Dirottatori e politica di Ferdinando Vegas
Dirottatori e politica OSSERVATORIO Dirottatori e politica Il dirottamento di un aereo pakistano, prima a Kabul e poi a Damasco, più che sulle complicazioni internazionali richiama l'attenzione sulla situazione interna del Pakistan: proprio come vogliono gli autori dell'impresa, avversari della dittatura militare del generale Zia ul Haq. Questi ha indubbiamente accusato il colpo, giungendo sino a riaprire un contatto ufficioso con l'opposizione, finora tenuta rigorosamente al bando; ma il rimpasto ministeriale compiuto l'altro ieri non ha introdotto alcun sostanziale mutamento: nessuna personalità dell'opposizione è entrata al governo, mentre rimane in vigore la legge marziale e non si parla neppure lontanamente di elezioni. Continua così il secondo ciclo del regime militare, cominciato col colpo di Stato del 1977, quando Zia rovesciò il presidente Bhutto, che avrebbe poi fatto impiccare nell'aprile 1979. Il pri•mo ciclo, sotto il maresciallo Ayub Khan e quindi il generale Yahya Khan, era durato 13 anni ininterrotti, dal 19S8 al 1971, sicché si può dire che la breve storia del Pakistan indipendente (dal 1947) è divisa a metà, tra dittature militari e governi civili. Questa anomalia deriva da quell'anomalia intrinseca nel Pakistan stesso, uno Stato senza omogeneità etnica, inventato alla fine dell'impero inglese per raccogliere gli indiani di fede islamica separatamente dagli induisti. La religione musulmana è pertanto l'unico fattore unitario del Pakistan, importante ma insufficiente, come ha dimostrato nel 1971 la secessione del Bangla Desh, del tutto estraneo al Pakistan occidentale. Fu appunto in seguito a questa catastrofe che cadde il regime militare e tornarono al potere i civili, con Bhutto. Il nuovo governo partiva con buone possibilità: ave¬ va l'appoggio della borghesia liberale, delle masse contadine e degli operai, che speravano nella riforma agraria e nel riconoscimento dei diritti sindacali, ed ancora delle minoranze nazionali, le quali si attendevano concessioni autonomistiche. Ma il personalismo di Bhutto, troppo fiducioso nel suo prestigio di unico capo popolare che il Pakistan abbia mai avuto, doveva deludere tutte queste attese, portare alla rovina Bhutto, e con lui il governo civile. Tornarono cosi i militari, presentandosi come garanti dell'unità nazionale; e non a caso si rivolsero a potenziare l'unico denominatore comune dei pakistani, la fede islamica, oltre tutto perché Zia e compagni erano strettamente legati con il movimento dell'integralismo islamico diffuso nell'esercito e nella burocrazia. Sul piano interno, in conclusione, si tenta di realizzare una teocrazia su base militare, estendendo le misure di islamizzazione ai più diversi aspetti della vita sociale, e applicando insieme la legge marziale. Sul piano internazionale, rimane intatta la tradizionale amicizia con la Cina, in funzione antindiana e antisovietica; l'alleanza con gli Stati Uniti ha invece attraversato un momento difficile per l'opposizione di Carter alla scelta nucleare di Islamabad. Ma l'invasione sovietica dell'Afghanistan ha fatto del Pakistan il Paese-chiave per il mantenimento del sistema difensivo occidentale nell'«arco dell'instabilità». Già le prime dichiarazioni del segretario di Stato Haig lasciano prevedere che Washington offrirà qualche cosa di più delle «noccioline» di Carter, come Zia aveva sprezzantemente chiamato i primi aiuti stanziati dal presidente dopo l'ingresso dei sovietici a Kabul. Ferdinando Vegas Il generale Zia: rimpasto nel governo senza aperture
Persone citate: Ayub Khan, Bhutto, Haig, Yahya Khan
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