Dietro il golpe dì Madrid c'è una cultura delusa dalla democrazia

Dietro il golpe dì Madrid c'è una cultura delusa dalla democrazia Dietro il golpe dì Madrid c'è una cultura delusa dalla democrazia Un saggio di Carr e Fusi ci aiuta a capire perché in Spagna restano ancora ddlranchtmo cio della transizione presenti un saldo positivo: terrorismo, insicurezza, inflazione, crisi economica, disoccupazione, pornografia e, soprattutto, crisi di autorità». E' quanto basta per capire l'animus delle gerarchie militari spagnole, prigioniere di una loro concezione politica secondo la quale l'esercito ha la specifica missione di garantire la sovranità e l'unità dello Stato, anche contro i politici se l'esigenza se ne presenta. E' la stessa philosophy che già ispirava e mosse Franco nel 1936. Suarez pensava di riuscire a fronteggiarla con uno stile di governo che fu chiamato «robinsonismo» e che nel libro di Carr e Fusi è criticato perché egli si era come isolato nel suo palazzo della Moncloa, quasi eludendo il Parlamento e privandosi di collegamenti diretti con l'opinione pubblica tramite la televisione e la stampa. Ne era derivata, come osservano le ultime pagine del volume dei nostri autori, una certa forma di desencanto generale, vale a dire disinganno diffuso tra i cittadini nei confronti della democrazia quale sistema provvidenziale capace di risolvere tutto. Non era possibile che a ciò servisse, non è servita, è cominciato anzi a serpeggiare un desencanto qualunquistico all'insegna del sospiro Viviamos mejor con Franco, si stava meglio con Franco; la stessa letteratura politica si è infiacchita, la vita culturale si è ripiegata su se stessa in una perdita generale di impegno, e cosi è potuto succedere che un mediocre fteniente coronel de la Guardia Civil* (ricordiamo un famoso poemino di Garcia Lorca) ha potuto tenere alla sua mercè per una sera, una notte e un mattino tutto il governo e il Parlamento di Madrid, senza che nel Paese protestasse nessuno. Non fosse stato per un bravo re, la dittatura militare ritornava. Vittorio Gorresio UNA guida maestra per l'interpretazione degli ultimi casi di Spagna è nel volume apparso in questi giorni da Laterza, La Spagna da Franco a oggi di Raymond Carr e Juan Pablo Fusi. Il libro è un classico della scuola di Oxford, dove Raymond Carr presiede il St. Antony's College, e Fusi è direttore del locale Iberian Center. La rispettiva loro bibliografia (Espana 1808-1939; La Republica y la guerra civil en Espana; The Spanish Tragedy: The Civil Warin Perspective, — per Carr — e per Fusi Politica obrera en el Pais Vasco oltre a El problema vasca en la II Republica) li accreditava già fra i più autorevoli studiosi mondiali della questione spagnola, ma questa nuova opera redatta a quattro mani costituisce una sintesi che nelle attuali circostanze è tempestivamente preziosa quanto mai. La loro ricerca è condotta fino al settembre 1980, data di costituzione dell'ultimo governo Suarez, ora da pochi giorni sostituito da quello di Calvo Sotelo, ed è perciò quanto di più aggiornato si possa desiderare in uno studio meditato di politologi puntuali: ma il suo valore sta soprattutto nelle indicazioni e intuizioni che già da tempo consentivano ai due autori di presagire gli sviluppi della crisi spagnola di questi giorni. E' una crisi che viene da lontano e che consiste essenzialmente nella diffi- ch'esso liberatosi dalla dittatura, ma egli si trovò a doversi misurare, senza grande successo, con una situazione economica resa drammatica dall'inflazione e soprattutto con il problema delle autonomie regionali, eterno imbroglio della vita nazionale spagnola. Nelle province basche in special modo Suarez dovette fronteggiare una realtà angosciosa perché ogni concessione ai separatisti irritava l'esercito, ed all'estrema destra nostalgica franchista dava motivo di rivendicazioni emotive in nome delle sue peculiari concezioni dell'unità della grande patria. E' certamente l'inconsulta azione terroristica dell'Età basca che ha spinto i corpi separati dello Stato al tentativo del 23 febbraio: la polizia soprattutto, nonostante i tentativi compiuti per rieducarla ad agire in un regime democratico, nelle province basche era più di una volta intervenuta con violenza sconvolgente nell'espletare il suo servizio. Violenza, insomma, chiamava violenza, e il terrorismo aveva indotto repressioni feroci. Del generale Jaime Milans del Bosch, capitano generale di Valencia salito adesso agli onori delle cronache internazionali, il volume di Carr e Fusi cita una illuminante dichiarazione da lui resa al quotidiano A bc il 23 settembre 1979: .Obbiettivamente parlando — egli disse nell'occasione — non sembra che finora il bilan¬ «Capricci» di Goya: «Il sonno della ragione genera mostri» colta di liquidare l'eredità del franchismo, tanto solidamente radicata in quelli che proprio in Spagna sono da chiamare i corpi separati dello Stato, e che non hanno possibili paragoni con i nostri: le forze armate, la polizia, l'alta burocrazia, la magistratura e certi quadri della Chiesa. L'ottimo re Juan Carlos si dovette adattare, al momento di costituire il suo primo governo, a tenersi come premier lo stesso Carlos Arias Navarro di precedente nomina franchista: il Consiglio del Regno, costituzionalmente accredidato a proporgli una terna di successori, non gli suggeriva un candidato migliore. Pare che il re lo detestasse, ma non aveva scelta, e d'altra parte anche l'opposizione si rendeva conto che il franchismo non era superato. Occorreva cautela, e parve un grosso atto d'audacia la nomina di Adolfo Suarez, del Centro democratico, a capo del governo dopo le elezioni del giugno 1977. Sembrò che Suarez potesse evitare alla Spagna il caos politico che tormentava il vicino Portogallo an¬

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