E' la moda di Venezia

E' la moda di Venezia Parliamone schere. Ma la folla esiste, più numerosa che in ogni altra stagione dell'anno; come esistono le occasioni di spettacolo, le mostre, le improvvisazioni nei campielli... Esiste anche una città? Nella Venezia settecentesca, che era capace di provocare Goldoni a scrivere sedici commedie nuove in un anno (e andavano tutte in scena), c'erano 150 mila abitanti, sette teatri aperti tutto l'inverno. Il Carnevale, secondo la stupefatta testimonianza di Voltaire, durava fino a sei mesi, per una città che viveva tutto l'anno. Oggi gli abitanti del centro storico si sono ridotti a 90 mila, i teatri disponibili sono assai meno, tanto che si è dovuto ricorrere a locali ritenuti «pietosi» dallo stesso direttore della rassegna, Maurizio Scaparro. E la festa di una settimana, all'insegna della Ragione e dei coriandoli, ha bisogno di essere integrata da molte altre iniziative, sorretta da efficienti strutture, per non rimanere un fiore nel deserto. Venezia nel mondo è la Biennale, il Festival del cinema, la Fenice, l'esposizione ai Giardini, osservano coloro che hanno più a cuore le sorti della città. Non può vivere di solo gioco: ma può tentare un gioco più alto, se al di là dei coriandoli rimane una Ragione, che presiede alle scelte. Come dice Lucietta nella prima scena dei Rusteghi, «debotto xè fenio carnevala. E l'inverno lagunare ricomincia, con tutti i suoi problemi. Giorgio Calcagno Illi di b i Aubrey Beardsley E' la moda di Venezia CHE i zoga, che i zoga, che co i averà fenio de zogar, parleremo» (Giochiamo, giochiamo, che quando avremo finito di giocare, parleremo), dice Zamaria, il fabbricante di tessuti goldoniano, in Una delle ultime sere di Carnovale. Zamaria sa di dover risolvere molti problemi, in quella sera di martedì grasso, con una figlia da maritare e un lavorante a cui lasciare la bottega, prima di una partenza. Nel «parlare» vede gli affari, il «negozio»; nel «zogo» il suo contrario: due momenti da considerare distinti, anche se, contro la sua volontà, contemporanei. La Venezia di oggi ritorna al suo cantore settecentesco, arruolato, con qualche forzatura, sotto le bandiere dell'Illuminismo, fra Diderot e Mozart. Ritrova i due momenti, dell'ozio e del negozio, sui quali si reggeva un antico equilibrio: ma non riesce più a tenerli separati. E se «giocare», per la città che sembrava condannata alla fine, fosse un modo, non tanto effimero, di «parlare»? I personaggi che si muovono sullo sfondo di piazza san Marco sembrano fare di tutto per confermarlo. Accanto a Turandot si intuisce l'assessore al turismo; dietro Mirandolina occhieggia il rappresentante degli albergatori; il richiamo a Bachtin, obbligatorio in ogni analisi sociologica, non dispensa dal discutere il trattamento economico dei dipendenti Actv, la società dei vaporetti. La città sonnolenta dell'inverno si rianima, scopre un nulla osta alla vita che sembrava esserle concesso soltanto nei mesi estivi. Le strade si colorano di arlecchini e bajade- Illustrazione di re. gli alberghi sfiorano l'esaurito, le feste — fra vere e simulate, per servire le esigenze degli special televisivi — sono in aumento. E' una moda o una nuova via per ridare un senso alla ex capitale decaduta? «Venezia è un segno debole, tutta questa gente ne degrada l'immagine, la confonde in un gran polverone turistico», dice il pittore Emilio Vedova, che si sente escluso dal gioco, insieme con altri intellettuali veneziani. Il Carnevale brulica di fantasmi, osserva Moravia, scopritore in anticipo della Venezia invernale e ora costretto ad aggirarsi imbarazzato fra la folla delle ma¬

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