Chomsky, parole invisibili

Chomsky, parole invisibili SPIEGA A FIRENZE LA SUA NUOVA TEORIA LINGUISTICA Chomsky, parole invisibili Torna al suo mestiere l'intellettuale che fece scandalo con la prefazione a un «pamphlet» dove si negano le atrocità naziste - Presenta una svolta nello studio del linguaggio - Identifica «tracce» di pronomi, soggetti, complementi non scritti, non detti, ma fondamentali, presenti nella nostra psiche FIRENZE — La conferenza tenuta ieri aSFirenze, su invito del Centro fiorentino di storia e filosofia della scienza, dall'eminente linguista Noam Chomsky del Massachusetts Institute of Technology, avviene sulla scia delle polemiche sul cosiddetto «affare Faurisson», per una serie di contingenze del tutto impreviste quando questo invito fu formulato e accettato. Chomsky, intellettuale ebreo, una 'Coscienza» dell'America progressista, in nome della 'libertà, di parola a ogni costo» aveva scritto la prefazione a Mémoire en défense. L'autore Robert Faurisson, ex professore alla facoltà di lettere dell'università di Lione, sosteneva nel pamphlet che «il genocidio degli ebrei e le camere a gas naziste sono un'invenzione» (al «caso Chomsky» La Stampa dedicò un ampio servizio di Bernardo Valli il 17 dicembre 1980 e, il giorno dopo, un'intervista di Furio Colombo col linguista americano). Comunque è al linguista e filosofo Chomsky che l'invito è stato rivolto ed è il linguista e filosofo che ha parlato, in Palazzo Medici Riccardi, sul tema «Aspetti epistemologici dello studio del linguaggio e della mente». Alcuni giornalisti hanno individualmente chiesto colloqui con Chomsky su questioni di carattere politico e ideologico, ma questo è stato un evento privato e gli incontri si sono svolti in sedi separate e senza alcun carattere di ufficialità. Immagino che gli interessati ne troveranno echi su altri quotidiani. Questa sciagurata» polemica ha già mangiato più piombi e più spazio di quanto meriti. Per molti studiosi la breve visita di Chomsky è stata, piuttosto, una ulteriore, proficua occasione per scambi di idee e per tastare il polso di una disciplina scientifica in pieno sviluppo. Nella conferenza pubblica e in lezioni a carattere specializzato, tenute presso l'Istituto di filosofia della Università di Firenze, presso la Scuola Normale di Pisa, Noam Chomsky ha presentato e commentato un impressionante ventaglio di ricerche teoriche e sperimentali, una ulteriore «svolta» nella linguistica. Di questa e solo di questa vorrei qui parlare, con parole troppo semplici per render giustizia all'eleganza concettuale e formale del sistema chomskyano, ma più accessibili a chi di tali affascinanti problemi è parzialmente o totalmente digiuno. Alla fine degli Anni Cinquanta e nel corso degli Anni Sessanta si sviluppò, sulla scia dei primi «classici» lavo¬ ri di Chomsky, la cosiddetta standard theory. La linguistica generativa, canonizzata nella teoria standard e poi nella teoria standard «estesa», costituì una sterzata decisa fuori dalle rotte, troppo battute e poco fruttuose, della linguistica strutturale e della linguistica composizionale. Una delle idee maestre della teoria standard era proprio di abbandonare la ricerca di elaborate e artificiose classificazioni di tratti linguistici manifesti, così come di porre fine alle stentate e inconcludenti analisi statistiche delle frequenze medie con le quali un tipo di termini segue, o precede, un altro tipo di termini in una frase. Prendete le due frasi seguenti, in tutto analoghe al livello della loro forma esteriore: «Gli dissi cosa leggere» e «Gli chiesi cosa leggere». E' assolutamente a tutti evidente che il soggetto di «leggere» nella prima frase è diverso da quello della seconda. Come mai? Niente registra questo fatto, elementare e chiarissimo nella nostra comprensione, al livello della frase. Oggidi questi problemi di «riferimento» dei pronomi sono elegantemente spiegati con teorie assai generali e potenti. Fino dai tempi della teoria standard, comunque, apparve chiaro che, al di «sotto» delle frasi manifeste, devono sussistere delle strutture più importanti, più discriminanti, più «profonde». Il senso viene, per così dire, attaccato alle frasi non al livello di ciò che subito appare, ma al livello di un'analisi rapidissima, inconscia, automatica delle strutture portanti. E si cominciò a rivalutare, di contro alle astute finzioni dei linguisti professionali, le buone, vecchie grammatiche. Solo che la linguistica chomskyana insegnò a leggerle, in un certo senso, al negativo. Ciò che una grammatica tipica insegna sono le caratteristiche proprie a una lìngua data, l'italiano, l'inglese o il giapponese. Per arrivare alla grammatica universale, al nocciolo di regole comuni a tutte le grammatiche, dobbiamo accuratamente studiare quello che le grammatiche non insegnano, ma che tuttavia costituisce parte integrante della facoltà