Il messo papale alla Muraglia

Il messo papale alla Muraglia OSSERVATORIO Il messo papale alla Muraglia Nessuno più di Papa Wojtyla, che vuole andare «presto» in Cina, attende con ansia le notizie dirette che gli recherà il card. Agostino Casaroli, rientrando domani in Vaticano dal suo imprevisto, ma fondamentale viaggio a Hong Kong. Sceso dall'aereo papale che tornava a Roma dal Giappone, il segretario di Stato andò sabato scorso nella «porta della Cina», ufficialmente per visitare in nome del Pontefice il vescovo cinese Dominique Tang, che non aveva potuto raggiungere il Papa nelle Filippine essendo da tre mesi ricoverato in una clinica di Hong Kong, con il permesso del regime comunista. Questa motivazione ufficiale è confermata da alte fonti della S. Sede, ma non spiega del tutto la trasferta improvvisa non di un porporato qualsiasi, ma del segretario di Stato in persona, cioè il primo ministro del Papa. La spiegazione deve trovarsi nel quadro della «lunga marcia» della S. Sede verso la Cina, che rappresenta un miliardo di uomini, o di «anime», nell'ottica dei Papi. E' certo che la decisione di mandare Casaroli a Hong Kong fu presa da Giovanni Paolo II dopo i segnali non negativi giunti da Pechino in seguito al suo discorso ai cinesi fatto a Manila del 18 febbraio. E' il discorso delle tre aperture: i cattolici sono leali con lo Stato; la Chiesa non ha mire politiche; è possibile sanare lo «scisma» da Roma della «Chiesa patriottica cinese». Hong Kong è la sede ideale per contatti segreti con i cinesi cattolici e no. Da qui Paolo VI, il 2 dicembre '70, lanciò il suo appello di apertura a Mao, malgrado l'opposizione della Gran Bretagna, che governa Hong Kong. Da quel giorno, segni anche impercettibili hanno dimostrato che la Cina non è insensibile ai richiami papali. Pechino deve essere convinta che, agli occhi dell'Occidente, una visi¬ ta del Papa in Cina costituirebbe la prova definitiva del diverso atteggiamento cinese rispetto alle persistenti chiusure dell'Urss nei confronti della Chiesa e, soprattutto, dei Pontefici. Casaroli da IS anni persegue con tenacia il disegno di aprire la Cina alla Chiesa, come l'Est europeo (e viceversa). I viaggi di un anno fa a Pechino dei cardinali Koenig (primate austrìaco) ed Etchegaray, francese, hanno favorito gli ulteriori passi delle due parti. I problemi da risolvere sono soprattutto due: sistemare sul piano canonico la posizione di almeno 50 vescovi che furono eletti e consacrati validamente dopo il 16 dicembre '57 in Cina, ma sono «illegittimi» perché non ebbero il consenso del Papa; rompere le relazioni diplomatiche fra S. Sede e Formosa, condizione irrinunciabile per Pechino. Mentre Pio XII e Papa Giovanni parlarono di «scisma cinese», Papa Wojtyla ha capovolto la situazione, dichiarando a Manila che «nuove informazioni» chiariscono lo stato di costrizione in cui i vescovi furono eletti dai «cattolici patriottici». In altri termini, come sostiene Casaroli dal 1970, quei vescovi «non avevano l'animus scismatico», ma volevano salvare l'esistenza della Chiesa in Cina. Per Formosa, dal 1977 il prò nunzio monsignor Edward Cassidy è stato ritirato, e la prò nunziatura è retta da un semplice incaricato d'affari ad interim, l'italiano monsignor Paolo Giglio. Sarà difficile, per la resistenza di Taipeh, ma non impossibile rimpiazzare il nunzio con un delegato apostolico, che rappresenta il Papa solo presso i vescovi e non presso il governo: è il rapporto esistente fra Santa Sede e Stati Uniti. Non a caso, il Papa non ha mai parlato di Formosa nel suo ultimo viaggio: è un silenzio più eloquente delle parole. Lamberto Fumo Casaroli e mons. Tang:avvicinamento a un miliardo d'anime