Torino: per lo scandalo dei petroli 11 persone arrestate e 3 ricercate

Torino: per lo scandalo dei petroli 11 persone arrestate e 3 ricercate In carcere industriali, pubblici ufficiali e l'ex cantante Dino Torino: per lo scandalo dei petroli 11 persone arrestate e 3 ricercate TORINO — Dopo cinque anni di indagini, la prima vera e propria inchiesta sullo scandalo dei petroli è giunta ieri ad un punto cruciale. Il pubblico ministero Pepino ha chiesto, ed il giudice istruttore Griffey ha convalidato, quattordici mandati di cattura eseguiti, in parte, ieri dai carabinieri e dalla Guardia di Finanza. Sono finiti in carcere uomini politici, petrolieri, pubblici ufficiali. La lista s'apre coll'ex presidente del Consiglio di circoscrizione della «Crocetta» (il quartiere più elegante di Torino), il democristiano Sergio Penna, 41 anni, via Lamarmora 6, industriale. Inquisito per un'altra vicenda, in qualità di presidente del consiglio d'amministrazione della «Cibe», il Penna ha preferito rassegnare le dimissioni dalle cariche politiche. Le manette sono scattate anche per: Nicola Pignatiello, Alfredo La Rosa e Fiorano Semprini tutti e tre funzionari dell'Utif di Torino all'epoca della truffa (1975-'76). Un altro loro collega, Gerardo Di Sapio, è già in carcere da tempo perché coinvolto in analoghi casi di corruzione. Un quinto funzionario Utif, l'ing. Enrico Ferlito è latitante da anni. In una sua cassetta di sicurezza i giudici hanno sequestrato lingotti d'oro e contanti per circa un miliardo. Ha varcato la soglia del carcere anche un sottufficiale della Finanza, il maresciallo Aldo Setti. La lista degli altri colpiti dal provvedimento comprende un famoso ex cantante, Dino Zambelli, in arte «Dino» che a un certo punto della sua carriera ha trovato più redditizio entrare nel mondo dei petrolieri; i fratelli Piergiorgio e Roberto Pellegrin, molto noti nell'ambiente torinese del commercio di carburanti: Sergio e Luigi Masnata, padre e figlio, titolari della «General Oil» di Leini: Antonio Villata, titolare della «Petrolsole»; Carlo Olivero. Dei 14 mandati di cattura, tre non sono stati eseguiti perché i colpiti dal provvedimento non si sono trovati. Sono i due Masnata che proprio ieri dovevano comparire in Tribunale per un processo sempre per contrabbando di petroli e Roberto Pellegrin. I reati contestati riguardano il contrabbando, l'associazione per delinquere, il falso e la corruzione. La truffa ai danni dello Stato, negli Anni 75-76, è di una decina di miliardi e riguarda oltre cento milioni di chili di gasolio. Gli imputati dell'inchiesta aperta dal dottor Mario Griffey sono oltre 120. Si tratta della prima, rilevante istruttoria da cui ne sono scaturite altre decine sia a Torino che in altre città del Nord Italia. Nel '75 nessuno immaginava che il contrabbando di petroli in Italia avesse le proporzioni accertate successivamente (la cifra dei duemila miliardi frodati all'erario non è lontana dalla real¬ tà). E' stato pioprio il giudice Griffey a intuire i meccanismi della frode. L'inchiesta è partita da un movimento sospetto di gasolio in alcuni depositi di Collegno (Torino), dei petrolieri Luigi Volpara e Aurelio Alecci. Ma subito il giudice s'è trovato di fronte ad un muro di omertà e reticenze. Lavorando in sordina, senza lasciar trapelare la benché minima notizia, il dott. Gruffey, dopo 5 anni, è riuscito a smascherare l'intera organizzazione che gravitava attorno a Volpara e Alecci. Nel mirino degli inquirenti sono finite due aziende, la «Stedi» di Piossasco e la «General Oil» di Leinì. L'amministratore formale della prima era l'ex cantante Dino Zambelli, ma, secondo l'accusa, i soci occulti erano Sergio Penna, Carlo Olivero e i fratelli Pellegrin. Della «General Oil» i responsabili erano i due Masnata. Le due società, insieme con la «Passalacqua» di Alessandria e la «Termodomus» di Robbio Lomellina (Alessandria) fingevano di vendere gasolio per riscaldamento ai depositi di Volpara e Alecci. In realtà facevano uscire gasolio per autotrazione acquistato da altre aziende conniventi. La differenza d'imposta fra i due tipi di gasolio (circa 50 lire al chilo) anziché allo Stato, finiva nelle tasche dei petrolieri disonesti. Per riuscire nella frode, questi avevano bisogno della collaborazione dei pubblici ufficiali, soprattutto dei funzionari Utif. Altri giudici accerteranno in seguito che analoghe truffe erano generalizzate, ordinaria amministrazione. Guido J. Paglia