L'Italia, un mercato di conquista di Mario Salvatorelli

L'Italia, un mercato di conquista Inchiesta sulle cause della diminuzione delle nostre esportazioni L'Italia, un mercato di conquista C'è un'avanzata generale dei prodotti stranieri, non solo del Terzo Mondo ma anche dei Paesi più industrializzati - Calzature e automobili: settori dove l'import aumenta ROMA - II calo delle esportazioni nel 1980 ha colto di sorpresa un po' tutti: il governo, i sindacati e gli stessi industriali, che contribuiscono con quasi il 95 per cento al totale delle vendite all'estero di «merci» fabbricate in Italia, che abbiamo già rilevato nel primo articolo di questa breve inchiesta. Naturalmente, gl'industriali non hanno dovuto attendere i dati ufficiali definitivi (che non ci sono ancora) del 1980, per rendersene conto. Già in aprile il presidente dell'Associazione nazionale calzaturifici italiani, Leonardo Tranquilli, in una tavola rotonda a Venezia, prospettava un forte calo delle esportazioni per il suo settore, cogliendo, però, di sorpresa i suoi associati, il cui commento, citiamo le parole di uno di essi, fu: «E' la prima volta che ci capita, ed è una cosa abbastanza sorprendente per un settore vitale, importante, serio, attivo come il nostro». Anche il lettore può essere sorpreso che si parta dalle scarpe per un'analisi di questa crisi delle esportazioni. Il fatto è che, esaminando i dati dell'interscambio commerciale dell'Italia con il resto del mondo, si rileva che proprio il settore delle calzature è quello che ha avuto il più forte calo', il 15% in quantità, rispetto al 1979. E questo è tanto più -interessante- perché l'abbiglia¬ mento era al primo posto nel 1979, come valore del saldo attivo (differenza tra export e import), fra tutti i settori industriali, lo e stato ancora nel 1980, con un attivo di quasi 6.500 miliardi di lire nei primi undici mesi. A questo saldo le calzature hanno concorso per oltre il 41%, con 2.718 miliardi. Eppure, si parla di 'Crisi», perché le esportazioni sono scese da 335 a 285 milioni di paia di calzature, mentre le importazioni sono aumentate, da 24 a 34 milioni. E' proprio questa la chiave per spiegare il fenomeno, ci dice ora, a Roma, Leonardo Tranquilli, cioè la maggiore aggressività degli altri Paesi in tutti i mercati. Con le debite varianti e proporzioni, accade per le calzature quel che avviene per le automobili. L'Italia continua ad essere uno dei più grossi esportatori del mondo, per l'uno e l'altro prodotto, ma la quota delle importazioni continua a crescere. Cresce tanto che il saldo per gli autoveicoli, positivo fino al 1979, nel 1980 si è capovolto in negativo per oltre un centinaio di miliardi. Per le calzature, almeno per ora, si è solo ridotto l'attivo, che nei primi undici mesi del 1979 era stato di 2.722 miliardi di lire. Ma se si tiene conto dell'inflazione, e si guarda alla quantità, non al valore, ci si accorge che il saldo è sceso da 311 a 250 milioni di paia «Il calo è anche più grave sottolinea il presidente dell'Anci - perché il primo trimestre dell'anno scorso era ancora sostenuto dalle ordinazioni del 1979». Continua: «E' vero che il 1979 era stato un anno anomalo, con un "boom" quasi irripetibile, in termini di quantità. Ma nel 1980 c'è stata una flessione reale, sia pure modesta, anche rispetto al 1978». Perché? Tranquilli dà due spiegazioni: i nostri problemi interni, e l'offensiva degli altri Paesi, quelli in via di sviluppo, ma anche quelli industrializzati. I nostri problemi interni sono noti, o almeno dovrebbero esserlo: la rigidità e il costo della mano d'opera. Pochi hanno il coraggio di assumere operai, necessari per far fronte a nuove ordinazioni, se manca la sicurezza di poter mantenere all'infinito quei ritmi d'incremento della produzione. Quanto al costo della mano d'opera, c'è rimasto un solo Paese, la Germania Federale, dove esso è più alto che in Italia: circa il 22%. Ma, dice Tranquilli, il maggior costo è ampiamente compensato dalla maggiore produttività. E i motivi esterni? «C'è un'avanzata generale, da parte dei Paesi in via di sviluppo, che producono a costi assolutamente inferiori ai nostri, e da parte dei Paesi sviluppati, come la stessa Germania Federale, che hanno riscoperto i settori cosiddetti maturi, tra cui quello dell'abbigliamento». Aggiunge: «Un altro aspetto, trascurato ma tutt'altro che trascurabile, è quello del protezionismo. Non è possibile che le nostre esportazioni in Corea, in Brasile, paghino dazi del 120-180 per cento sul valore, quando gli stessi Paesi per le loro esportazioni in Italia pagano il 14 per cento. Questo è autolesionismo». I Paesi super-industrializzati, come gli Stati Uniti, come la Germania Federale, se non riescono a sfondare sul piano della moda, si fanno largo su quello dei costi, e aumentano la loro quota sui propri mercati interni, a danno delle nostre esportazioni. Mario Salvatorelli

Persone citate: Leonardo Tranquilli, Tranquilli