La ricetta Pinochet di Livio Zanotti

La ricetta Pinochet OSSERVATORIO La ricetta Pinochet Cè un dato di fatto riconosciuto anche dalle opposizioni nell'autoproclamazione del generale Augusto Pinochet a capo assoluto dello Stato per altri 17 anni: dal settembre 1973 ad oggi, il potere militare che rovesciò il presidente costituzionale Salvador Allende ha cancellato dal Paese non solo l'esperienza del governo di Unidad Popular, ma anche la precedente del democristiano Eduardo Frei. Quello che affronta gli anni Ottanta è il Cile della restaurazione compiuta. La dittatura del generale golpista è sancita nella nuova Costituzione nazionale, votata nel settembre scorso dal 67,54 per cento dei cileni. Una maggioranza costretta ad esprimersi con schede aperte e verificata soltanto da scrutatori prescelti dal regime, ma non inventata. Sebbene difficile da misurare in mancanza di strumenti democratici, Pinochet ha una base reale nel Paese. E l'atteggiamento di comprensione già manifestato dal presidente Reagan verso la junta di Santiago certamente varrà a rafforzarla. Il Cile è forse l'unico Paese occidentale in cui il famoso economista di Chicago Milton Friedman ha potuto applicare rigorosamente la sua ricetta risanatrice, fondata su un liberismo ad oltranza. Sotto questo aspetto ha quindi il valore di un caso simbolico. In sette anni, assistito da esperti nordamericani che i cileni hanno battezzato i «Chicago-boys», Pinochet ha ridotto l'inflazione dal 375,9 al 38,5 per cento. Il risultato è notevole. Lo è stato, ovviamente, anche il costo sociale. I militari hanno proceduto a colpi d'ascia, riducendo le spese sanitarie della metà, quelle scolastiche di un quarto, la costruzione di abitazioni di oltre il 50 per cento. Tutto ciò in un Paese storicamente piagato dalla mortalità infantile, dall'a¬ nalfabetismo, dalle bidonville*. La disoccupazione, mai scomparsa del tutto, è tornata ai livelli del 1972. Il «programma d'impiego minimo», una sorta di salario garantito deciso dal governo militare per fronteggiare in qualche modo la miseria, assicura l'equivalente di 30 mila lire mensili. Innumerevoli disoccupati preferiscono non ricorrervi, perché costerebbe loro di più il trasporto necessario per raggiungere i posti di lavoro. C'è invece la corsa ad impiegarsi nelle agenzie della grandi multinazionali che hanno assorbito imprese cilene. Le multinazionali pagano meglio, ma i posti che offrono sono insufficienti. Per un lavoratore assunto, tre restano fuori dai cancelli ad aspettare un'occasione migliore. Gli investimenti, finora, scarseggiano. Ma nessuno si fa illusioni su un futuro prossimo molto diverso. La congiuntura internazionale non è delle più favorevoli, né l'opposizione politica rappresenta un'alternativa concreta ancorché lontana. La sinistra è divisa. Due sono i partiti socialisti: Clodomiro Almeida capeggia il primo, incontrando forti simpatie a Mosca; Carlos Altamirano guida il secondo, con qualche appoggio delle socialdemocrazie europee. I comunisti di Luis Corvalan, perduta la speranza di allearsi ai democristiani, non escludono ormai il ricorso alla resistenza armata. Ci sono stati nelle scorse settimane i primi attentati, firmati dal Movimiento de la Izquierda Revolucionaria e da squadre comuniste, a centrali elettriche. Sono state assaltate delle banche. Eduardo Frei ne ha tratto motivo per allontanare ulteriormente le proprie posizioni da quelle della sinistra, sebbene negli stessi giorni i militari confermassero l'esilio per il presidente dei democristiani cileni, Zaldivar. Livio Zanotti Pinochet: il costo sociale del liberismo a oltranza

Luoghi citati: Chicago, Cile, Mosca, Santiago