DOPO LE RIVELAZIONI SULLA SCONFITTA NAVALE ITALIANA NEL MARZO 1941 di Giuseppe Mayda

DOPO LE RIVELAZIONI SULLA SCONFITTA NAVALE ITALIANA NEL MARZO 1941 DOPO LE RIVELAZIONI SULLA SCONFITTA NAVALE ITALIANA NEL MARZO 1941 La lunga notte di Matapan Il tragico agguato dell'ammiraglio inglese Cunningham distrusse cinque nostre navi: i tre incrociatori di Cattaneo (Fiume, Pola e Zara) e due cacciatorpediniere - Non vi fu tradimento, ma le mosse del comandante in capo italiano, Jachino, venivano segnalate in_anticipo grazie alla decifrazione dei messaggi segreti - Fu una storia disgraziata e triste: nel mare di Creta scomparvero, dopo una tremenda agonia, protrattasi per più giorni, tremila ufficiali e marinai d'Italia Su carta giallina, col timbro -Most Secret-, il radiogramma per Churchill cominciava così: -Five ships of the enemy were sunk, burned or destroyed...»: «Cinque navi nemiche furono affondate, incendiate o distrutte. Eccettuata la perdita di un aereo nell'azione, la nostra flotta non ebbe alcun danno. Eventi e informazioni precedenti l'azione, su cui fu basato il mio apprezzamento, sono già noti alle Loro Eccellenze». Chi inviava questo messaggio, la sera del 30 marzo '41 dalla base navale di Alessandria d'Egitto, era l'ammiraglio Andrew B. Cunningham, comandante della Mediterranean Fleet e condensava, in una cinquantina di parole, la vittoria riportata sugli italiani nella battaglia combattuta — nel mare di Creta — fra l'isola di Gaudo e Capo Matapan, estrema punta meridionale della Grecia. Netta vittoria perché tre incrociatori (Pola, Zara, Fiume! e due cacciatorpediniere (Alfieri, Carducci) risultavano affondati mentre la corazzata Vittorio Veneto, lunga 237 metri, 43.600 tonnellate di dislocamento, nove cannoni da 381 millimetri, corazza di 35 centimetri e che innalzava le insegne dell'ammiraglio Angelo lachino, era stata colpita da un siluro. Tuttavia, rivista oggi a quarant'anni esatti di distanza — anche sotto l'ottica di un saggio appena uscito da Mursia, -Il vero traditore«, di Alberto Santoni, in cui si rivelano i documenti segreti inglesi sulla nostra flotta durante la seconda guerra mondiale — Matapan perde l'aspetto della battaglia e assume quello di una gigantesca e tragica trappola in cui morirono tremila marinai italiani. Santoni fonda il suo libro — e, quindi, anche la ricostruzione di Matapan — su una eccezionale serie di documenti del Public Record Office cui ha potuto accedere (e ne pubblica anche uno curioso, pervenuto al Foreign Office il 14 marzo '41, nel quale si rivela — non si sa con quanta fondatezza — che una ventina di alti ufficiali della Marina italiana sarebbero stati disposti a vendere agli inglesi le iiostre navi da battaglia, arrendendosi con esse: 300 mila dollari una corazzata, 60 mila dollari un incrociatore pesante e, giù, giù, fino ai 15 mila dollari di una torpediniera. Poi, naturalmente, non se ne fece nulla e Churchill annotò di suo pugno sulla comunicazione: «Tutto ciò mi sembra fuori della realtà»). in sostanza, Matapan fu da un lato il risultato della vasta e precisa penetrazione — da parte inglese — di tutti i nostri codici e cifrari segreti, specialmente quello catturato da un -commando» a Castelrosso, per cui Cunningham conobbe in anticipo e con precisione le mosse della nostra flotta (ed Eden, nel suo diario, sotto la data del 27 marzo 1941 fu in grado di annotare come un autentico profeta: «La fiotta italiana ha lasciato le sue basi e si prevede uno scontro navale al largo di Creta verso l'alba »); dall'altro, Matapan fu anche causata da nostri errori di tattica e da valutazioni profondamente sbagliate di dati obiettivi. La strategia La battaglia di Gaudo e Matapan nacque da