Pertini giovedì in Messico, voce europea (dopo Reagan) nell'America Latina libera di Bernardo Valli

Pertini giovedì in Messico, voce europea (dopo Reagan) nell'America Latina libera Il presidente proseguirà per il Costa Rica e la Colombia Pertini giovedì in Messico, voce europea (dopo Reagan) nell'America Latina libera Lopez Portillo ha richiamato nella capitale i deputati in vacanza e ha invitato l'ospite a pronunciare un discorso - Un viaggio nei Paesi senza dittatori, ai confini con il quotidiano massacro del Salvador DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE CITTA' DEL MESSICO — Il Parlamento messicano si riunirà a fine settimana in seduta straordinaria: per dare risalto alla prima visita di un Presidente della Repubblica italiana, il presidente José Lopez Portillo ha deciso di convocare i deputati in vacanza e ha invitato l'ospite a pronunciare un discorso. E' facile prevedere che Sandro Pertini, uomo di cuore, saprà accendere gli animi dei passionali rappresentanti eletti di una nazione gelosa della propria indipendenza. (Dalla stessa tribuna, nel 1972, un anno prima di essere ucciso a Santiago, il cileno Salvador Allende raccolse un'interminabile ovazione elencando le guerre o le battaglie combattute dal Messico contro il grande vicino del Nord, i cui nomi sono incisi su una colonna nell'emiciclo della Camera dei deputati). Pertini arriva il 26 marzo in un'America Latina che subisce l'impatto della nuova politica di Washington, illustrata da due iniziative: il mini-intervento nel Salvador e la ripresa degli aiuti al Cile del generale Pinochet. La guerra civile nel Salvador, dove ogni notte sono assassinate decine di persone con un colpo di pistola alla nuca, oppure decapitate col machete, preoccupa e appassiona. Il massacro avviene a neppure due ore di volo da Città del Messico. Le reazioni sono contrastanti, in un emisfero dove non mancano le guerriglie, le dittature e le crisi economiche che appesantiscono il sottosviluppo cronico. Le parole di un capo di Stato europeo, rivolte in questo momento a uno dei rari Parlamenti democratici del continente, saranno seguite con una certa attenzione, non soltanto entro i confini messicani. Il giorno in cui Carter («Pidei Carter») è stato sconfitto, a Città del Guatemala il generale Romeo Lucas Garcia ha festeggiato l'avvenimento con fuochi d'artificio, e gruppi di destra, impegnati a combattere col terrorismo la guerriglia, hanno fatto una serenata ai marines di guardia all'ambasciata americana, in omaggio a Reagan e per celebrare la fine della politica dei diritti dell'uomo. A Managua, dove la giovane e incerta rivoluzione sandinista oscilla tra autoritarismo e pluralismo politico, l'avvento della nuova amministrazione è stato invece accolto con apprensione. E a Cuba, ormai ventennale bastione comunista alle porte della Florida, da quel giorno ci si prepara a tempi difficili. Il Messico, prima tappa del viaggio latino-americano di Pertini, rappresenta un capitolo a parte. In gennaio, prima ancora di entrare alla Casa Bianca. Reagan ha voluto incontrare sul confine Lopez Portillo per dissipare o attenuare la prevedibile diffidenza dei messicani. Nonostante quel gesto di riguardo, sono subito affiorati vecchi e nuovi contrasti, appena il neo Presidente ha puntato il dito sul Salvador e ha deciso di sostenere la giunta militare-democristiana con l'invio di consiglieri e di armi. Lopez Portillo ha subito criticato la politica del bigstick (del bastone) risfoderata da Reagan. Il settimanale Us News and World Report scorge nell'atteggiamento messicano il desiderio di evitare che nel futuro gli Stati Uniti considerino la loro azione nel piccolo Salvador come un precedente per intervenire nel grande Messico, se i loro interessi petroliferi nel Medio Oriente fossero seriamente minacciati. Infatti i giacimenti messicani diventerebbero in tal caso essenziali per Washington. Lopez Portillo vuole altresì evitare che l'America Latina diventi un terreno di scontro tra Usa e Urss. Si teme nell'immediato, a Città del Messico, che un intervento sovietico in Polonia provochi, come risposta, un'azione americana in direzione di Cuba. Molti dirigenti messicani che Pertini incontrerà — e tra questi il ministro degli Esteri, Jorge Castaneda, e il presidente del partito rivoluzionario istituzionale al potere, Gustavo Carbajal — hanno auspicato una vittoria della sinistra nella guerra civile salvadoregna. Il Fronte democratico rivoluzionario, espressione politica della guerriglia, ha un quartier generale a Città del Messico e un Comitato messicano di solidarietà cerca di organizzare, perlomeno formalmente, una brigata internazionale per combattere contro «l'intervento l/sa» nel Salvador. Al tempo stesso, è vero, l'esercito nazionale messicano, fino a ieri trascurato, si sta adesso dotando di armi moderne — comperate negli Stati Uniti, in Europa e in Israele Complotto contro Sadat — per proteggere i confini meridionali dalle infiltrazioni dei gruppi rivoluzionari provenienti dal Guatemala. La politica ufficiale messicana, amichevole nei confronti di Cuba, anche nei momenti di maggior isolamento del regime castrista, e del Nicaragua postsomozista, sarebbe in sostanza pure un'azione preventiva, tendente a non lasciar spazio di manovra ai movimenti di sinistra e rivoluzionari, all'interno e all'esterno. Inoltre, le puntuali critiche nei confronti di Washington servirebbero a monopolizzare i sentimenti nazionali antiyankee. E' un comportamento che rientra nella tradizione e che non ha impedito ottimi rapporti con gli Stati Uniti. Le relazioni tra i due Paesi si esprimono attraverso un codice che talvolta può trarre in inganno. Ciò non toglie che in queste settimane il Messico condanni sinceramente la linea in¬ transigente adottata da Reagan nell'America Latina: la disapprova perché ritiene che soltanto attraverso soluzioni politiche e riforme si possono evitare o contenere le esplosioni sociali e le conseguenti interferenze cubane e sovietiche. Dittature e repressioni alimentano le rivolte. L'europeo che sul suo continente ha condannato l'intervento in Ungheria e in Cecoslovacchia, che ha deplorato quello in Afghanistan e che ora segue con trepidazione gli avvenimenti polacchi, qui si sente talvolta nella scomoda posizione dei cari, ambigui personaggi dei romanzi di Graham Greene. i quali cambiano l'obiettivo della loro indignazione secondo il parallelo su cui si trovano, pur considerandosi ancorati a un'unica morale. Questo europeo, angosciato dai due imperialismi, capisce la politica messicana, talvolta la condivide. Come la condivide l'Internazionale socialista, cui appartengono molti partiti che sono «atlantici» sul vecchio continente, e che qui si pronunciano invece in favore di alcune guerriglie, quella salvadoregna ad esempio. Durante il suo periplo latino-americano, Sandro Pertini visiterà tre capitali senza dittatore: Città del Messico. San José di Costarica e Bogotà. La scelta è significativa. Questa metropoli è comunque la tappa principale, non solo per le sue dimensioni (14 milioni d'abitanti sui sessantotto che ne conta il Messico), ma anche per il suo prestigio politico nell'emisfero. Bernardo Valli a5® X COLOMBIA Le tappe del viaggio americano del presidente Pertini che si inizia domani da Roma