Paura di diventare adulti? di Marina Cassi

Paura di diventare adulti? Concludiamo l'inchiesta sul rapporto studenti e politica Paura di diventare adulti? Un insegnante: «C'è in loro quasi un inconscio timore di crescere e di affrontare problemi importanti» - Un preside: «Sono delusi da una rivoluzione sperata e non realizzata; le assemblee falliscono, ma in compenso si studia di più e meglio» • Come si può pretendere una scuola perfetta in una società in crisi? Come pretendere che i giovani non siano investiti da sfiducia, incertezza, delusione? Il ragazzo vorrebbe subito incidere sulla realtà, non ha il coraggio della pazienza. Dopo immensi e brevissimi entusiasmi diventa apatico. Ma, forse, non sarebbe giusto chiedere di più agli adolescenti'. Maria Teresa Lupidi Sciolta, insegnante di lettere al Galileo Ferraris, racconta un aneddoto. -Il giorno dopo il fallito golpe in Spagna sono entrata in una quinta e ho chiesto ai miei ragazzi se avessero seguito gli eventi: molti non ne sapevano nulla; qualcuno ha accennato uno stanco "Si abbiamo sentito"; l'atmosfera che regnava in classe è riassumibile in due parole: "La Spagna è lontana"». Si potrebbe pensare a un caso isolato di disinteresse? « Ma no. Vuole altri esempi? In una terza ho proposto un tema sul caso D'Urso, solo una minoranza lo ha scelto. Se stimolo gruppi di lettura su temi d'attualità i ragazzi accettano, ma con lo stesso spirito con cui studierebbero il Romanticismom. Da che cosa dipende questo atteggiamento? « Credo che abbiano una specie di difesa nei confronti della realtà; quasi una paura inconscia di crescere e di dover affrontare problemi così grandi. Anche per lo studio è così; studiano sema desiderio di ricerca, si accontentano della sufficienza'. L'insegnante prosegue: .Eppure noi docenti abbiamo fatto notevoli sforzi per cercare un aggancio con la realtà sia attraverso i programmi sia suscitando dibattiti; dieci anni fa erano loro a stimolare noi, adesso siamo noi a tentare di coinvolgere loro». La nitida analisi di un certo tipo di studente di oggi ribalta quanto hanno sostenuto insegnanti interpellati in precedenza: apatia e disinteresse non sarebbero dunque imputabili alla scuola, ma a fattori esterni, legati alla situazione della società. Dello stesso parere anche Eleonora Franceschini, insegnante del Valletta che esordisce polemica. «Ci aspettiamo da 15-16enni comportamenti da adulti, ma spesso dimentichiamo che sono soltanto ragazzi che stanno crescendo. E se preferiscono divertirsi piuttosto che andare a una riunione politica, perché scandalizzarsi? I "grandi" forse sono tutti impegnati a cambiare il mondo?». Una domanda che è già la risposta. Prosegue con una riflessione: «Non credo che fosse normale il modello di studente del '68, privato di un suo tempo fisiologico di giovinezza, totalizzato dall'impegno politico. Questi di oggi sono, in fondo, laici, democratici e non del tutto disinteressati. Sono diversi. Ma si informano; semplicemente non vogliono che la politica diventi l'unico interesse della loro esistenza. Cercano di prendere le distanze dai problemi enormi che ogni giorno arrivano loro addosso». Più «maturi», quindi. Per questo più disincantati? « Non so se sia possibile rispondere. Credo comunque che questi ragazzi debbano avere il tempo per imparare a crescere. E la scuola, volendo, può benissimo aiutarli a divenire adulti, senza continuare a aspettare la riforma come panacea di tutti i mali: ' Nel piccolo universo di esperienze, idee, sensazioni degli insegnanti con i quali abbiamo parlato si inserisce, con un colpo secco di timone, il prof. Lodovico Griffa, preside del Cavour. -Le assemblee non riescono? Che strana novità: sono anni che non vanno bene. E sa perché? Perché per troppo tempo la politica è stata fatta da piccoli gruppi e i ragazzi sono rimasti delusi da una rivoluzione sperata e non realizzata; una fiammata dalla quale sono venuti fuori anche aspetti deteriori». Poi, con una punta di soddisfazione: -Ma oggi c'è un rialzo nel termometro culturale dei miei ragazzi. Studiano, leggono moltissimo, vanno a teatro e, soprattutto, hanno capito che nella vita si va avanti solo impegnandosi a fondo». La politica, intesa anche come partecipazione, è uscita dai loro interessi? -Non mi pare. Molti nostri studenti fuori dalla scuola si impegnano: partiti e gruppi politici, associazionismo cattolico. Sono maturi, non esauriscono dentro le quattro mura scolastiche tutta la loro esistenza». In parte d'accordo con questa impostazione Maria Grazia Cassani. docente di storia e filosofia all'8° liceo scientifico. »La scuola è soltanto uno degli elementi formativi del ragazzo; credo che oggi ai gio¬ veQnmgpzvnonlpaz vani manchino gli stimoli esterni al mondo scolastico. Questo non vuol dire che siano disinteressati; semplicemente nella scuola non sanno trovare gli strumenti per organizzare in modo duraturo i loro interessi». Prosegue: «In genere le proposte non partono dai ragazzi; siamo noi insegnanti a doverle sollecitare; loro aspettano, passivamente. Però poi ogni tema proposto dal docen¬ te viene vissuto come un argomento scolastico. E lo stesso atteggiamento ce l'hanno verso la politica, non si fanno illusioni e aspettano'. Forse la possibile conclusione della nostra piccola inchiesta sul rapporto studenti-politica non può essere che questa: si aspetta a 16 anni come a 20 o 40 che .qualcosa si rimetta in moto'. Si aspetta che il «riflusso» smetta di essere moda; si attende con una sorta di «impegno privato' che la voglia di impegnarsi trovi stimoli maggiori. Non tutti aspettano però: nel mondo della scuola come nella società vi sono ragazzi e insegnanti che, seppur di diverse posizioni politiche, continuano a occupare se stessi. Sono una minoranza, una specie appartata per i quali .eroismo del quotidiano' continua a voler dire qualcosa. Marina Cassi

Persone citate: D'urso, Eleonora Franceschini, Galileo Ferraris, Lodovico Griffa, Maria Grazia Cassani, Maria Teresa Lupidi

Luoghi citati: Spagna