Tra Mosca e Trieste di Enzo Bettiza

Tra Mosca e Trieste CONVERSANDO CON BETTIZA Tra Mosca e Trieste Enzo Bettiza. Non solo nel suo stile e nei suoi temi di scrittore si avverte la caratteristica di una triplicità spirituale ed etnica unica (è insieme slavo del Sud, austriaco — nel senso di Altòsterreicher absburgico, sebbene nato nel 1927 — e italiano del prezioso ramo triestino) ma anche più acutamente nel suo rapporto col mondo sovietico e comunista, nella speciale nobiltà, che si esprime in un rigore pieno di eleganza, della sua penetrazione sovietologica. Nella rara pattuglia dei nostri sovietologi (Ronchey, Strada, Barbieri, Herling) Bettiza è il poeta, il religioso. Rileggevo qua e là, in attesa della sua visita, il Diario di Mosca e ad ogni passo mi colpiva la sua passione ardente, la sua filiale indulgenza per la Russia, accenti quasi da Diario di uno scrittore, i colloqui giornalistici di Dostoevskij, la suntma della sua slavofilia. L'indulgenza per la Russia si coniuga benissimo con l'orrore assoluto del leninismo; anzi l'amore per la Russia lo postula. Bettiza ha per il regime sovietico il ribrezzo appassionato e implacabile dell'esule. L'analisi cola densa, contenta di scarnificare un oggetto detestato e ignobile, ma anche di sentirlo nobilmente, come un momento della terribilità storica eterna e del destino umano di dolore. La slavità di Bettiza è così forte da prevalere sul particolarismo triestino: è un meridiano che incontrando Trieste non resta impigliato nella sua anima. Questa è la mia impressione. A un bivio storico fondamentale, il trattato di Osimo, Bettiza ha scelto la via jugoslava (ritenendola europea) non la triestina. Tra la patria slava e la disperazione permanente, la delusione gelosa, il suicidio isolato di Trieste italiana, conta di più per lui il primo richiamo. Qui divergiamo: io vedo Osimo nella sua realtà morale, prima che politica, e come la consumazione di qualcosa di turpe, di molto più turpe di quanto non sia dato vedere; una colpa della classe politica italiana, un campanello che ha squillato nella casa di Nèmesis. Bettiza, guardando dall'altra parte dell'Adriatico, o da Strasburgo, non vede il crimine, che è specificamente italiano. Osimo non darà mai buoni frutti, perché è una riconciliazione che abbiamo pagato tagliando la lingua a questa lamentosa Filomela triestina, che tuttavia continua a lamentarsi sub umbra. E' vero che è un anacronismo, che è ben poca cosa, in questo enorme urto di mondi e di civiltà, la nostra pena triestina, ma chi testimonia per la verità non deve dimenticare nessuna lacrima. E' stato importante per Bettiza, come per me, l'incontro con Piovene e con Nicola Chiaromonte. Lo si può ritrovare nel tipo di conservatore illuminato descritto splendidamente da Piovene in Idoli e Ragione, e la scuola di rigore morale e speculativo chiaromontiana è un bagliore che perdura in fondo ai suoi scritti e viaggi politici. Più forte, mi pare, l'influenza pioveniana: Bettiza è più scettico che indignato, più tollerante del male che spada di fuoco, più secolare che monaco. Chiaromonte non amava Piovene; c'era in lui un duro nocciolo monastico; di borghese, nulla. ★ * Per forza, con Bettiza, parliamo di Russia... Pace o guer. ra, sottomissione o resistenza, lasciarla venire avanti o fermarla: l'orizzonte di questi nostri anni, se non vogliamo vivere da ciechi. Gli chiedo quale sia il rapporto tra la Russia eterna e l'Urss di cui l'Europa sente ormai, con un brivido che parla, il coltello sulla gola. —- No, non vedo un rapporto. Lenin crea ex nihilo la nuova Russia, i bolscevichi s'installano in stanze vuote, di cui la Russia eterna aveva cominciato lo sgombero già dal 1914. Per almeno un