Béla Bartók, la musica della libertà di Massimo Mila

Béla Bartók, la musica della libertà CENT'ANNI FA NASCEVA IN UNGHERIA E GIÀ' COMINCIA A DIVENTARE UN CLASSICO Béla Bartók, la musica della libertà Andò esule in America per sfuggire al nazismo - Si sapeva che era un grande studioso di etnofonia danubiana e balcanica - Ma come compositore «moderno» era noto solo a pochi intenditori - La sua fortuna postuma nel primo dopoguerra fu uno degli esempi più evidenti delle trasformazioni avvenute nel gusto musicale tra l'autunno del 39 e la primavera del '45 - Leibowitz e Boulez poi lo ridimensionarono - Ora attraversa quella fase delicata, che è il passaggio dalla modernità alla storia - Che cosa significa oggi Bartók per noi? Iprimi anni dopo la guerra, perfino i primi mesi, furono per la musica un tempo di entusiasmi, di sorprese e quasi di portenti. Pareva che il conflitto avesse tutto fermato, e invece naturalmente la musica aveva continuato a vivere nell'ombra. Forme nuove erano maturate silenziosamente, e ora si presentavano d'improvviso, già pienamente realizzate. Il mondo musicale era andato a dormire neoclassico in quella sinistra èra che fu l'autunno 1939, e si risvegliava espressionista in quell'alba incerta e speranzosa che fu la primavera 1945. Una notte ch'era durata cinque anni. Tutto era cambiato nel mondo della musica, come in quel villaggio «entre Denges et Denezy», dove il soldato strawinskyano rientrava «cbez lui» per i suoi «quinze jours de congé». La musica stessa, o più esattamente la realtà acustica, l'universo dei suoni e dei rumori era stato arricchito dalla guerra di fenomeni spaventosi, di cui l'arte dei compositori si sarebbe ricordata. Nel movimento confuso di questa impetuosa ripresa di vita, nel confluire di tante energie ch'erano rimaste isolate durante la tempesta bellica e ora, al primo soffio della pace, ricomparivano e si cercavano, si confrontavano, si mescolavano in una specie di maelstròm sonoro, il riflusso della musica di Béla Bartók dall'America all'Europa devastata fu uno degli elementi più vistosi. Soltanto la musica, purtroppo, ripercorse quell'Oceano Atlantico che il compositore aveva varcato a bordo di uno degli ultimi Clipper in partenza da Lisbo¬ na, per sfuggire all'idra nazista che dilagava nel vecchio continente. L'artista si era spento a New York il 26 settembre 1945: al suo organismo indebolito dalla leucemia erano mancate le forze per raggiungere la patria liberata. La fortuna di Bartók nell'immediato dopoguerra fu uno degli esempi più evidenti delle trasformazioni avvenute nel gusto musicale durante quei cinque anni di penitenza. Quando Bartók era partito dall'Europa, egli era un compositore moderno (allora non si parlava di avanguardia), noto a pochi intenditori; il suo reale profilo artistico era abbastanza confuso nella mente dei più. Un nostro notissimo critico musicale aveva accolto Kodàly nei suoi Musicisti dei tempi nuovi, ma non lui, sospetto di cerebralismo. Pochissimo eseguite erano le sue musiche più significative, come i Quartetti, la Musica per archi, percussione e celesta, la Sonata per due pianoforti e percussione, sulle sui difficoltà correvano leggende paurose. Si sapeva ch'era un grande studioso della etnofonia danubiana e balcanica e che la sua musica si appoggiava in qualche modo sulle risorse dell'arte popolare, e proprio ciò contribuiva a creare qualche equivoco intorno a essa, come pure il fatto che le prime composizioni con le quali Bartók era riuscito a spezzare l'isolamento artistico dell'Ungheria e ad imporsi all'attenzione dei circoli musicali europei intorno al 1926 erano la Sonata per pianoforte e il primo Concerto per pianoforte e orchestra, d'un atteggiamento neoclassico insolito e quasi unico nella sua produzione. Adesso le composizioni dell'esilio americano, principalmente il Concerto per orchestra e il terzo Concerto per pianoforte, restituivano un musicista assai diverso: non più un «moderno» per pochi conoscitori che frequentavano i festival della Siine (Società italiana di musica contemporanea), ma un musicista popolare; un musicista che pur parlando un linguaggio del nostro tempo, osava rivolgersi a una vasta cerchia di ascoltatori e riusciva a stabilire con loro una comunicazione. L'ultimo musicista — fu detto — che sapesse fondare un discorso diretto, in persona prima, senza il ripiego in corner della parodia, senza far musica al quadrato, senza ammicchi d'intesa ad ascoltatori provveduti e senza ricorrere ad un linguaggio comprensibile solo a pochi iniziati. In Italia, nell'inverno che seguì alla morte del compositore, la diffusione del Concerto per or¬ chestra a opera di Guido Cantelli, il giovanissimo direttore avviato a raccogliere l'eredità di Toscanini, pareva annunciare l'avvento di una età dell'oro per la ripresa della vita musicale. Parte di quelle speranze è caduta, e il corso seguito dalla musica negli anni successivi s'incaricò di ridimensionare l'esaltante scoperta postuma della grandezza bartokiana. Nel 1947 venne il crudele articolo di Leibowitz ne Les Temps modernes, che riduceva la validità di Bartók ai pochi casi di esaurimento del totale cromatico. Dieci anni dopo, meno dogmaticamente, Pierre Boulez liquidava Bartók con un tono di compatimento affettuoso, un po' somigliante all'«on t'aimait bien, pauvre Oedipe» di Cocteau: «Dell'antico mondo, di cui non può superare le contraddizioni, è verosimilmente l'ultimo rappresentante dotato di spontaneità: generoso al punto d'essere prodigo, scaltro a rischio d'essere ingenuo, patetico e