Ultima foresta di Padania di Alfredo Venturi

Ultima foresta di Padania LUNGO IL TICINO UN PARADISO DI PIANTE E ANIMALI Ultima foresta di Padania Quarantasei Comuni delle province di Milano, Varese e Pavia ne hanno fatto un parco di 960 chilometri quadrati tra il Lago Maggiore e il Po - Sotto olmi, ontani, pini silvestri, crescono anemoni, mughetti, ninfee - Vietata la caccia a fagiani, daini, volpi - Antiche ville e cascine - Pericoli dai torrenti inquinati DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE MAGENTA — Una volta la Padania era tutta così: una foresta fitta fra le Alpi l'Appennino e il mare. Per vedere gli ultimi resti dell'antica foresta padana bisogna venire qui, sulle rive del Ticino, scendere i gradoni delle ampie terrazze del tratto compreso fra Vigevano e Bereguardo. E' un bosco di olmi, carpini, ontani, nei luoghi più distanti dal fiume prevalgono pini silvestri, roveri e castagni. Con sottoboschi in cui è facile nella stagione giusta trovare anemoni, mughetti, asfodeli, mentre nelle zone più umide, fra le lanche e negli specchi palustri, ci sono iris, felci, ninfee. La sopravvivenza del bosco ha dovuto fin qui fare i conti con una fatale realtà economica: una quercia può valere attorno al milione e mezzo, dopo abbattuta la quercia si libera un terreno particolar¬ mente adatto alla crescita rapida del pioppo, e un pioppo rapidamente cresciuto rende sulle ottantamila lire. E' chiaro che, a queste condizioni di mercato, le vestigia della foresta padana rischiavano brutto. Giusto in tempo quei resti sono stati sottratti alla logica del mercato: quarantasei comuni di tre province, Milano Varese Pavia, hanno costituito un consorzio, e è nato un parco di 960 chilometri quadrati lungo i cento chilometri terminali del Ticino, quelli compresi fra il Lago Maggiore e il Po. E' un parco diverso da tutti gli altri. Intanto occupa una regione fittamente popolata: in quei quarantasei comuni vivono 450 mila persone. Poi è nato per così dire dal basso: non esistono in questo caso i problemi legati all'ottica burocratica e autoritaria che ha presieduto a altre iniziative del genere. Infine funziona su una base in larga misura volontaria, con un organico effettivo ridottissimo, come dice Achille Cutrera, avvocato a Milano, presidente del consorzio, ma con un largo apporto di gente entusiasta che, per esempio, è pronta a accorrere quando le fiamme minacciano il bosco. Bloccare i fucili Naturalmente accanto agli entusiasmi ci sono i brontolìi: un parco naturale significa non soltanto porre limiti ai tagli nel bosco, ma anche far tacere i fucili, bloccare quell'attività estremamente redditizia che consiste nel cavare ghiaia. Il presidente del parco mostra le fotografie aeree della zona protetta: le ferite delle cave sono evidenti e profonde. Adesso tutte le cave nell'alveo sono state chiuse, le altre fortemente ridotte. Resta un problema, quello della sponda piemontese, dove pure è stato istituito un consorzio per la tutela dell'ambiente, ma dove, lamentano a Magenta nella sede del parco, non si applica la stessa severità lombarda nei confronti dei cavatori. Eppure questa delle cave è la battaglia più importante: è il 'nodo dello scontro» secondo l'espressione di Cutrera. Altra battaglia serrata contro i bracconieri, di cui il bollettino del parco pubblica periodicamente nome cognome indirizzo malefatte e sanzioni. Queste piuttosto salate: fino al milione e 750 mila lire toccate a quel tale di Bereguardo che qualche settimana fa ha interrotto a fucilate il volo superbo di un cigno. La tutela è in modo particolare indirizzata verso gli animali. Nei primissimi anni di vita del parco, sono già stati raggiunti risultati importanti. «Il filo padano della migrazione, a suo tempo spezzate, è ora riannodato grazie alla presenza del parco», dicono a Magenta. Lo scorso gennaio sono stati censiti oltre 18 mila migratori: soprattutto germani ma anche ateavole, canapiglie, folaghe, cigni, oche. I migratori