«A.A. Vendonsi a Brescia rifugi contro l'atomica» di Franco Giliberto

«A.A. Vendonsi a Brescia rifugi contro l'atomica» Già settanta ordinazioni ai costruttori «A.A. Vendonsi a Brescia rifugi contro l'atomica» DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE BRESCIA — Un piccolo corno d'avorio o di corallo costa poche migliaia di lire. Meno ancora costa un ferro da cavallo usato. Ma contro la malasorte di una esplosione nucleare, chi sarebbe più potente: gli amuleti tradizionali o un fantascientifico rifugio antiatomico? Dopo aver pensato alla risposta (raziocinante risposta, naturalmente), un gruppo d'imprenditori lombardi ha fondato la «Securitalia», società che dall'autunno scorso è in grado di vendere ripari a prova di bomba atomica, con «denominazione d'origine controllata» fornita dall'Ufficio federale svizzero per la protezione civile. Però gli italiani, questi fatalisti incalliti, sono dei buoni clienti? Abbastanza: la ditta bresciana ha già ricevuto quasi settanta ordinazioni. C'è un signore siciliano che ha chiesto il preventivo per un rifugio-appartamento da sistemare nel sotterraneo del proprio castello avito (gli costerà circa 300 milioni); c'è una coppia di pensionati liguri che ha fissato con caparra il «modulo minimo», da sei metri quadrati (20 milioni); alcuni professionisti lombardi, veneti, piemontesi per la loro seconda casa al lago o in montagna hanno preferito il progetto da 30 milioni, ossia il rifugio di dieci metri quadrati, che è l'optimum per ogni famigliola tremebonda. «Afa è giusto far dell'ironia? Non è giusto mi pare — dice la signorina Letizia Sorlini, addetta al settore commerciale della "Securitalia" — perché in questi casi vale sempre il vecchio adagio: "Fidarsi è bene, non fidarsi è meglio". Dovremmo allora ironizzare anche nei confronti di Paesi civilissimi come la Svezia, che ha preparato rifugi antiatomici per V88 per cento della popolazione? Oppure di Svizzera, Finlandia, Unione Sovietica, capaci di proteggere dai rischi atomici i propri cittadini nella misura del 70 per cento e più? Purtroppo viviamo in un mondo inquieto e questo risvolto della protezione civile non è un lusso e nemmeno una stravaganza». La signorina Sorlini non ricorda nemmeno alla lontana la figura di una iettatrice. Tuttavia elenca, senza batter ciglio, per forza di cose, una serie di disastri atomici che potrebbero verificarsi. Dalla guerra nucleare allo scoppio d'una centrale, dalla fuga di materiale radioattivo durante un trasporto via terra alla caduta di un aereo con missili atomici, fino alle manovre militari in tempo di pace che — per colmo di sventura — si concludano con un errore di tiro e infestino di radiazioni una zona abitata anziché un deserto o il ventre profondo della terra. «E poi ci sono gli incidenti chimici, alla Seveso per inten derci, quelli che possono determinare un improvviso, in controllabile inquinamento atmosferico. I nostri rifugi all'occorrenza vanno benissimo sono a tenuta stagna, proteggono persino da un'eventuale inondazione. Una bomba come quella di Hiroshima, lanciata a 600 metri dal rifugio, non fa né caldo né freddo a chi vi sia riparato dentro. E in caso di terremoto, se ci sono dei segnali premonitori del sismo, chi possiede un box del genere può corrervi a salvarsi». Vediamo il rifugio da 10 me tri quadrati. E' di cemento armato con pareti spesse trentacinque centimetri, che va posto accanto alla casa, sotto circa mezzo metro di terra ben compressa. Ha un cunicolo che lo collega all'abitazione e un portellone d'ingresso con bordi d'acciaio, che viene montato nel momento della gettata (il cemento va colato e «vibrato, in un'unica soluzione). Nei progetti del 15-30 per cento più cari, fuori del portellone e prima del cunicolo, c'è una stanzetta di decontaminazione, per chi dovesse entrare dopo aver già subito delle radiazioni, o per chi volesse uscire a esplorare l'esterno, dopo qualche giorno dal disastro. • Un rifugio cosi — spiega Letizia Sorlini — è dotato di filtri di aerazione e di ventilazione che garantiscono la sopravvivenza per una quindicina di giorni. Noi forniamo anche tute, maschere antigas, guanti, polveri decontaminanti per lavarsi, tutto materiale inglese, costruito per simili evenienze. Dopo quindici giorni, in genere, l'ambiente esterno non è più tanto pericoloso: i rifugiati possono metter fuori la testa, cominciare le prime esplorazioni: Naturalmente, per chi può spender di più, c'è la dotazione di un gabinetto con «pozzo a perdere», un impianto d'acqua con decontaminatore e una piccola doccia. Dipende poi dai clienti dotare il rifugio delle suppellettili necessarie, come letti a castello, biancheria, cibo leggero e poco ingombrante, liofilizzato per esempio. — Ma c'è gente che non riesce a comprarsi una casa normale, come pensare che abbia successo il rifugio antiatomico? •Purtroppo, per ora, la nostra iniziativa è diretta a chi può permettersi di sborsare un po' di soldi. Ma non si creda che soltanto i ricconi possano essere interessati. Ventitrenta milioni non sono un'enormità. Lo sa che qui a Brescia un garage individuale, in centro, costa sessanta milioni di lire ed è difficile lo stesso trovarne uno ih vendita?». Franco Giliberto

Persone citate: Letizia Sorlini, Sorlini

Luoghi citati: Brescia, Finlandia, Hiroshima, Seveso, Svezia, Svizzera, Unione Sovietica