Milano: richieste 18 dure condanne al processo sui falsi danni di guerra

Milano: richieste 18 dure condanne al processo sui falsi danni di guerra li pubblico ministero Viola ha svolto la sua requisitoria Milano: richieste 18 dure condanne al processo sui falsi danni di guerra DALLA REDAZIONE MILANESE MILANO — Con una lunga requisitoria che ha ripercorso il cammino dell'inchiesta per i falsi danni di guerra, il pubblico ministero Guido Viola ha chiesto 18 condanne per quegli imputati che considera responsabili. Le pene più severe sono state invocate per Pietro Fusaroli (9 anni e quattro mesi) e Giancarlo Guasti (7 anni e 4 mesi) considerati i cervelli della macchinazione. Secondo Viola il primo si sarebbe però pentito e infatti ha aiutato la giustizia: di qui la riduzione di pena. Condanne anche per il giornalista Angiolo Berti (quattro anni e sei mesi), l'ex sottosegretario all'Industria Mariano Grandi (quattro anni), l'ex capo della segreteria particolare del ministro Colombo, Dario Crocetta e l'ex capo di gabinetto del presidente del Consiglio Andreotti, Gilberto Bernabei (tre anni e otto mesi). Infine il p.m. ha sollecitato la condanna dell'ex intendente di Finanza Feliciano Amitrano a cinque anni e dell'ex capo di gabinetto del sottosegretario Brandi a quattro anni. Amarezza per quanto è rimasto nell'ombra e soddisfazione per essere finalmente giunto alla fine di una grande fatica: cosi il pubblico ministero ha sintetizzato i sentimenti contrastanti che lo agitano. Ha rievocato le difficoltà frapposte all'attività dei magistrati fin dalla prima denuncia del 1974, presentata dal responsabile dell'ufficio dei danni di guerra Amos Carletti e, infine, il nuovo impulso dato nel '76 al procedimento quando giunse agli in¬ quirenti una nuova denuncia dettata da dissensi nella spartizione del denaro, in seguito alla quale il commercialista Guasti ha poi cominciato a parlare. Fu in quel periodo che si ebbero i primi sentori delle pressioni politiche per una sollecita liquidazione dei falsi danni. Il sostituto procuratore ha spiegato anche che «da parte di alti funzionari» si è fatto di tutto per ostacolare gli inquirenti che sono stati costretti' ad una «corsa ad ostacoli». Per quanto riguarda il giornalista Angiolo Berti il p.m. è stato durissimo nei suoi giudizi. Lo ha definito «figura squallida che maneggiò e ricevette denaro, eppure è ancora al suo posto. Nessuno ha preso da lui le distanze il che com¬ prova che nella vicenda ci sono delle complicità politiche almeno morali». Dopo avere dipinto i diversi caratteri degli artefici della truffa (Guasti gran signore e Fusaroli freddo calcolatore) Viola ha spiegato come secondo lui fosse proprio Berti il «trait-d'union» tra i politici e i truffatori. Guasti — ha ricordato — dopo avere portato avanti le pratiche per i danni della Breda, della Riva Calzoni, della Siai Marchetti, si è trovato davanti la Caproni che, al contrario delle altre, è una società non più esistente. Era quindi — sono sue parole — una torta gigantesca in cui tutti volevano mangiare tanto che persino l'autista di Guasti promise milioni all'amante. Anche per le indù- strie (che pure non sono coinvolte direttamente nel processo) il magistrato d'accusa ha avuto giudizi taglienti, ricordando come abbiano aperto gli archivi ai truffatori e, in qualche modo, abbiano fornito certificati compiacenti. Viola ha definito «gravissimo,, il comportamento dell'ex sottosegretario Brandi e poi è passato a trattare di Crocetta e Bernabei, i collaboratori di Colombo e Andreotti. Per la prima volta — ha spiegato — si può parlare di corruzione anche se non è provato che vi fu passaggio di denaro: esiste sotto forma di raccomandazione che in questo caso non è più un semplice fenomeno di malcostume perché le loro lettere rappresentano «non l'ideazione, ma la possibilità di attuazione in tempi brevi della truffa». E quanto potessero le missive dei segretari dei potenti sarebbe dimostrato dall'intendente Amitrano che, appena le ricevette, diede corso a pratiche che altrimenti avrebbero richiesto parecchio tempo. La loro è corruzione «contraria ai doveri d'ufficio». Infine alludendo agli alti funzionari e ai politici Guido Viola si è lamentato di avere incontrato sul suo cammino molta «omertà di Stato», come un muro tra magistratura e pubblici poteri. La stessa — ha aggiunto — che incontrò in un altro processo e l'allusione al procedimento contro Sindona, di cui pure è pubblico ministero, è stata trasparente. Prima del p.m. l'avvocatura dello Stato, costituitasi parte civile per il ministero delle Finanze, aveva chiesto un risarcimento di 17 miliardi.

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