Gli operai Breda contro la pena di morte «Il vero problema è la crisi dello Stato» di Livio Zanotti

Gli operai Breda contro la pena di morte «Il vero problema è la crisi dello Stato» A Milano un dibattito organizzato dal consiglio di fabbrica Gli operai Breda contro la pena di morte «Il vero problema è la crisi dello Stato» «Con la pena capitale non si risolve niente, ci vorrebbe un po' di gente onesta a Roma» - «Si potrebbero punire gli esecutori, ma la macchina che uccide rimarrebbe intatta» - Qualcuno ha espresso riserve: «Mia figlia è stata scippata tre volte: contro questo terrorismo siamo indifesi» DAL N08TR0 INVIATO SPECIALE MILANO — Il consiglio di fabbrica della Breda ha promosso un incontro sulla pena di morte che ne ha rivelato tutta la drammaticità, ma anche la voglia operaia di riflettere. E' un caso esemplare. .Questo Comune della cintura che il folclore comunista degli Anni Cinquanta ribattezzò la Stalingrado d'Italia, è ormai un megaquartiere della grande Milano e conosce da vicino il problema della violenza, sia politica sia comune. Melchiorri è un operaio sulla cinquantina, premette di essere un po' turbato, tanto che non pensava di intervenire al dibattito. Racconta: «Qualche settimana addietro avevano sparato a un capo, lo conoscevamo tutti ma non abbiamo assistito alla scena. L'altro giorno, invece, sono arrivato ai cancelli proprio nei momenti in cui è stato trovato quel capo legato al palo dell'energia elettrica, ammanettato, con un cartellone sulla faccia. E mi ha colpito l'indifferema dei lavoratori che entravano in Breda, sema uno sguardo per quel poveretto lì in ginocchio, legato. Sulle prime ho pensato che i carabinieri avessero beccato qualcuno che distribuiva manifestini delle or, era già accaduto il giorno prima. Stavo ansi per commettere una "gaffe" e di re: ma sì, che lo accoppino...*. Tuttavia Melchiorri respiri ge la pena di morte. Dice: «Se mi avesse sfiorato 15 anni fa oppure se fossi nato starnata na, la soia idea mi avrebbe fatto venire i capelli bianchi. E anche oggi rispondo, no. Però aggiungo che in otto mesi mi hanno scippato la figlia due volte e la seconda tra l'assoluto disinteresse dei presenti. Contro il terrorismo scendiamo in piazza uniti; ma contro quest'altro terrorismo siamo soli, padri di famiglia, cittadini isolati, ciascuno per conto proprio e allora la risposta può essere diversa. Non è pretendere la luna nel posso pretendere un po' più di tranquillità. Se assalgono di nuovo mia figlia ed io mi ci trovo certo non resto li ad elucubrare sulla pena di morte... Sarà una risposta emotiva, però me ne devono insegnare un'altra*. Falcone, meridionale da anni al Nord, osserva: «Sono convinto che con la sua incavolatila, scusandomi per la parola, il popolo italiano vorrebbe tutto la pena di morte. Perché qui non si capisce più niente; chi si fa chiamare Brigate rosse e chi fascisti, ma è tutta una malavita, come quel generale della Finansa che si permette di rubare miliardi con il petrolio. Io li vorrei morti a questi qui. Ma con la pena capitale non si risolve niente. In America c'è la sedia elettrica, eppure ammassano i presidenti. Ci vorrebbe invece un po' di gente onesta a Roma». E' l'opinione prevalente dell'assemblea, che approva l'operaio Begnis quando afferma: -Acchiappare un as¬ scslè sassino non serve se c'è gente capace di speculare perfino sulle casse da morto, come ho letto che è accaduto nelle sone terremotate*. Un delegato degli impiegati è però d'avviso contrario. Preferisce non fare il proprio nome («Non si sa mai...