La spada di Popper

La spada di Popper UN «GIALLO» FILOSOFICO La spada di Popper (Perché si riapre in Italia il «caso» del grande pensatore viennese) Da qualche tempo, in Italia, vi è grande attenzione per il pensiero di sir Karl Raimund Popper, il settantanovenne filosofo nato a Vienna e che dal '45 è stato professore alla «London School of Economics and Politicai Science». Sorprende questo improvviso accendersi di interesse, documentato da articoli, libri e trasmissioni radio-televisive, dato che da più di dieci anni alcuni editori, soprattutto Einaudi e Armando, avevano avviato la versione italiana, ora quasi completa, delle sue opere. Contrariamente a quanto di solito avviene, il «caso» Popper è scoppiato assai dopo la traduzione dei suoi scritti. Una probabile causa di ciò va individuata nel duplice aspetto del pensiero di Popper, che pur ha una radice profondamente unitaria. Formatosi nello stimolante ambiente viennese, negli anni posteriori alla prima guerra mondiale, pieni di dibattiti sulle svolte date alla fisica dalla teoria einsteiniana della relatività, alla ricerca psicologica dalla psicoanalisi di Freud, alle questioni politiche e sociali dall'assunzione del potere in Russia da parte del socialismo «scientifico» marxista, il giovane Popper centrò fin da allora quello che sarebbe stato, costantemente, il «suo» problema: la determinazione dei caratteri che distinguono la ricerca scientifica, quale ne sia l'oggetto, dalle altre attività umane. Diversamente dal consueto modo di pensare, per cui una teorìa è tanto più scientifica quanto più numerose sono le conferme trovate nell'esperienza, Popper indicò la scientificità di una teoria nella sua capacità di sottoporsi a tentativi di confutazione (o «falsificazione») da parte dell'esperienza. Accumulare conferme non garantisce mai del tutto una teoria, poiché non tolgono la possibilità di una smentita futura; andare, invece, alla ricerca dei fatti che possono falsificare la teorìa, è un modo per corroborarla, quando tali fatti, pur cercati, non si trovino. Non si avrà, indubbiamente, una conferma definitiva della teoria: ma è proprio la continua critica e rìvedibilità dei risultati che caratterizza la scienza. L'esempio della rivoluzionaria teoria della relatività generale di Einstein, che prevedeva un'attrazione della luce da parte del Sole e che fu messa alla prova, superandola, dalla spedizione di Eddington in occasione dell'eclissi del 1919, è per Popper rivelativo del metodo della scienza. Ben diverso è invece il procedere della psl coanalisi o del marxismo, a cui Popper s'era avvicinato con fiducia e entusiasmo: in entrain bi i casi egli si trovò innanzi a teorie che si facevano vanto di poter spiegare qualunque fatto rientrante nel loro dominio di indagine, magari con opportu ni ritocchi in occasione di smentite alle proprie previsioni. Ma questa assolutezza presunta non è forza, bensì debo lezza. Si tratta di pseudoscien ze, che vengono meno al criterio di credibilità proprio della scienza. ★ * Risultano così i due aspetti del pensiero popperiano a cui accennavo: da un lato, vi è una metodologia e filosofia della scienza che svolge il tema del «falsificazionismo», dalla Logick der Forscbung del '34 alla rielaborazione inglese dell'opera (1959), a un'abbondante serie di scritti più recenti. Sono argomenti non facili, spesso da specialisti, ben noti da tempo a questi, anche tra noi, ma non tali, tuttavia, da far sorgere un «caso Popper». Dall'altro, intimamente connesso con quello epistemologico, v'è l'aspetto politico del pensiero popperiano, documentato dalle sue critiche al concetto di «dialettica», allo «storicismo» (come teoria pseudo scientifica che ritiene di poter fissare le leggi certe del divenire storico), e sviluppato soprattutto, nei due volumi di La società aperta e i suoi nemici (1945). E' un aspetto, al tempo stesso, teorico e pratico, che colpisce l'assolutezza pseudoscientifica di alcune teorie sociali e il suo risvolto «totalitario», come nel caso del marxismo, nella formazione di istituzioni che bloccano lo sviluppo critico della società e di riforme modeste, ma reali, in nome di un'utopia sulla rigenerazione totale dell'umanità. Si comprende ora come in una cultura, quale la nostra, che negli ultimi decenni è stata affascinata dai luoghi comuni del conformismo «progressista» e che conserva spesso il gusto per le soluzioni radicali e consolanti, Popper sia rimasto a lungo un isolato fenomeno controcorrente. I