hanno scoperto che lungo il Ticino c'è quella che con squisita espressione ecologica viene definita «fascia di silenzio venatorio», e in questo silenzio così raro in Italia sono scesi a stormi. E poi lungo il fiume si trovano fagiani, aironi cinerini, gabbiani, mentre sono state avvistate le tipiche tracce della lontra, e si contano daini, volpi, lepri, conigli, tassi, cinghiali. Di cinghiali perfino troppi: tanto che il parco è dovuto correre ai ripari, messo in allerta da agricoltori danneggiati dalle scorrerie dei bestioni nei campi. Così ogni tanto in piena fascia di silenzio venatorio si fanno battute al cinghiale, ciò che porta gli spossessati cacciatori della zona a qualche facile ironia. Certo, questi cartelli lungo il Ticino trasformano in oasi faunistica quello che è stato per generazioni il paradiso venatorio dell'aristocrazia milanese, che non a caso da queste parti ha allineato le sue ville di caccia. Ville a volte splendide, come quelle sorte nel Settecento sulle rive del Naviglio Grande fra Cuggiono e Abbiategrasso, che con la più antica abbazia cistercense di Morimondo, i numerosi castelli dei Visconti e degli Sforza, i bellissimi centri storici come quello di Vigevano, fanno di questo spicchio di Padania una zona di grandissimo interesse culturale. C'è anche un'architettura minore tutta da vedere, e il parco sta preparando un censimento delle cascine: ce ne sono di antiche, come la cascina sforzesca nei pressi di Vigevano, ma anche le più recenti sono ricche di suggestioni, con il loro carattere tipicamente lombardo, il cortile, i portici, le strutture funzionali di una florida agricoltura fondata su un sapientissimo uso delle acque. Parte di questi edifici saranno destinati a accogliere i visitatori del parco, o i servizi tecnici della tutela. Esiste anche, e non fra gli ultimi, un problema di qualità delle acque. Nonostante il fatto che il Lago Maggiore fa defluire nel suo emissario un'acqua non più limpida com'è stata in passato, la situazione non è drammatica, di¬ cono al parco. Questo magnifico Ticino che scende pigramente a treccia, sfilacciato in molti bracci divisi da isolotti boscosi, con le sue placide spiagge di sassi, resta uno dei pochi, fra i grandi fiumi italiani, nei quali sia ancora possibile fare una nuotata senza avvelenarsi. Ma c'è un'insìdia, lo scolmatore che proprio nel fiume azzurro, come lo si chiama da sempre, dovrebbe riversare nei momenti di piena quell'intruglio inqualificabile che è l'acqua del Seveso, dell'Olona, e di alcuni altri torrenti, notoriamente fra i peggio inquinati del mondo. Il parco si sta dando da fare per scongiurare il pericolo, puntando su una sollecita realizzazione del deviatore dell'Olona, che quella corrente densa e scura dovrebbe, invece, immettere quasi tutta nel Lambro meridionale, che a sua volta finisce nel Po alcuni chilometri più a valle del Ticino. D rombo dei jet Un'altra grana è il progettato ampliamento dell'aeroporto intercontinentale della Malpensa, che occupa la brughiera fra Gallarate e il fiume. Si segue il progetto con molta attenzione, pronti a contrastare decisioni che portino a livelli incompatibili con le finalità del parco l'inquinamento acustico e atmosferico che del resto è inseparabile dal funzionamento di un aeroporto di simili dimensioni. Certo, i naturalisti del parco vorrebbero fare a meno di contare i jumbo jet fra i migratori del Ticino: ma l'aeroporto ce l'hanno trovato, si tratta semplicemente di limitarne i danni. Anche sulla sponda piemontese c'è un rumorosissimo scalo, la base aerea di Cameri. Insomma, il parco del Ticino vive a contatto di gomito con tutti i condizionamenti dell'epoca: ciò che rende più ardua ma anche più significativa questa scommessa. Si confida in risultati eccellenti a medio termine. «Torni fra qualche anno, promettono a Magenta: torni a vedere che cos'è, come funziona un'ecologia moderna». Alfredo Venturi

Persone citate: Achille Cutrera, Animali, Cutrera, Sforza, Visconti