Brasile, crisi «alla polacca»

Brasile, crisi «alla polacca» OSSERVATORIO Brasile, crisi «alla polacca» Da un punto di vista storico, etnico e culturale non hanno nulla in comune, li separa un oceano, sono incastonati in continenti diversi, politicamente stanno agli antipodi. Eppure Polonia e Brasile da un po' di tempo sembrano percorrere corsi paralleli, i sommovimenti che li agitano si rassomigliano per molti aspetti, Varsavia dà quasi l'impressione di avere un gemello ibrido a Rio de Janeiro. Ma in cosa si possono paragonare due regimi tanto opposti? Indubbiamente gli accostamenti speculari non mancano. In ambedue i Paesi i lavoratori hanno deciso di sfidare la legge per guadagnarsi il diritto, finora misconosciuto, di formare sindacati indipendenti. Nei due casi la potente chiesa cattolica si è schierata compatta con la base popolare, contro lo Stato autoritario. Sia in Polonia che in Brasile la ventata di liberalizzazione, in sostanza più dialettica democratica, ha coinciso con una fase di brutale recessione interna. In Europa il governo polacco detiene cosi il record dell'indebitamento con l'estero, oltre 30 miliardi di dollari, mentre nell'America Latina le autorità di Brasilia stanno ancora peggio, quasi 56 miliardi di dollari di debiti contratti con i grossi istituti finanziari mondiali. Ed ancora, sullo stesso piano, un'inversione di rotta abbastanza coincidente, registrata proprio in questi giorni. Le crisi economiche polacca e brasiliana impongono di fatto la revisione delle concessioni politiche, da ciò una serie di «avvertimenti» agli oppositori affinché non tendano la corda oltre il limite di rottura. Emblematico è l'ultimo episodio che ha avuto per protagonista Luis Ignacio da Silva (i sostenitori lo chiamano affettuosamente Lula): è il più famoso sindacalista brasiliano, il Lech •Walesa delle Favelas. Ai giudici che lo condannavano a tre anni e mezzo di carcere per aver organizzato lo scorso anno uno sciopero di sei settimane dei metalmeccanici di San Paolo, ritenuto illegale, ha gridato: «Ricordatevi della lezione di Danzica». Contro la sentenza si erano mobilitati i principali sindacalisti dell'Occidente, sono intervenuti Papa Wojtyla e il Cancelliere tedesco Helmut Schmidt e il governo di Joao Baptista Figueiredo ha fatto marcia indietro. Ora Lula è libero, tuttavia, come in Polonia, non sono mancati altri segnali ammonitori. L'artista argentino Adolfo Perez Esquivel, vincitore del premio Nobel per la pace, è stato fermato dalla polizia brasiliana e minacciato di espulsione per aver parlato in pubblico a favore dei diritti umani (nonostante che Amnesty International avesse riconosciuto già nel 1980 che in Brasile non esistono più prigionieri politici). Agli universitari di Rio i quali si proponevano di politicizzare le proprie organizzazioni accademiche è stato fatto capire che si preoccupassero piuttosto di studiare. Anche la stampa ha avuto la sua tiratina d'orecchi. Due direttori di giornali, fra i quali il prestigioso Jornal do Brasil, sono stati condannati con la condizionale ad un anno di prigione per aver pubblicato le dichiarazioni di un deputato dell'opposizione giudicate lesive dell'onore nazionale (aveva detto che il Parlamento brasiliano «faceva schifo»), Vabertura voluta dai militari resta comunque una scelta obbligata per il Brasile. Si tratta adesso di conciliare numerose esigenze immediate, abbandonando alcuni faraonici programmi di sviluppo dai contenuti troppo spettacolari per favorire una più massiccia presenza pubblica nella previdenza sociale e nella riforma agricola. Piero de Garzarolli li presidente Figueiredo: marcia indietro con i sindacati

Persone citate: Adolfo Perez Esquivel, Helmut Schmidt, Joao Baptista Figueiredo, Lech ?walesa, Luis Ignacio, Papa Wojtyla, Piero De Garzarolli