Tutti a piedi di Mario Pirani

Tutti a piedi Tutti a piedi La settimana degli italiani appiedati dagli scioperi degli autoferrotranvieri, dei piloti, dei marittimi dei traghetti, dei ferrovieri si apre, come sempre, all'insegna dei tentativi di mediazione del ministro del Lavoro. Quale ne sia l'esito il problema di fondo resta: malgrado il conclamato varo di un codice di autoregolamentazione da parte dei sindacati confederali le paralisi dei servizi pubblici essenziali si succedono con una cadenza sempre più esasperante e punitiva per milioni di cittadini. Il fenomeno è tanto più grave laddove, come a Roma e altrove, esso è sfuggito ormai ad ogni capacità di controllo dei sindacati ufficiali e prorompe, in forme sempre più accese, sotto la guida di improvvisati «comitati di lotta» odi formazioni autonome. E' questa, al di là del disagio dei cittadini, una manifestazione estremamente preoccupante per la tenuta stessa delle istituzioni democratiche che hanno, nella autorevolezza degli organismi sindacali, uno dei presidi decisivi su cui contare. La situazione che si è creata è il frutto di alcuni gravi errori in cui hanno perseverato sia i sindacati che i partiti, sia i governi che l'opposizione. Il primo consiste nel rifiuto o nella passività di fronte all'esigenza, dettata dalla Costituzione, di regolamentare il diritto di sciopero. Uno sciopero che, prima di essere attuato, fosse sottoposto al vaglio di un referendum su scheda segreta delle categorie interessate, ad arbitrati obbligatori anche se non cogenti sulle decisioni, a tempi stabiliti di esecuzione, aumenterebbe e non diminuirebbe il grado di democrazia e di partecipazione sindacale. Una legislazione — che per essere operante dovrebbe comportare sanzioni efficaci (pecuniarie e di licenziamento per giusta causa) nei confronti di chi ne organizzasse la violazione — servirebbe, inoltre, per ridare forza e possibilità di controllo ai sindacati e alle categorie confederali, oggi continuamente scavalcati dalle formazioni autonome che rigettano ogni autoregolamentazione. Ma altri errori sono stati compiuti. Aver voluto ridurre la busta paga, in nome della difesa cieca della scala mobile, ad un assieme di voci indicizzate per il 70%, ha impedito e impedisce ai sindacati di condurre lotte articolate e tempestive per più alti salari, laddove più pressante ne appaia la necessità perequativa. In terzo luogo il non aver almeno ravvicinato le tariffe dei pubblici servizi ai loro costi reali, per malcelata demagogia coltivata sia dalla de che dalle sinistre, ha portato a quei deficit paurosi delle aziende municipalizzate che rende cosi problematico il soddisfacimento delle rivendicazioni dei lavoratori. Infine l'insipienza, i continui rinvìi, la mancanza di un disegno organico da parte dei governi che si sono succeduti, ed anche spesso delle autorità regionali, di fronte alla riforma del pubblico impiego e dei servizi (da quello ospedaliero ai trasporti) ha trasformato questo aggrovigliato viluppo di problemi in un vero e proprio cappio che sta strangolando le possibilità di una ordinata vita civile, in cui il diritto democratico di sciopero non prevarichi le elementari norme di convivenza di una comunità, l'egemonia dei sindacati sui loro stessi organizzati, e quel che resta di capacità di governo. Mario Pirani

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