Brescia: l'arzilla centenaria preferisce un piatto di polenta agli omogeneizzati di Franco Giliberto

Brescia: l'arzilla centenaria preferisce un piatto di polenta agli omogeneizzati Friulana di nascita, vive in casa di un figlio che ha 67 anni Brescia: l'arzilla centenaria preferisce un piatto di polenta agli omogeneizzati DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE MACLODIO — Qual è il segreto di lunga vita? Continenza, morigeratezza, castità — come sostenevano i saggi d'un tempo — oppure qualche altra virtù ancora? Dicono le statistiche ufficiali che in Italia ci sono tredici persone su cento che hanno 65 anni e oltre. Ossia sette milioni e mezzo d'italiani con i capelli sicuramente bianchi. Ma sono abbastanza rari coloro che arrivano o superano i cent'anni d'età: meno dell'un per mille, secondo calcoli induttivi dell'istat. E chi arriva al secolo d'esistenza, come ha fatto? Come sta, che progetti ha per il futuro? Ascoltiamo una signora che domenica 15 marzo compirà cent'anni. Vive a Maclodio, paese a venti chilometri da Brescia, alla periferia del centro abitato dove suo figlio Alberto (67 anni) possiede una casa colonica. Capitato 11 senza preavviso per cogliere la situazione dal vero (non concedendo preparativi né remote possibilità che la centenaria si disponesse alla visita con qualche artificio energetico) il cronista ha trovato ottima accoglienza. Il colloquio che segue è avvenuto a quattro: protagonista Rosa Masut Giacomin, nata nel 1881, anno in cui Garibaldi settantaquattrenne era intento alle memorie autobiografiche e l'Italia era fatta da poco. Cronista. Complimenti signora Rosa. Li porta bene i suoi cento anni. Capisce le mie parole? Signora Rosa. Capisco, capisco tutto. E' la vista che m'inganna, non riesco più a infilare l'ago. Ma l'udito s'è conservato bene. Cronista. Come mai è a letto? C'è qualcosa che non va? Nuora. Niente. proprio niente. E' venuto il dottore, pochi giorni fa. e non le ha trovato niente. Del resto sono 35 anni — da quando mi sono sposata — che non vedo mia suocera prendere medicine. Mai niente. Non dico antibiotici, ma nemmeno un'aspirina o una purga. Signora Rosa. Sono a letto perché fa ancora freddo. Non si fidano a farmi scendere giù in cortile. Ma sta arrivando la primavera, tra poco potrò di nuovo sgranchirmi le gambe dabbasso. Cronista. Lei tuttavia si alza, se vuole. Signora Rosa. SI per le mie piccole necessità, con mia nuora che mi dà una mano. Non sono mica più agile come una volta. Figlio. Comunque è una bella vecchietta magra, asciutta con la mente lucida. Che cosa importa se non assomiglia in tutto a Mennea? Signora Rosa. Però mi trattano come una bambina. Mi danno da mangiare cose da bambini. Gli omogeneizzati, che non posso soffrire. La signora Rosa non pronuncia bene • omogeneizzati', parla in dialetto. Nuora. E' vero, l'altr'anno avevamo cominciato a darglieli, ma ora non più, visto che non le piacciono. Vuole sapere la sua dieta? Verso le 7 le preparo un caffè. Il caffè le garba molto: dieci al giorno ne berrebbe se glie li portassi. Ci metto un po' di grappa, sua vecchia passione, anche se in questo senso non ha mai esagerato: non vorrei che si equi¬ vocasse. Poi una scodella di latte, verso le 8. A mezzogiorno un frullato: ci metto dentro una mela o una banana, un bicchiere di latte, un bel cucchiaio di zucchero o di miele, due o tre biscotti Mellin. Poi un altro caffè, verso le 13, con la correzione. Un paio di biscotti a metà pomeriggio, e la sera ancora una tazza di latte con un misurino di prodotto dietetico, un piccolo supplemento vitaminico, che il dottore mi ha assicurato non essere una medicina. Ha gusto di cioccolato. Signora Rosa. A me piacerebbe la polenta, ma va molto bene anche cosi. Non mi posso lamentare di niente, alla mia età altre persone sono in casa di riposo, lontane dai figli... Figlio. Con te non succederà mai mamma, non ti preoccupare. Ci mancherebbe altro. La polenta? Su, di' la verità: qualche volta te ne diamo una cucchiaiata... Cronista. Ora lei vive tranquilla, ma quand'era più giovane ha avuto una vita movimentata? Signora Rosa. Altro che movimentata. Io sono nata a Sarone, in Friuli. Eravamo poverissimi. Ne ho passate di tutti i colori. Era tanta la fame che una volta — ero già sposata e avevo avuto quattro dei miei otto figli — ho dovuto macinare il sorgo da scope per fare una polenta. E poi il disastro della grande guerra. Io e mio marito, Luigi Giacomin, siamo scappati profughi a Maclodio nel 1920, per trovare un po' di lavoro in più. Luigi poveretto ha fatto anche l'emigrante per tanto tempo... Figlio. Mio padre è morto nel 1952, quando aveva 74 anni. Erano molto legati, ma poi lei piano piano si è abituata alla vedovanza. Cronista. Signora Rosa, lei da giovane, era molto corteggiata? Signora Rosa. Io per la strada camminavo dritta, non davo bada alla gente. Cronista. Insomma, lei era un pochino superba? Signora Rosa. No, no. Salutavo tutti come si deve, ma mi bastava il mio Luigi. Cronista. Anche lei avrà lavorato molto... Signora Rosa. SI, ho lavorato tanto, in casa, in campagna, a fare le iniezioni alle vicine che ne avevano bisogno. Una volta sono andata anche a Trieste a fare la balia. Luigi era all'estero. emigrato. Quando è tornato a casa si è un po' arrabbiato e io gli ho detto: come, come? Non avrei dovuto lavorare? E perché no, se c'era la possibilità di trovare il companatico ai figli? Figlio. Mia madre è sempre statr una donna attivissima, buona amministratrice. risparmiatrice. Eravamo otto fratelli, ora quattro sono morti. Siamo rimasto io. Ida che ha 76 anni, Giovanni che ne ha 61 e Santina che ne ha 63. Comunque, in famiglia, con i nipoti e i pronipoti siamo in trentanove, un po' qua e un po' là sparsi per l'Italia. Domenica, compleanno di mia madre, saremo in molti attorno a lei. Signora Rosa. Oh si. la compagnia è la cosa più bella che esista. Non importa la vecchiaia, importa avere gente intorno. Senza la solitudine, cent'anni non sono niente. Franco Giliberto

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