Grosseto: «Non sono un rapitore» afferma l'unico imputato del sequestro di Tito Neri
Grosseto: «Non sono un rapitore» afferma l'unico imputato del sequestro di Tito Neri L'agricoltore di 74 anni che è deceduto durante la prigionia Grosseto: «Non sono un rapitore» afferma l'unico imputato del sequestro di Tito Neri Sarebbe l'uomo che ha tenuto i contatti fra i banditi e i familiari della vittima - Latitante l'ideatore del colpo, il presunto esecutore non si è presentato in aula, altri due sono morti GROSSETO — Un solo imputato nella gabbia del tribunale di Grosseto che processa la banda dei sardi per il rapimento e la morte di Bartolomeo Neri. Si chiama Simonetta Croce, non è una donna (porta i baffi) e non è sardo, ma siciliano. Non sarebbe stato neppure un personaggio di primo piano del sequestro, ma soltanto un intermediario, quello incaricato dei contatti con la famiglia del rapito (a suo carico c'è un nastro registrato). L'ideatore del colpo, il famigerato Mario Sale, è latitante, mentre il presunto esecutore, Virginio Giore, assolto in istruttoria e nuovamente rinviato a giudizio si è ben guardato dal comparire in aula. Non ci sono neppure altri due personaggi di primo piano della banda, Efisio Lai e Natalino Masetti: il primo fatto fuori dai complici, l'altro morto di morte naturale. Quello di Bartolomeo Neri fu un rapimento sbagliato: l'agricoltore settantaquat- trenne, che abitava a Follonica, nel Grossetano, non era cosi ricco come avevano detto le «spie» ed era malato. Del miliardo che i banditi chiesero per la sua liberazione, ottennero soltanto cento milioni. Fu nel settembre del 1976. Un mese dopo i rapitori non furono in grado di dimostrare che l'ostaggio era ancora in vita (si servivano della testata di un giornale firmata sotto la data) e i versamenti finirono. Nonostante la lunga istruttoria, il precedente processo in assise a Firenze, contro la banda dei sardi, non si è mai saputo se Bartolomeo Neri sia morto per malattia o sia stato assassinato perché era «una vacca magra», cioè non rendeva abbastanza. Il suo nome si aggiunse cosi agli altri sei che formano la fila delle croci nella lunga stagione dei sequestri operati dai sardi in Toscana, attraverso l'organizzazione che fa capo tutt'oggi a Mario Sale la cui ultima, clamorosa impresa è stato il rapimento di Sabine e Susanna Kronzucher, nel luglio scorso, vicino a Firenze. 'Non ho mai visto né conosciuto Mario Sale — ha sostenuto ieri mattina in tribunale Simonetta Croce —. E' vero: avevo rapporti con i sardi, ma si trattava di rapporti d'affari, perché io vendevo formaggio e i sardi avevano le pecore'. Gl'inquirenti invece sospettano, secondo una linea già emersa nel processo di Firenze, che Simonetta Croce, rappresentasse qualcosa dì più di un semplice intermediario: sarebbe stato una sorta di agente speciale dell'anonima sequestri, venuto a insegnare ai sardi alcuni segreti del «mestiere». Un'ipotesi già ventilata nel precedente processo, dove alle spalle di Mario Sale, il bandito che si fa chiamare .:Chaca III» furono intraviste le ombre di personaggi del clan di Liggio. La banda di «Chaca» infatti, come avvenne per Bartolomeo Neri, uccideva gli ostaggi; successe per il marchese Alfonso De Sayons, per l'industriale Baldassini di Prato, per Marzio Ostini e gli altri. Ma Simonetta Croce, rimasto solo in gabbia a difendersi, respinge il ruolo di agente speciale dell'anonima sequestri. Si limita a scuotere la testa ad ogni contestazione e mormora: 'Io sono un rapinatore, non un rapitore: ho sbagliato una volta, mi hanno condannato, sto pagando. Di questo Neri non so niente». Gli fanno ascoltare la voce registrata che chiede il riscatto. Scuote ancora la testa: 'Chilla non è lamiavoce». „ ' o. m.
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