Emigranti per grazia del re

Emigranti per grazia del re DALLA VALSUGANA ALLUVIONATA ALLA BOSNIA DESERTA Emigranti per grazia del re Ogni tanto dalle valli più remote o da terre lontane, per strane coincidenze, vengono riportate alla luce della storia delle vicende incredibili che per tanto tempo erano state offuscate da eventi più grandi: come accanto alle grandi opere del passato, Piramidi o Partenoni, si scoprono frammenti di grande valore. Un giorno di dieci anni or sono giunse dagli Stati Uniti d'America un appello: un cittadino di quel Paese cercava notizie di un fratello del nonno che nel 1882. dal natio Trentino, era andato in Bosnia, e la ricerca parti da qui. L'anno 1882 era stato quello di un grande disastro in tutta la Valsugana. La pioggia che da giorni scendeva dal cielo a secchie rovesciate aveva fatto uscire il Brenta dagli argini e il lago di Levito si era gonfiato fino a tracimare: anche dalli. Val di Sella il torrente veniva giù come una fiumana portando come fuscelli alberi e legnami. A un certo momento sembrava che persino le cime dell'Altipiano franassero verso la valle, e dopo che l'acqua aveva portato via la terra buona dei seminativi e dei prati le frane che si sgretolavano dalle ripide coste della Lanzuola. di Portule, di Cima XII e dal Castelnuovo travolgevano e coprivano i coltivi dei masi e dei paesi. Quando la furia passò restavano solo gli occhi per piangere: le strade erano state divelle, i ponti spariti: case, stalle, fienili .semidistrutti e travolti: e non più terra da seminare o prati da falciare. Tra Roncegno e Ospedaletto le frane precipitate dalle montagne e il materiale trasportato dalla brentana aveva cambiato il paesaggio: sassi e alberi sradicati fin sulle soglie delle chiese, il fondovalle una palude fangosa dove affioravano carogne d'animali e attrezzi agricoli. Non era più un posto da poterci vivere e così gli uomini pensarono di trovarsi un'altra terra dove recarsi con le donne e i bambini per riprendere a lavorare. Già sette anni prima, nel I87S. centinaia di famiglie da altri paesi li attorno, tra Tirelle e regno d'Italia, avevano emigrato in Brasile sperando in una vita migliore. sopra il disastro dell'alluvione capitò come un avvoltoio un ingaggiatore di mano d'opera e procuratore di noli per le Compagnie di navigazione; con la promessa di far raggiungere i conterranei in Brasile ebbe buon gioco nel farsi consegnare da quei compaesani denari e preziosi per pagare il viaggio, e quando non ci fu più nulla da portar via se ne andò senza farsi più vedere e senza dare notizie. Nella valle desolata crebbe la disperazione e la rabbia finché un giorno, da Vienna, dove si era venuti a conoscenza della tragedia, si fece sapere al parroco che l'imperatore Francesco Giuseppe era disposto di dare quanta terra occorresse a tutte le famiglie disastrate, ma giù nella Bosnia, dove da poto i suoi soldati avevano occupato quelle regioni ai confini con l'impero dei Turchi. Vi andarono come si legge nella Bibbia. I giovani si sposarono prima di iniziare il viaggio; i capifamiglia vendettero ogni proprietà: attaccarono i buoi ai carri e sopra caricarono con le donne e i bambini quanto era rimasto: sementi, scuri, zappe, aratri, pentole che faticosamente erano riusciti a salvare dall'alluvione. Partirono una mattina dopo aver ascoltato la messa e i parroci nei loro libri parrocchiali, sotto il foglio dove erano registrate le famiglie, scrissero: <<Partiti per la Bosnia, che Dio li abbia in gloria». Sfilarono lungo la Valsugana tra silenziosi saluti, passarono di notte l'orrido Canale del Brenta, il giorno successivo entrarono nella pianura veneta. E andarono avanti per giorni, settimane, mesi: per campagne, lungo