un'esigenza strategica. La flotta italiana, dopo Punta Stilo e Capo Spada (luglio 1940), si era rinchiusa nei porti ma anche qui aveva dovuto subire duri attacchi come quello di Taranto (11-12 novembre 1940) quando gli aerosiluranti di Cunningham avevano colpito la Cavour, la Littorio e la Duilio. Il Seekriegsleitung, lo Stato Maggiore della Marina tedesca, nel convegno di Merano del 13 e 14 febbraio '41 fece pressioni perché la flotta italiana passasse all'offensiva, assicurò l'appoggio della propria aviazione (che, invece, poi mancherà) e suggerì di puntare, come obiettivo più immediato, sulla distruzione dei convogli inglesi che, dall'Egitto, trasferivano in Grecia rinforzi di uomini e di materiali. Il siluro Cosi, mercoledì 26 marzo '41 l'ammiraglio lachino rice-' vette un ordine di operazioni — segretissimo e in doppia busta — che diceva: «Supermarina 51106 - Decifri da sé "Vittorio Veneto" e I. III e Vili Divisione navale con cacciatorpediniere eseguiranno il giorno X da stabilirsi attacco al traffico nemico zona Sud di Gaudo e zona occidentale Egeo». // giorno X era l'indomani, 27 marzo, e quella notte, alle21,30, la Vittorio Veneto lasciò silenziosamente il porto di Napoli per raggiungere lo Stretto di Messina dove la attendevano gli incrociatori Zara, Pola, Fiume, Duca degli Abruzzi, Garibaldi, Trieste, Trento e Bolzano. Secondo i piani di Supermarina la squadra doveva dirigere per Oriente e trovarsi, all'alba di venerdì 28, nelle acque di Gaudo pronta ad attaccare i convogli inglesi ma, molto prima di quell'ora, Cunningham — che sapeva dai crittografi del servizio segreto la consistenza e la rotta del nemico e che l'-ombrello» aereo tedesco non ci sarebbe stato — aveva già aperto la sua trappola: prima aveva dato ordine al convoglio -A.G.9», diretto al Pireo carico di truppe, di mantenere la rotta fino al tramonto di giovedì 27, e di tornare indietro solo col buio, per dare a lachino l'impressione dell'assoluta normalità nella zona; poi aveva inviato a Sud di Gaudo la Forza B e la Forza C, costituite da incrociatori, per intercettare il nemico e attrarlo nell'agguato: infine, nella serata di quel giorno egli stesso aveva preso segretamente il mare con la Forza A. composta dalla Warspite, dalla Barham (due corazzate che i tedeschi avevano già date per affondate), dalla Valiante dalla Formidable. Il meccanismo della trappola scattò alle 8 del mattino di venerdì 28 quando incrociatori inglesi e italiani si avvistarono a Sud di Gaudo. Quelli della Mediterranean Fleet, guidati dall'ammiraglio Pridham-Wippel dopo un furibondo scambio di bordate si ritirarono precipitosamente simulando una fuga ma attirando così la squadra italiana in bocca alla Forza A che stava sopraggiungendo. Accorciate le distanze nel giro di poche ore, la Formidable lanciò le sue squadriglie di Swordfish e, alle 15,20, l'aereo pilotato dal capitano di corvetta J. Dalyell-Stead riuscì a colpire la Vittorio Veneto con un siluro a poppa, all'altezza dell'elica sinistra. L'ammiraglia, ferita, imbarcò quattromila tonnellate d'acqua e dovette ridurre la velocità sicché lochino, alle 16,45, si vide costretto a invertire la rotta cercando di chiudere la Vittorio Veneto in un quadrato di navi e lasciando liberi di raggiungere Taranto, distante 800 chilometri, soltanto gli incrociatori minori. Duca degli Abruzzi e Garibaldi Era ormai la sera di venerdì 28 marzo, giorno di San Sisto. Il sole tramontava alle 18,55 e trentacinque minuti dopo, quando il crepuscolo cedette alla notte, gli inglesi — che inseguendo i nostri erano arrivati al largo di Capo Matapan — lanciarono un nuovo attacco di aerosiluranti. Nello scompiglio che seguì — perché nell'insolita formazione a quadrilatero