sprovveduto». Che pensare di queste oscillazioni nella valutazione postuma di Béla Bartók? Egli sta attraversando quella fase delicata, nella fortuna d'un musicista, che è il passaggio dalla modernità alla storia. Ci sono due maniere di giudicare la musica d'un compositore moderno o recente, che muovono da crite•ri diversi e talvolta possono anche differire nelle conclusioni. Altro è il giudizio del compositore militante; altro è il giudizio dello storico e dell'ascoltatore. Il compositore riconosce la validità d'una musica a lui contemporanea, finché e in quanto essa conservi una specie di radioattività creativa e gli proponga dei modelli da raccogliere, o per lo meno gli suggerisca qualcosa di utile al suo stesso modus operandi: una musica è valida, insomma, quando desta in lui irresistibile il desiderio di smontarla e rimontarla per vedere com'è fatta. Lo storico e l'ascoltatore si preoccupano meno di questo aspetto: i meccanismi strutturali da soli, in quanto tali, li interessano mediocremente. Essi chiedono invece alla musica la comunicazione d'una concreta situazione umana, storicamente determinata, e registrata in pienezza di forma artistica. L'uno e l'altro criterio di giudizio possono presentare i loro inconvenienti e incorrere in errori. Il giudizio dello storico e dell'ascoltatore può soggiacere alla suggestione di contenuti ravvolti in forme già esaurite e prive di originalità. Il compositore militante può scambiare per una giubilazione il momento in cui un compositore recente comincia a diventare un classico. Questa è appunto la fase che Bartók sta attraversando nel mondo occidentale. Non così, invece, nei Paesi dell'Europa orientale, dove la «radioattività» creativa della sua musica è rimasta più a lungo in piena effervescenza. Questi Paesi sembrano essersi spartita l'eredità dell'influenza che Bartók esercita tuttora sulla loro produzione musicale. L'Ungheria e la Jugoslavia e i Paesi balcanici, cioè quei Paesi dove principalmente si svolse l'attività scientifica e etnofoni- ca di Bartók. sviluppando soprattutto l'aspetto della sua arte che è principalmente fondato sullo sfruttamento del canto popolare: ritmi dinoccolati e irregolari, melodie di sapore modale, vivacità di danze rurali, contatti misteriosi con la vita segreta della materia, mulinelli, vortici, flussi e riflussi. Attraverso l'Istria e Trieste tale tendenza riesce perfino a spingere qualche diramazione nella pratica d'alcuni compositori italiani, come Viozzi e Zafred. La Polonia, invece, si è appropriata l'altro aspetto dell'arte di Bartók. quello più propriamente mitteleuropeo ed espressionistico, che consiste nell'approfondimento visionario del fattore timbrico e nella esplorazione della frontiera tra il suono e il rumore. La fioritura della musica contemporanea in Polonia, da Lutoslawski a Pendereczki, dalla Baczewa a Baird. a Gorecki, a Serocki, si fonda sulle straordinarie intuizioni timbriche della Musica per archi, percussione e celesta, del IV e V Quartetto, del Mandarino meraviglioso e dello stesso Castello di Barbablù: quell'arte, tipica di Bartók, di giungere al cuore stesso del rumore, inteso come aspetto sonoro della Natura, attraverso il contrappunto organico e germinale, a macchia d'olio, dei più classici mezzi di produzione del suono, come il quartetto d'archi o la tastiera del pianoforte (la Musica della notte nella suite All'aria aperta). I nuovi polacchi muovono dal punto dove Bartók era pervenuto, e marciano verso mete promettenti, rinunciando però alla casta sobrietà di mezzi che Bartók si faceva un punto d'onore di osservare. Anche questo aspetto dell'espressionismo timbrico di Bartók ha spinto qualche propaggine passeggera in Italia: per esempio in Guido Turchi, nel IVConcerto per or¬ chestra di Petrassi, nel primo Donatoni, nel primo Maderna. Questa è dunque la situazione della fortuna di Bartók a cent'anni dalla nascita. La sua efficacia come modello di composizione sopravvive, validissima, nei Paesi dell'Europa orientale, e la sua lezione sta ancora dando frutti vitali attraverso l'esperienza polacca. Negli altri Paesi, invece, il fenomeno dell'influenza di Bartók sui compositori attuali si è ridotto a casi ormai rari e non sempre positivi. Poco sopravvive di quella epidemia bartokiana che intorno al 1950 aveva colpito larghissimi strati del mondo musicale occidentale. Ma qui è in corso l'altra operazione: l'ingresso di Bartók nell'empireo dei classici. E' un'operazione lunga e delicata, che il tempo conduce avanti senza scosse: un'operazione simile alla maturazione di un frutto o all'invecchiamento di un vino di classe. Un'operazione di assestamento, nel corso della quale parte della produzione di Bartók potrà manifestare intrinseche debolezze e cadere nell'oblio. Quello che resterà, avrà la durezza eterna dei metalli preziosi, e il nome di Bartók non verrà più pronunciato insieme con quelli dei protagonisti della dubbia battaglia musicale contemporanea, ma insieme a quello dei grandi del passato. E forse col tempo ritornerà a galla l'impressione che si era avuta al tempo degli entusiasmi bartokiani, subito dopo la guerra, che non solo per i sentimenti personali dell'uòmo, ma anche proprio per i suoi mezzi tecnici e per la sua scelta in mezzo alle possibilità offerte dulie tendenze e dagli stili contemporanei, la musica di Bartók si ponga come autentico esempio di musica della libertà. Massimo Mila Un concerto di Bartók e della moglie Ditta Pésztory, nel '39. Sei anni dopo il musicista mori Béla Bartók negli anni americani. Era nato il 25 marzo 1881