anno, Lenin ha regnato sul caos, l'anarchia era totale... Aristocrazia sparita, borghesia sparita, cultura, tutto... Si compie un fenomeno unico: il partito sostituisce la società assente, diventa protesi di una società che non esiste, non è soltanto l'autorità, è tutto. Ed ecco inventata l'immane burocrazia ideocratica, mo struoso cancro, specialità demoniaca del nostro secolo. Dov'è la continuità? Non c'è. Quel che c'è, è un surrogato, una Russia ortopedica, protesica, la finzione delle finzioni, una nuova autocrazia scorona ta e sconsacrata che sa sfruttare magnificamente il misticismo di un popolo che accetta il sacrificio per il sacrificio, la sof ferenza per la sofferenza... Sbagliamo quando diciamo Impero, politica imperiale, impero sovietico. Nel senso tradizionale non lo è. In un impero tradizionale la potenza militare si combina sempre con qualcos'altro, ma l'Urss non è che pura potenza militare, una rigida società castrense, una gigantesca Sparta tecnologica che non produce e non può che produrre armi, e il movimento permanente è la sua legge, per evitare la disgregazione. Gravissimo è l'errore dei De Gaulle, dei Nixon, dei Kissinger, degli Schmidt, di quasi tutto l'occidente degli statisti, che ritengono l'Urss uno Stato come gli altri, con cui sia possibile trattare, arrivare a transazioni, commerciare lealmente, discutere da uguali, sia pure con sfono... Non siedono a un tavolo con Ivan il Terribile ma con la sua pericolosa contraffazione: in realtà, un mostro di ferro che ha per teste le facce rugose dei nipoti di Lenin. In termini di escatologia religiosa, potremmo dire che è il Mondo delle Tenebre... L'Urss è un pianeta spento, eppure brulicante di armi e di armati, misteriosamente... E' inevitabile che cerchi di espandersi ad ogni costo, per non morire. La conclusione della parabola può essere, inutile nasconderselo, il suicidio mondiale. La tenebra non avanza che a prezzo di distruzione. Con lei si può solo avere l'illusione di aver trattato, fingere di credere, stipulare trattati immaginari. La distensione è il vento del suo movimento. C'è un personaggiosimbolo dell'Urss: il Verchovenskij dei Demoni, il Male come Banalità ideologica, il Male come Nulla. L'Urss è uno sterminato Verchovenskij. — * ★ — Chi ha, tra i politici occidentali, tra i condannati a trattare con questa Maschera, questo ersatz della vecchia Russia imperiale, una visione altrettanto pessimistica del fenomeno sovietico? — — Tra quelli che contano, credo sia difficile trovarne uno. Mancano di cultura, di un'idea vera della Russia: la concezione gollista li offusca... La gente di Reagan, chi sa... Finora, nel mondo, i soli ad aver capito la Russia sono i cugini israeliani e gli avversari cinesi. Per l'Europa, è un grande male, il più grande dei suoi mali, mancare della percezione esatta del nemico, del nemico mortale, il segno sicuro della decadenza di una società. Probabilmente, anche aggredita frontalmente, l'Europa non combatterebbe; tuttavia è inevitabile che rafforzi le sue alleanze e che abbia un sistema di difesa comune. Un ruolo egemone della Francia, potenza nucleare, non 10 vedrei di malocchio... — — Che cos'hanno in comune Russia e Israele? — — Sono due messianismi rivali, leninismo e sionismo. La stessa subintelligbentzia di sinistra che si riconosceva in Cernicevskij, in Belinskij, è stata il fermento dei Neciaev, dei Lenin e del primo sionismo, quello del Bund rivoluzionario. Per paradosso storico, l'unica creazione concreta dell'utopia socialista russa è lo Stato ebraico... L'Urss sente e odia in Israele il simile che è riuscito... L'Università di Gerusalemme è piena di grandi specialisti di cose russe e sovietiche, un centro formidabile di