marxisti — a partire da quelli sovietici, che con voluto fraintendimento hanno ridotto il «falsificazionismo» a una burletta, facendogli sostenere che la teoria di un ignorante è più scientifica di quella di Einstein, perché più tranquillamente falsificabile — hanno sempre visto Popper come il fumo negli occhi. E hanno cercato in ogni modo di non parlarne, tra noi, per anni, mettendo tra parentesi anche i suoi temi epistemologici. * * L'isolamento, tuttavia, non poteva durare all'infinito. E così è scoppiato il «caso Popper», perché è difficile impedire alle idee di circolare. Inoltre, l'innegabile crisi teorica del marxismo, fuori ed entro i confini, costringe ora a fare i conti con Popper anche sulle riviste ufficiali di tale movimento, sino a spingere qualche nostro giovane marxista al pericoloso ardimento di negare l'utilità dei tradizionali «riaggiustamenti puramente passivi» e a suggerire il dibattito su «i limiti e le possibilità alternative teoriche». All'interesse per il «caso», del resto, non è forse estranea la rapida diffusione, anche tra i non specialisti, dell'autobiografia di Popper, La ricerca non ha fine, tradotta nel 76 presso l'editore Armando. Nel raccontare la propria vita, Popper fa una dichiarazione non consueta tra i filosofi: la confessione di un «delitto». «Oggi tutti sanno che il positivismo logico è morto. Ma sembra che nessuno sospetti che qui ci si può porre una domanda...: "Chi ne e il responsabile?", o meglio, 'Chi l'ha ucciso?"... Credo di dover ammettere la mia responsabilità». Si tratta, è ovvio, di un assassinio metaforico; ma la dichiarazione fa egualmente colpo e induce la gente a occuparsi di questo «giallo filosofico». Il «delitto» risalirebbe per Popper addirittura agli Anni Trenta: esso consiste, infatti, nella confutazione che il falsificazionismo fa della tesi fondamentale per i positivisti, che la conoscenza sia accumulo di esperienze e, quindi, di verifiche. Quando Popper mostrò, contro l'empirismo radicale, che la conoscenza scientifica è frutto dell'invenzione di congetture o ipotesi che non nascono dall'osservazione, anche se sono falsificabili con le osservazioni, ciò segnò, per lui. la «morte» del positivismo logico. * * La suspense di questo delitto è in primo luogo, tuttavia, nel fatto che i neopositivisti non si accorsero di essere morti e continuarono a filosofare per qualche decennio. Forse l'arma del delitto non era così sicura come Popper ritiene. Ma la cosa più appassionante è che quell'arma — una «spada concettuale» — di cui Popper va così fiero, rischia in questi ultimi tempi di diventare lo strumento con cui gli epistemologi «anarchici», come Paul Feyerabend, si propongono di uccidere il razionalismo critico di Popper, di cui pur si nutrirono in giovinezza. Chi di spada ferisce di spada perisce. Anche qui è un duello di concetti: Feyerabend ironizza su Popper che non ha affilato fino all'estremo la sua arma. Se le teorie non dipendono dalle osservazioni, ma addirittura le condizionano, non si può più difendere una metodologia falsificazionista. I «fatti», a essere coerenti, sono anch'essi carichi di teoria, sono «ideologie vecchie» e non valgono né a corroborare né a confutare un'ipotesi. Non c'è più un metodo della scienza che la distingua dalle pseudocoscienze: «Tutto va bene». E se fosse veramente così, con l'uccisione della filosofia di Popper, sarebbe soppresso anche ogni uso ragionevole della «ragione». In questa situazione, il «caso Popper» merita la prima pagina. Anche perché le indagini proseguono e gli inquirenti si dibattono in angustie. Come mai i neopositivisti sopravvissero così a lungo ai colpi di Popper? E perché la spada usata è rivolta ora contro di lui? Quale soluzione si prospetta? Chi vuole chiarirsi le idee sul caso e trovare qualche indicazione di risposta ai problemi suddetti può leggere con profitto il libro che Marcello Pera, un giovane, acuto e arguto studioso di epistemologia, ha dedicato a Popper e la scienza su palafitte (ed. Laterza). Potrebbe allora venirgli il sospetto che, anche nei duelli concettuali, quando non si abbia la presunzione dell'assoluto, che porta agli «opposti estremismi», non si tratta di «uccidere» questo o quello, bensì di tentare la via del vero in una ricerca, che come dice Popper, «non ha mai fine». Francesco Barone Karl Popper nella caricatura di David Levine (Copyright N.Y. Review of Books. Opera Mundi e per l'Italia -La Stampa»)

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