*) ed anche questo dettaglio è un sintomo del clima. «Sono favorevole alla pena di morte e non sono il saio, sebbene pochi abbiano il coraggio di ammetterlo apertamente. So che per un cristiano è peccato; ma io non pratico più da tanto tempo, però rimango religioso. E sono anche favorevole all'aborto. Per dire che non sono un bigotto, come quelle uniche due impiegate su quindici del mio ufficio che si dichiarano contrarie alla pena capitale. Ansi, io non la limiterei ai terroristi. Ci vorrebbe per tutti quelli che uccidono. Non dico di fare come li, nel paese dell'Iman; ma insomma, giusto o sbagliato, se uno viene preso con le mani nel sacco è inutile starlo a mantenere per trentanni. Zac e via, non ci pensiamo più». Le sue parole provocano qualche clamore. Gli replica un giovane operaio che lavora agli acciai speciali, Clavenna: ■•Ecco il pericolo, che non ci pensiamo più. Ascoltando quelli che hanno vissuto il fascismo, che hanno visto Mussolini appeso a piassale Loreto, non percepisco soddisfasione e neanche odio. Colgo piuttosto un senso quasi di vergogna, di folla che si è lasciata andare, di una vendetta che forse era meglio evitare. Mentre niente di ciò sento a proposito di Kappler, quando era vivo, e di Reder, quello di Marsabotto. Verso costoro l'odio è vivo, il ricordo di ciò che hanno fatto è bruciante. Non vorrei che la pena di morte portasse a conseguense analoghe. Cioè ad avere più commiserasione per i carnefici che per le vittime: perché sì, quel terrorista aveva messo la bomba alla stasione di Bologna, però è stato giustisiato, poi sono trascorsi gli anni, nessuno più ricorda bene. Invece certe persone devono esserci, vive, in carcere, impresse nella memoria della gente». Il rapporto con la violenza suscita contraddizioni anche nelle persone più lucide, mette a nudo fino in fondo la sua pericolosità. Mandelli, membro del consiglio di fabbrica, ricorda che nel '79 ha dovuto mandare i figli a scuola con la scorta dei carabinieri. Lo minacciavano continuamente per telefono. Finché non ha chiesto l'intervento della magistratura. «Poi un giorno sono venuti a dirmi che il problema era risolto. Non mi hanno mai voluto rivelare chi avesse fatto quelle minacce e forse è stato meglio cosi, perché se fossi arrivato a mettergli le mani addosso un po' di cristiana giustisia me la sarei fatta e come». Mandelli è un cattolico mi¬ litante: -Ma non è per questo che sono contro la pena di morte. Io credo che il delinquente comune è sempre un emarginato, quindi un disperato che reagisce con la violenza alla sua disperasione. A cosa servirebbe fucilarlo o appenderlo ad una corda? Quanto al terrorismo, rosso e nero, sebbene vada affrontato diversamente, non è risolvibile neppure questo con la pena di morte. Esempio: hanno appena ucciso il direttore sanitario del Policlinico. Supponiamo che avessero acciuffato gli assassini. Subito li giustisiano. Beh, restano in piedi i loro motivi, gli organùsatori, i finansiatori, gli ispiratori. La macchina che uccide resterebbe intatta, pronta a trovare altri assassini che sparano». Pena di morte si, pena di morte no: cosi posto il dilemma viene respinto da numerosi degli operai presenti. Parlano Rigamonti. Fortini. Fiore, del reparto finitura. Strazzabosco, operaio e assessore al Comune di Sesto per il pei, Cardinale, Cifani: sono tutti 'nettamente contrari», per dire le parole di quest'ultimo. Ritengono che basterebbe usare le leggi già esistenti, con rapidità e rigore. Polemizzano per i -carcerati che scappano quando gli pare e piace», perché -nelle prigioni ci sono troppi soldi e troppi televisori». E' d'accordo anche il delegato favorevole alla pena capitale: -Certo, io manderei i delinquenti ai lavori farsati e i soldi della paga li darei agli operai. Invece quelli hanno anche le donne, in cella Melana, un operaio assai attivo in fabbrica, conclude: -Non ascoltate soltanto il Calante Garrone, il Mila, perché gli intellettuali parlano bene. 10 non sono per la pena di morte. Perché uno Stato che ha la nostra Costitusione non può dare una risposta da cane arrabbiato neanche a un assassino. Bisogna riformare le carceri, non andare a pescare nell'irrasionale come stanno facendo i fascisti, che dalla pena di morte dovrebbero stare lontani perché non sarebbero gli ultimi a meritarsela se ci fosse. Bruciata la strega, 11 male resta». Livio Zanotti

Luoghi citati: America, Bologna, Comune Di Sesto, Milano, Roma, Stalingrado D'italia