Ritorna Re Carnevale per le strade si recita l'utopia

Ritorna Re Carnevale per le strade si recita l'utopia Ritorna Re Carnevale per le strade si recita l'utopia :simale. Il mito dell'abondanza, l'utopia del Pae: di Cuccagna che trova el Carnevale un'effimera ttuazione, nascono sullo :óndo di civiltà agricole, jmpre minacciate dalla caia tia, Ci sono peraltro segni he il personaggio che si ontrappone al Re Carnevail suo successore Quareima, avesse la sua parte di jllia contestatrice. Secono una studiosa americana, «matto» dei tarocchi rapresenterebbe appunto il Le Quaresima. Studiando il lazzo di tarocchi miniati uattrocenteschi di Bonifaio Bembo (che si trova me¬ tà all'Accademia Carrara di Bergamo, metà alla Morgan Library di New York), Gertrude Moakley ha proposto una singolare teoria sulla controversa., questione dell'origine degli «arcani» dei tarocchi: essi sarebbero figure dei «trionfi», i cortei allegorici delle feste carnevalesche rinascimentali. Almeno, tale sarebbe il mazzo di tarocchi del Bembo, dipinto in occasione delle nozze di Bianca Visconti con Francesco Sforza. Nel corteo della festa sfilarono (come nel libro di Petrarca) i «trionfi» dell'Amore, delle Virtù, della Morte, del Tempo; e queste allegorie vennero appunto riprodotte nelle miniature delle carte. Il primo «arcano» dei tarocchi, «Il Bagatto», altri non sarebbe che il Re Carnevale, raffigurato davanti a un piatto di risotto. Attorno al suo carro volteggia, a piedi e scalzo, il detronizzatore Quaresima, armato di randello, che dileggia e minaccia il sovrano la cui ora sta per scoccare. Re Carnevale apriva il corteo e Quaresima lo chiudeva, ma siccome i carri compivano la loro sfilata in un circuito chiuso, Re Quaresima in piedi si trovava come a precedere Re Carnevale in trono, e ne contestava l'autorità. Que¬ sto personaggio di castigamatti, vestito di laceri abiti penitenziali, partecipava al corteo ma' sempre come un estraneo; passando dalle antiche maschera te alle catte da giòco, 'è"(Sventato matto», l'unica carta dei tarocchi che non ha un numero né un posto definito. Ma il Carnevale non era soltanto legato a un periodo dell'anno. Nelle grandi città del tardo Medioevo l'esplosione carnevalesca s'estendeva ai giorni di fiera, di vendemmia, di sacre rappresentazioni, accompagnava molte delle grandi feste ecclesiastiche con le sue cerimonie capovolgitrici dell'ordine costituito. «Si può dire che l'uomo medievale viveva due vite: una ufficiale, monoliticamente seria e accigliata, sottomessa a un rigoroso ordine gerarchico, piena di paura, dogmatismo, devozione e pietà, e un'altra carnevalesca, di piazza, libera, piena di riso ambivalente, di sacrilegi, profanazioni, degradazioni e oscenità, di contatto familiare con tutto e con tutu. Entrambe queste vite erano legalizzate, ma divise da rigorosi confini temporali». Questa citazione proviene da uno studioso sovietico non conformista, scampato per miracolo alle tempeste che si sono abbattute sugli intellettuali russi della sua generazione: Michail Bach tin (1895-1975), che pos¬ siamo definire il massimo esperto in «carnevalologia». Ci imbattemmo per la prima volta nella sua teoria del Carnevale nel 1968 in un capitolo d'un suo libro su Dostoevskij, dove l'esposizione sintetica le dava una forza concentrata, quasi fosse la proposta d'un modello di società. Come un messaggio in una bottiglia, dalle rive della società del nostro tempo più «monoliticamente seria e accigliata», l'idea del Carnevale bachtiniano approdava tra noi in quell'anno mosso da spinte antiautoritarie, antirepressive, antieconomicistiche. Ricordo che allora, consapevole della parte di mutazione storica che quell'esplosione generale avrebbe portato con sé, e allo stesso tempo ansioso di riconoscere una forma, un disegno, un ordine che potessero emergere da quel magma, avevo fatto di quel capitolo di Bachtin un punto di riferimento, una chiave interpretativa del presente. È mi domandavo se, come gli antichi carnevali erano legati al ciclo stagionale agricolo, così in una società industriale avanzata non potesse realizzarsi qualcosa di simile, seguendo il ritmo dei cicli economici industriali, delle pianificazioni e delle inflazioni, per istaurare un'alternanza tra periodi di produzione, accumulazione, austerità, pedagogia, e periodi di consumo, festa, contestazione delle autorità, demistificazione a tutti i livelli. Era quello del resto il modo in cui Bachtin veniva in quegli anni interpretato ..'n.. Occidente. In ,Frantìa^ per-esempio"CJuTia Kristeva/* Semeiotikè, Editions du Seuil, 1969) si sottolineava l'aspetto eversivo della «cosmogonia carnevalesca» che «resta come un sostrato spesso misconosciuto o perseguitato della cultura occidentale ufficiale lungo tutta la sua storia». E la Kristeva metteva in guardia contro un'ambiguità nell'uso del termine «carnevalesco»: «Si tende ad occultare l'aspetto drammatico (cruento, cinico, rivoluzionario nel senso d'una trasformazione dialettica)». Sono passati parecchi anni. Tanto sul consumismo quanto sul rifiuto del sistema si è estesa quella livida ombra mortuaria che Paso-' lini era stato il primo a riconoscere. Dal Carnevale come utopia siamo più che mai lontani. E riprendendo in mano Michail Bachtin, nella sua opera più direttamente legata a questo tema (L'opera di Rabelais e la cultura popolare. Riso, carnevale e festa nella tradizione medievale e rinascimentale, Einaudi, 1979), non mi pare più di potervi leggere una profezia, ma solo l'evocazione d'un'età perduta, mitica come tutte le età dell'oro. Italo Calvino

Luoghi citati: Bergamo, New York