sovietologia; 11 russo lo si parla dappertutto... Tel Aviv ha perfino un colore sovietico, il particolare squallore del socialismo reale. Sono due Russie nemiche, due escatologie che si affrontano. I casi di immigrati russi in Israele pentiti di esserci sbarcati, dopo tanto penare, si spiegano abbastanza facilmente: nel servaggio sovietico permanente si può anche essere felici, mentre la vita occidentale è infinitamente più drammatica, più ricca di tensioni e di malattie, la nostra libertà è sempre più cara, la vecchiaia è precoce: la nostalgia dell'acquario sovietico, della camerata antitubercolare di un universo attutito, nel grembo smisurato del Partito, può indurre al pentimento e alla svogliatezza i meno resistenti. — Parliamo della classe politica italiana, del Papa, della distruzione ambientale ad opera del progresso industriale, dei rapporti italo-jugoslavi dopo il trattato di Osimo. Riassumo le idee di Bettiza in una risposta unica. — La classe politica italiana è ormai l'ombra di se stessa, un semplice riflesso corrotto della classe politica postfascista. Trovo interessanti alcuni uomini nuovi, come Craxi e Zanone, meno incrostati degli altri dagli automatismi di partito. Ma un vero stadsta italiano è puro sogno... Se togli Cavour, nessuno, dai giorni dell'Unità, è mai stato grande. — Dopo Israele, pietra d'inciampo sulla via della conquista planetaria, il grande sgambetto all'Urss viene dal papa polacco. Montini non conosceva il mondo sovietico, Wojtyla sì. Proviene dal centro strategico dell'impero delle tenebre. E' una carta importante nella manica del destino dei popoli. Mosca lo teme. — L'industrialismo, certo, produce danni terribili, ma fermarne lo sviluppo potrebbe produrne di peggiori. Mettiamoci di fronte al Nemico, l'Unione Sovietica: come imporgli il rispetto, la riluttanza ad attaccarci senza un formidabile apparato industriale, fondato anche sull'energia nucleare? L'industrialismo, dove manca la democrazia politica, è dieci volte più distruttivo, sia per la natura che per gli uomini, privati di una vera protezione sul lavoro. Il regresso all'agricoltura ha già avuto il suo momento trionfale: lo testimoniano le stragi cambogiane di Poi Pot. Se il ritorno alla condizione georgica può aprire le porte all'impero delle tenebre, dobbiamo ostacolarne l'avvento. Se fossimo ingoiati, l'Urss ci costringerebbe al proprio industrialismo schiavistico senza speranza. — La clausola della Zona industriale mista di Osimo può permettere un incontro pieno di promesse tra italiani e slavi del Sud. L'agitarsi di un certo razzismo antislavo dietro la difesa ecologica del Carso mi rende sospettoso... Si può salvare il Carso spostando la Zona mista sul litorale. Ma quel che importa essenzialmente è che si lavori per impedire qualsiasi contrasto tra italiani e jugoslavi: è una necessità per l'Europa che questa unione si faccia. — — Nella Russia della rivoluzione, a chi vanno le tue simpatie? — —A Trotzkij, il grande bolscevico dilettante. La sua intelligenza gli rese impossibile di esserlo fino in fondo. Lenin non gli perdono mai di non essere in tutto e per tutto un leninista e un figlio del partito. — — Della Russia contemporanea, chi trovi più degno di ammirazione? — — Solgenitzin. — Solgenitzin è la Russia madre, la Russia senza finzioni, ma anche la profetica, la mistica, la contadina... Nel moderno sovietologo Bettiza, il cuore slavo batte per questa Russia, che tuttavia non si oppone meno della sovietica, anzi è più dura nella condanna, in un giudizio che non mente, di questo Occidente che l'attira, verso un incontro tinto d'incendio universale. Scriveva Dostoevskij: «Noi non abbiamo mai cessato di pensare all'Europa». Guido Ceronetti