il mare, e poi per foreste e montagne, pianure, fiumi; tra i predoni, con malattie, nascite, fame e la speranza della terra promessa per loro dall'imperatore che stava nei palazzi di Vienna. Finalmente giunsero in Bosnia; oltrepassarono la città di Banja-Luka che a loro dovette apparire come una metropoli. Una pattuglia di soldati austriaci li scortò per chilometri sino alle colline del villaggio di Prnjavor da dove, indicando altre colline lontane e deserte dissero a loro: «Fico, quella lagjiiii è la vostra terra». In una specie di maniero viveva nella zona un bev turco con il suo harem, nel più vicino villaggio nascosto tra altre colline. Sibovska. una colonia di austriaci giunti un paio d'anni prima. F. per il resto silenzio e lontananze. Incominciarono a tagliare gli alberi per allargare una radura e costruire le capanne attorno a un pozzo, ad arare, a preparare gli orli, la legna per l'inverno, a cacciare per avere un po' di carne, a raccogliere frutta selvatiche. Sulla collina di Velika Uova seppellirono i loro morti; e quel villaggio che sorse dal niente in una terra lontana ebbe il nome della località: Stivor. Ci vollero anni perché la comunità superasse il momento critico e doloroso del viaggio e dell'insediamento; anni durissimi di lavoro, di malattie e sacrifici che forse facevano rimpiangere i paesi natali del Trentino alluvionato. Nella regione, a ore di cammino, si istallarono con il tempo altre comunità che giungevano dall'Europa degli Asburgo dopo che i turchi si erano allontanati: austriaci, ucraini, cechi, trentini, sloveni; cattolici e ortodossi che si aggiungevano ai musulmani della Bosnia. Poi da lì altri, ripartivano verso l'Australia e le Americhe. Ma Stivor, il villaggio dei valsuganotti. restava compatto con le sue usanze, il suo dialetto, la sua scuola dove si insegnava l'italiano. Nel 1914 venne la grande guerra, molti partirono soldati per l'Austria contro la Russia, altri restarono a custodire il villaggio contro le scorrerie delle bande: e le donne e i bambini più volte dovettero rifugiarsi nei boschi amiti. Nel dopoguerra, attorno al 1924. ventiquattro toppie di sposi partirono un giorno da Stivor per il Brasile e di loro non si ebbe più notizia: nel 1938 un console italiano arrivò nel villaggio per invitare la gente ad andare nelle bonifiche Pontine o in Africa Orientale. Venne la guerra del 1940; nell'aprile del 1941 ci fu l'occupazione della Jugoslavia da parte degli eserciti tedeschi e italiani, e fino al 1945 vi furono gli anni terribili che fecero in quello Stato un milione e mezzo di morti. Oltre alla guerra contro gli invasori vi furono le faide tra cetnici e ustascia. tra cattolici, ortodossi e musulmani, macedoni e bulgari, ungheresi e croati. La gente trentina di Stivor desiderava solamente di essere dimenticata da tutti per sopravvivere. Ma questo non era possibile, e allora il capo-villaggio Franeesto Montibeller si feee partigiano combattente nelle brigate di Tito e con altri compagni salvò il villaggio dagli orrori della guerra. I cinquecento discendenti di quegli emigranti di cento anni fa vivono ora serenamente tra le colline della Bosnia: a scuola il maestro Osti insegna a parlare e scrivere in italiano e solamente i più vetthi parlano l'originale dialetto della Valsugana: i giovani fanno matrimoni misti, ma eerte usanze sono rimaste a distinguerli dagli abitanti dei dintorni e un filo tenue ma tenate li lega ancora alla terra d'origine. Un viaggiatore che si spingesse fin laggiù, oltre la città di Banja-Luka. in Bosnia, nel villaggio di Stivor con sorpresa sentirà salutarsi tosi: Bon dì! Mario Rigoni Sterri

Persone citate: Asburgo, Francesco Giuseppe, Mario Rigoni, Piramidi, Turchi