di parola. Questo non facile e non ovvio studio costituì i primi, bruti dati sperimentali per la nuova teoria linguistica. Come mai sappiamo cose che nessuno ci ha mai insegnato? Come spiegare, a un tempo, tanta diversità di linguaggi e tanta uniformità nelle regole implicite, attivamente operanti, comuni a tutte le lingue? Chomsky postulò lo sviluppo e la stabilizzazione della capacità di linguaggio in ogni soggetto come l'effetto congiunto di tre fattori: lo sviluppo di un apparato biologico generico (percezione, memoria, attenzione, discriminazione uditiva ecc.), il contatto specifico cori i normali locutori di una lingua data, lo sviluppo di un organo linguistico innato. L'errore delle scuole linguistiche e psicologiche, si pensi soprattutto a Jean Piaget, era stato (ed è ancora) quello di aver voluto appiattire la terza componente dietro una sorta di intelligenza generale (la stessa che serve a ragionare su un problema, a far di conto, a manipolare gli oggetti, a guidare un 'automobile) o dietro una teoria dell'apprendimento secondo la quale tutto viene immesso dall'esterno, per via di imitazioni, generalizzazioni, assimilazioni. La grammatica universale è, invece, per Chomsky un organo mentale separato, specifico, conferitoci da madre natura fin dalla nascita, il quale si «applica» poi sulle regole particolari proprie a ciascuna lingua. La grammatica universale, secondo la teoria standard, fornisce un repertorio vasto, ma finito, di regole possibili. Le regole effettive che reggono la «competenza» di un soggetto particolare che parla l'italiano o l'inglese o il giapponese si ottengono, sempre secondo la teoria standard, trovando le regole «migliori» (le più semplici, le più brevi, le più compatte) che sono compatibili con tutte le frasi che il soggetto intende tra l'età di un anno e l'età di circa cinque o sei anni. I dati linguistici, cioè le frasi grammaticalmente corrette e, occasionalmente, i rimbrotti e le correzioni buscale dalle frasi non corrette che il bambino tenta di comporre per suo conto, selezionano le ipotesi giuste e eliminano le ipotesi sbagliate. Le ipotesi che vengono effettivamente formulate (inconsciamente, ma attivamente) dal bambino sono tutte e solo quelle previste dalla grammatica universale. Come certi studi matematici hanno mostrato, se non vi fossero dei vincoli severissimi già a priori sulle ipotesi grammaticali, occorrerebbe un tempo letteralmente infinito per imparare una lingua naturale. Queste procedure rapidissime, inconsapevoli, di scelta e di filtraggio costituiscono un'altra componente capitale della facoltà di linguaggio: le procedure di valutazione, pensate come abbinate alla grammatica universale. La nuova teoria ha riveduto alcune di queste ipotesi. Innanzitutto, come mi spiega Chomsky, è molto importante essere più modesti sulle ca¬ pacità di computo attribuite al soggetto e, invece, essere più esigenti sulle capacità di astrazione e di «proiezione». Alcune «scelte» del repertorio della grammatica universale devono essere bloccate subito, fintantoché l'evidenza non porti a cambiarle o rivederle. L'apparato mentale passa da una grammatica astratta, universale, a una core grammar (grammatica enucleata) mettendo certi interruttori subito su posizioni transitorie. Se i dati linguistici non vengono a sconfessare queste scelte, gli interruttori restano su queste posizioni «marcate». Acquista importanza maggiore la componente «logica» del linguaggio. Acquista anche più importanza la componente lessicale, cioè quel genere di informazioni immagazzinate mentalmente e che si trovano esplicitate nei dizionari. La semantica, cioè la componente del senso, si trova ora scaricata sia a valle, sulle singole parole, sia a monte, sulle cosiddette regole astratte di «proiezione». Un fatto degno di nota: Chomsky introduce nella nuova teoria elementi linguistici fondamentali, reali, eppure muti, cioè non detti e non scritti. Si tratta di «tracce» di pronomi, di soggetti, di complementi. Mai scritti, mai pronunciati, mai insegnati, eppure fondamentali. Essi hanno una realtà linguistica, una realtà psicologica, ma non una realtà acustica, o grafica. Presenti, ma mai percepiti direttamente. Del resto, non hanno i fisici postulato l'inafferrabile neutrino, i quarks e altre entità invisibili? Anche la linguistica si avvia su questa strada. Se non vi piacciono queste entità invisibili, beh, provatevi a spiegare tanti fenomeni linguistici con una teoria altrettanto elegante, completa e predittiva, ma che riesca a farne a meno. Chomsky risponde proprio come risponderebbe un fisico o un chimico teorico. Che la linguistica non stia diventando una scienza matura? M. Piattelli Palmarini Noam Chomsky in una caricatura di David Levine (Copyright N.Y. Revlew of Books. Opera Mundi e per l'Italia .La Stampa.)

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