanda: «Il cavallo beve?», che abbiamo rivolto ad esponenti del credito e dell'industria. Il cavallo, cioè il sistema produttivo, beve poco, vale a dire non richiede molti denari, perché lo zampillo è scarso e l'acqua, già troppo calda, oggi è diventata bollente. Per Marcello Modiano e Giuseppe Spinella, presidenti delle piccole aziende aderenti rispettivamente alla Conf industria e alla Confapi, il costo del denaro è diventato proibitivo. L'interesse ci sarebbe, e lo dimostrano l'attenzione con la quale si segue ogni discorso di rinnovamento e razionalizzazione degl'impianti, e il fatto che gran parte delle aziende minori hanno pronti piani che avevano fatto per realizzarli, non per chiuderli in un cassetto. Se vi rinunciano, è perché, dopo l'aumento del tasso di sconto al 19 per cento e del «prime-rate» (il tasso per i clienti privilegiati), al 22,5 per cento, il costo del denaro per le aziende minori oscillerà tra il 26 e il 28 per cento, con massimi anche del 30 a Sud, dove l'aggiunta di due punti è quasi una regola. I piccoli imprenditori, pertanto, dicono Modiano e Spinella, sono costretti a tirare i remi in barca, con pregiudizio della produttività nazionale e della capacità di assorbire occupazione. Rimangono in attesa della prevista ondata di richieste di «rientro», da parte delle banche, anche quegli imprenditori che avevano, fino a ieri, la possibilità di «andare in rosso» per una certa cifra, i 50, i 100 milioni, sui loro conti correnti, con tutte le debite garanzie e pagando massimali e interessi. Ma la «fuga dal credito», più o meno volontaria, non riguarda solo i piccoli. Walter Mandelli, vice-presidente della Confindustria, riconosce che tutte le aziende hanno bisogno di fare investimenti per ridurre i costi, quindi per risparmiare lavoro, e non solo in Italia, ma in tutto il mondo. In sostanza, per rimanere competitive e non essere buttate fuori dai mercati internazionali (quello italiano compreso), tutte le aziende, piccole e grandi, devono ridurre il rapporto tra occupazione e produzione. Ma quan¬ do il costo del denaro diventa proibitivo, anche questo investimento diventa impossibile. Il discorso dei banchieri, pur con sfumature diverse, non contrasta quello degli imprenditori. Rodolfo Banfi, presidente del Mediocredito Centrale, l'istituto che fornisce il denaro per i crediti a tasso agevolato alle industrie e per le esportazioni, denuncia la scarsità di fondi e la difficoltà di reperirli sul mercato, interno ed estero. La raccolta deve fare i conti all'interno con una concorrenza che può offrire alti interessi, soprattutto per i titoli del Tesoro, e all'estero con le incognite legate ai rapporti di cambio e più ancora all'andamento dei tassi d'interesse sul mercato dell'eurodollaro. Ora sembra che il governo, nel dibattito in corso in Parlamento, voglia finalmente condurre in porto la richiesta di nuovi fondi, avanzata dal Mediocredito fin dalla metà dell'anno scorso. Intanto, però, le aziende di credito preferiscono l'impiego normale, nel timore di non avere il congua¬ glio tra i tassi di mercato e quelli agevolati. A questo punto, ci si può chiedere se è un bene o un male che il cavallo beva poco. Rinaldo Ossola, presidente del Banco di Napoli, ritiene che sia un bene. Dopo aver definito «corrette, chiare e logiche» le misure prese dal ministro del Tesoro e dal governatore della Banca d'Italia, afferma che per riagganciare la nostra economia alle condizioni del mercato mondiale, sia necessario almeno un anno di «penitenza». Questo significa, a suo giudizio, non aumentare i consumi, né i salari in termini reali, cioè al netto dell'inflazione, significa bloccare la scala mobile per un periodo di 9-12 mesi. Perché la situazione si è deteriorata a tal punto, che «occorrono operazioni chirurgiche, e non più semplici cure terapeutiche». C'è da chiedersi, in base a una lunga esperienza, se non ci sia il pericolo di dover dire, domani: l'operazione è riuscita, ma il malato è morto. Mario Salvatorelli

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