le navi italiane erano obbligate a improvvise e rapide accostate per evitare gli attacchi — il Pola fu raggiunto da un siluro che lo immobilizzò privandolo anche dell'energia elettrica così da non poter neppure muovere le torri dei cannoni. Purtroppo, soltanto alle 20,11 la Vittorio Veneto intercettò il messaggio col quale, dallo Zara, l'ammiraglio Cattaneo chiedeva il permesso di andare in aiuto del Pola. Pare poi che lachino non sapesse con precisione che la Forza A lo stava tallonando da vicino: così, almeno, sostengono oggi alcuni autori con l'autorevole conforto dell'Ufficio Storico (-La Marina italiana nella seconda guerra mondiale», voi. IV, Le azioni navali in Mediterraneo dal 10 giugno 1940 al 31 marzo 1941: Roma, 1970; pag. 447 e segg.: -...Ne derivò che, non solo egli (Iachinol non seppe della presenza in mare di tre navi da battaglia ma nemmeno potè prevedere che al tramonto del giorno 28 esse sarebbero state cosi vicine alle nostre forze navali e al punto in cui il Pola si trovava immobilizzato...»). Risulta, tuttavia, che alle 20,05 di quella sera, tredici minuti prima di decidere l'invio dei soccorsi al Pola (con l'ordine che Fiume e Zara e i caccia Alfieri, Carducci, Oriani e Gioberti invertissero la rotta) lachino aveva ricevuto da Supermarina un telegramma — oggi conservato agli atti — nel quale lo si avvertiva che la Forza A era a 75 miglia per 110' dalla sua squadra: con qualche calcolo sulle rispettive velocità si poteva prevedere che la 1° Divisione di Cattaneo avrebbe raggiunto il Pola solo un'ora e mezzo prima dell'arrivo degli inglesi nella stessa zona per cui il nemico ci avrebbe colti nella delicatissima fase di rimorchio del Pola o del trasbordo del suo equipaggio. Il gruppo dell'ammiraglio Cattaneo fu in vista dell'incrociatore colpito alle 22,30 ma, sul posto, si trovavano già la Warspite, la Barham e' la Valiant che, individuato il relitto del Pola con i binocoli notturni, erano convinte d'aver di fronte la Vittorio Veneto (e all'equivoco si aggiunse l'equivoco: il comandante del Pola. capitano di vascello Manlio De Pisa, scorgendo delle sagome scure avvicinarsi e credendo che si trattasse di navi amiche inviate in soccorso, lanciò un razzo rosso per segnalare la propria posizione). Un razzo rosso A bruciapelo, da meno di 3500 metri, ventiquattro grossissimi calibri crivellarono di colpi gli incrociatori e i caccia italiani: sullo Zara si abbatterono quattro salve da 381 della Warspite, cinque salve della Valiant e cinque della Barham: il Fiume fu centrato da due salve di proiettili da una tonnellata l'uno della Warspite e della Valiant. Subito dopo vennero avvistati anche i quattro caccia e l'effetto della sorpresa fu tale che solo l'Alfieri fece in tempo a rispondere al fuoco prima di essere affondato. Anche il Carducci subì la stessa sorte mentre l'Oriani e il Gioberti poterono salvarsi passando al buio in mezzo alle navi nemiche e rischiando addirittura la collisione con esse. Alle 3,40 del mattino di sabato 29, dopo aver raccolto i superstiti del Pola, l'inglese Jervis lanciò un siluro contro il relitto del nostro incrociatore mandandolo a picco. L'opera di salvataggio continuò fino alle 8 e gli inglesi avevano già issato a bordo 77 ufficiali e 1086 marinai, quando apparvero in cielo alcuni aerei tedeschi. Le navi di Cunningham si allontanarono in fretta ma in quel momento centinaia di naufraghi erano ancora nelle gelide acque di Matapan. Dalla sua nave ammiraglia che puntava verso l'Egitto Cunningham telegrafò a Riccardi, capo di Stato Maggiore della nostra Marina, segnalandogli la posizione e suggerendogli di inviare sul posto una nave ospedale. La lunga notte di Matapan era finita. Giuseppe Mayda