Così si muore nel Salvador sotto gli occhi del mondo

Così si muore nel Salvador sotto gli occhi del mondo Il nostro inviato nel Paese travolto dalla guerra civile Così si muore nel Salvador sotto gli occhi del mondo Militari, guerriglieri, squadroni della morte: battaglie, stragi, esecuzioni sommarie, paesi distrutti - Il premier Duarte (democristiano), quasi «ostaggio» dell'esercito, ha l'appoggio dell'Internazionale de, la guerriglia è vista con simpatia dall'Internazionale socialista, mentre Reagan manda aiuti e «consiglieri» ma non parla più di diritti civili DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE SAN SALVADOR — Da qualche settimana Ronald Reagan lo considera l'ombelico politico del mondo: a prima vista, tuttavia, questo piccolo Paese di vulcani per lo più spenti e di spiagge quasi vergini sull'Oceano Pacifico appare un vecchio teatro in cui si rappresenta un conosciuto dramma latino-americano. Nelle vallate tropicali, nelle piantagioni di caffè e di zucchero, ma anche nei centri abitati, sono annidati i guerriglieri che suscitano odio e speranza in proporzioni difficili da stabilire. Dice un vescovo: «Oggi nel Salvador un'opinione appena sussurata può costare la vita. Voi stranieri arrivate e partite, noi restiamo». Chi insegue i guerriglieri o ne subisce le imboscate è un esercito di mestiere dal grilletto facile e dai golpe a ripetizione, che incute timore ma che rassicura chi teme esperienze cubane, benché ci sia tra gli ufficiali chi crede nelle riforme sociali. Già all'arrivo si fiuta la paura. Nell'aeroporto nuovo fiammante, stile Miami, un distinto salvadoregno con scorta armata (due guardaspalla con P.38 e M.16) consiglia: «Non prenda un taxi da solo». / 60 chilometri di strada che portano a San Salvador, la capitale, sono stati per molti una via crucis: è lungo quel percorso asfaltato che sono state violentate ed uccise quattro religiose americane (tre suore e una laica). Chi le abbia assassinate non lo si sa ufficialmente: gli investigatori di Carter, a dicembre, non lo scoprirono. Si pensa siano stati uomini che non apprezzavano la pietà progressista di una delle monache. A sparare non sono soltanto soldati e guerriglieri. Gli -squadroni della morte*, estrema destra, considerano infatti che i militari non uccidono abbastanza guerriglieri o amici reali e potenziali dei guerriglieri, e cercano di colmare questa debolezza dell'esercito. La notte, durante il coprifuoco, che scatta alle 21 e finisce alle 5, nelle città e nelle campagne avvengono spesso le esecuzioni. Non sempre si sa chi ha ucciso e perché si è ucciso. I guerriglieri ammazzano gli uomini del regime, i militari ammazzano i guerriglieri e i simpatizzanti della guerriglia, l'estrema destra spara anche sui democristiani considerati «complici dei comunisti» pere/le tentano di realizzare una riforma agraria e hanno nazionalizzato il commercio estero e le banche. Una raffica di mitra contro l'ambasciata americana — accade spesso — può essere stata sparata dalla sinistra in segno di protesta per gli aiuti dati alla giunta, o dalla estrema destra per ricordare a Reagan che bisogna agire con maggior fermezza. Bilancio, inevitabilmente negativo: 13 mila morti in quattordici mesi. Morti per lo più civili. In rapporto alla popolazione, è come se in Italia ci fossero stati 150 mila ammazzati in poco più di un anno. Durante il viaggio tra l'aeropoto e la capitale, al tra¬ monto, i passeggeri del minibus, ansiosi di mettersi al riparo prima del coprifuoco, gettano occhiate nevrotiche ai due lati delia strada, verso la vegetazione tropicale di un verde smaltato. L'autista accelera all'altezza di un corpo steso bocconi sul ciglio. Forse dorme, replico ai miei compagni di viaggio che in coro hanno esclamato: «Un cadavere!». Nessuno mi dà retta. Nel Salvador è come se la morte fosse più ovvia del sonno. Alle 8 di sera la capitale è deserta: sulla piazza della cattedrale, ancora sbrecciata dalle esplosioni e dalle raffiche del giorno in cui fu assassinato l'arcivescovo Romerio (marzo 1980), si vedono soltanto i soldati dietro le inferriate del Palazzo Nazionale. Non si sa ancora chi ha ucciso l'arcivescovo. Forse gli stessi che hanno ucciso le suore. All'Hotel Camino Real, dove sono accampati i giornalisti americani, mi dicono che ho sbagliato albergo. Dalle finestre dello Sheraton, con un cannochiale e con un po' di fortuna, potrei vedere i guerriglieri in movimento sul pendio del vulcano San Salvador. Per la verità la guerriglia dà segni di stanchezza. Le azioni, i colpi di mano nella capitale sono più sporadici. Gli attentati quotidiani, nel centro della città, non fermano neppure il traffico. Di giorno, la vita appare normale a chi ignora quel che è accaduto nella notte, e quel che accade nel quartiere accanto. La popolazione, sottoposta agli assassina dell'estrema destra e al duro controllo dei militari, esita adesso a collaborare con le organizzazioni clandestine. La guerriglia sembra più isolata di un tempo. «La gente è stanca e aspetta», dice il vescovo. Lo sciopero generale decretato in gennaio è fallito e l'annunciata offensiva generale non c'è stata. Proprio mentre Ronald Reagan dava al caso salvadoregno dimensioni internazionali, la guerriglia risultava infiacchita, comunque non in grado di minacciare seriamente il regime. Le tonnellate d'armi che secondo Washington sarebbero arrivate nel Paese, via Cuba e Nicaragua, non hanno accresciuto l'efficacia dei gruppi rivoluzionari (dai comunisti ai cristiani progressisti), divisi anche se raccolti formalmente sotto un unico comando miliBernardo Valli (Continua a pagina 2 in prima colonna) in prima colonna; San Salvador. Un appostamento di militari in una zona periferica della capitale (Telefoto Ufi)

Persone citate: Duarte, Reagan, Romerio, Ronald Reagan