Cerca la donna che lo salvò dalle SS nel settembre '43 fingendosi sua moglie

Cerca la donna che lo salvò dalle SS nel settembre '43 fingendosi sua moglie Un pensionato di Cannerò, nel Novarese, si è presentato in tv a «Portobello» Cerca la donna che lo salvò dalle SS nel settembre '43 fingendosi sua moglie CANNERÒ — TI 13 settembre 1943, in una splendida mattinata di una stagione violenta, Giovanni Violetto, ventottenne, viaggiava in treno in compagnia di un amico. Alla stazione di Vicenza un gruppo di SS sale sul treno: tutti i giovani vengono fatti scendere, chi esita è percosso col calcio dei fucili. T soldati tedeschi non danno spiegazioni ma una voce serpeggia fra i civili ammassati sotto le pensiline della stazione: campo di concentramento. Giovanni Violetto si sente venir meno ma, all'improvviso, una donna gli si avvicina, gli getta le braccia al collo. «Fa finta di essere mio marito^, gli mormora tenendolo stretto. Un ufficiale tedesco si avvicina burbero, la donna scoppia in lacrime, lo supplica di non portare via suo «marito». Porse l'ufficiale non capisce le parole ma, davanti al terrore e alle lacrime della donna, ha un attimo di esitazione: con gesto autoritario fa segno ai due di andarsene. Giovanni Violetto si allontana con la salvatrice, bianco di paura, incredulo. Appena usciti dalla stazione, la donna gli dice di scappare, di nascondersi. «Lei è il quarto che ho salvato», sussurra prima di allontanarsi. Questa storia commovente è stata rievocata venerdì sera durante la trasmissione televisiva di «Portobello» da uno dei protagonisti: Giovanni Violetto, che oggi ha 65 anni, vive a Cannerò Riviera sul Lago Maggiore con la moglie e tre figli. Da quel lontano giorno dell'autunno '43 Giovanni Violetto si porta nel cuore il ricordo della donna sconosciuta che gli ha salvato la vita. Per questo ha voluto raccontare la sua storia dai microfoni di Portobello: con la speranza di poterla ritrovare. «Di lei non so nulla, tranne il nome: Giuseppina. Mi aveva detto anche di essere di Rovigo. Non so altro, purtroppo». All'insaputa dei familiari («Mia moglie e i miei figli sono schivi di ogni forma di pubblicità, ma io non potevo rinunciare all'unica possibilità che mi è stata offerta per tentare di ritrovare la mia salvatri¬ ce»), Giovanni Violetto ha deciso di affidare le sue speranze a Portobello. «Vorrei poterla ritrovare per dirle "grazie". Quel grazie che allora non ho avuto nemmeno il tempo di mormorare. Quella donna è komparsa al mio fianco come per magia. Ed altrettanto misteriosamente è comparsa». Una donna coraggiosa che non ha esitato a mettere a repentaglio la propria vita per salvare uno sconosciuto dalla deportazione. «Sema il suo intervento — ricorda Violetto — sarei finito in un lager tedesco. E chissà se ne sarei mai tornato vivo!». Quel giorno Violetto stava andando in treno dal suo paese. Fontaniva, in provincia di Padova, a Milano per tornare al lavoro a Cannerò, dov'era dirigente dell'ufficio dazio. L'Ttalia intera era nel marasma per l'annuncio dell'armistizio ma Violetto non aveva ritenuto per questo di non presentarsi in ufficio. «Alla stagione di Vicenza — racconta —i marciapiedi erano pieni di soldati tedeschi. Improvvisamente qualcuno si è messo a gridare in veneto che dovevamo scappare. Ma era troppo tardi. Le SS sono salite sui vagoni e hanno incominciato a controllare i documenti dei viaggiatori. Soltanto degli uomini: facevano scendere tutti quelli nati fra il 1915 e il 1924». Qualcuno tentò di modificare la data di nascita sul documento, altri di scappare. «Quando venne il mio turno — dice Violetto — sudavo freddo per la paura. Ho fatto vedere la mia carta d'identità al soldato pregando fra di ine che non si accorgesse della data. Ricordo che cercavo di nasconderla con le dita, ma tutto è stato inutile. Il soldato mi intimò di scendere dal treno e di unirmi a quelli che aspettavano sulla banchina». Per Violetto furono attimi di terrore. «Poi quella donna mi ha gettato le braccia al collo. "Fai finta di essere mio marito", ha mormorato». Tutto il resto avvenne come in sogno: «Ricordo ancora l'espressione del capitano tedesco che ci ordinò di andarcene. Aveva lo sguardo truce ma giurerei che, infondo, era commosso». 1. a.

Luoghi citati: Fontaniva, Milano, Padova, Rovigo, Vicenza