I nuovi proletari a piedi

I nuovi proletari a piedi I nuovi proletari a piedi Uno .sciopero dei mozzi punblici di trasporto in una grande città offre qualche occasione di riflettere e sull'urbanismo e sul mutato concetto di proletariato. Al principio del secolo le grandi città italiane non superavano il mezzo milione di abitanti, e la loro dimensione era tale che ogni persona sana e non troppo vecchia poteva percorrerla da un punto all'altro con le proprie gambe. La formazione delle metropoli di milioni di abitanti e uno dei lami fenomeni spontanei, di cui si possono anche individuare le cause, ma non e dato imputare la responsabilità ad alcuno. Ce in questo senso una spinta che nessuno riuscirà a frenare. Si può solo notare che mentre in un'azienda l'ingrandirsi comporta una più larga distribuzione delle spese generali, che quindi vengono a ridurre il prezzo del singolo prodotto — la fabbricazione in serie, i modelli-tipo — questo non si verifica rispetto ai bilanci delle aziende comunali: non in quelle di trasporto, dovunque in difficoltà per trovarsi nella necessità di fare fronte alle ore di punta, e tenere quindi un'attrezzatura che funziona in pieno solo poche ore del giorno: ma neppure nelle acquedottisliche. dove la manutenzione di una grande rete crea sempre nuove complicazioni, e viene a essere, anche comparativamente alle singole unità erogale, più costosa di quella di un piccolo acquedotto, A parie gli abusi, l'assunzione di personale esuberante, non controllabile, l'amministrazione di un grande Comune e raramente, direi in Italia mai. nelle condizioni di relativa floridezza, di bilanci in pareggio, dell'amministrazione di qualche cittadina. Chi controllasse i bilanci comunali delle medesime città, piccole, medie, grandi, dell'inizio del secolo, con gli attuali, ne troverebbe la conferma. Ma il mutato concetto di proletariato appare con maggiore evidenza in queste giornate. Il proletario allora era l'operaio, con i bassissimi salari (ricordo quello degli edili, non corrisposto nei giorni in cui il tempo non consentiva il lavoro), condizioni di vita durissime: per lo più mai sedersi ad una tavola apparecchiata: nella breve sospensione delle ore di lavoro sul mezzogiorno, li rivedo, col berrettino di carta di giornale in testa, addentare la pagnotta tagliala in due che conteneva un po' di salumi o legumi che ad ogni morso cadevano in parte in terra. Quando rievoco quelle condizioni dell'operaio di allora, provo indulgenza per i sindacati che oggi considero come li ha falli l'indisciplina degl'iscritti, la spinta dei violenti, e sento una certa tenerezza nel rievocare l'immagine dei primi socialisti. Onestamente riconosco, sia pure per me un riconoscimento doloroso, che in oltanl'anni socialisti e sindacalisti hanno fatto per dare una vita più degna all'operaio (ed anche al contadino, che sta però scomparendo, sicché poco si parla di lui) quanto non erano riusciti ad ottenere secoli di cristiane s i mo. Ora lo sciopero dei mezzi non A.C. Jemolo (Continua a pagina 2 in terza colonna)

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