Dal Naubifragio della Medusa una zattera che approdò nel mito

Dal Naubifragio della Medusa una zattera che approdò nel mito relitto: torna alla ribalta la tragedia della nave Dal Naubifragio della Medusa una zattera che approdò nel mito .far,scandagliare il fondo — si. 'arena nel banco di Arguiti, al largo dell'attuale Mauritania. Iti un primo tempo, si qgera ancora di disincagliarìit, dopo averla alleggerita di materiale, e a tale scopo si costruisce una sattera rudimentale lunga 29 metri e larÒà7. Ma l'ottimismo era ingiustificato.- poiché la « Medusa» comincia a far acqua, si ii,impone la necessiti, dì fiuti cuore uomini e passeggeri con le sei scialuppe di salvataggio. Senonchè la loro capienza è appena sufficiente per poco più della metà dei naufraghi! Quando questa tragica evidenza simpone, succede un indescrivibile tumulto: tutti si. accapigliano cercando di impossessarsi delle imbarcazioni di soccorso, . gli ufficiali devono far -usa-delle armi per.dpmare la ^rivolta. L'imbelle comari-. 'dante, che si è dimostrato incapace di mantenere l'ordine, è fra i primi a imbarcarsi, insieme al governatore e al ■suo seguito. Quando le scialuppe sono stracariche, a bordo restano ancora 164 persone, che il sottotenente Anglas De Praviel, con la pistola in pugno, costringe ad imbarcare sulla zattera- di fOTttmBf^irff^ ménte destinata al materiale. Tuttavia 17 uomini rifiutano ostinatamente di lasciar la 'Medusa; preferendo aspettare l'arrivo di ipotetici soccorsi anziché affidarsi al mare in condizioni cosi precarie (il relitto sarà avvistato dalla -Colombe» cinquantadue giorni dopo, ma i salvatori vi troveranno solo tre uomini impazziti: degli altri 14, alcuni si erano suicidati, altri avevano cercato scampo su un galleggiante improvvisato, ma erano periti in mare). Frattanto il 3 luglio le scialuppe cercano di rimorchiare ' la zattera carica di Ì46 uòmini e una donna, ma è troppo pesante per essere trainata: allora si tagliano gli ormeggi e si abbandonano i disgraziati alla loro sorte. Dopo vari giorni di navigazione, le barche di salvataggio riescono a raggiungere la costa in ordine sparso, ma accostano sulle dune, a miglia e miglia dalla terra promessa, cioè dalla città senegalese di Saint-Louis. Per diciassette giorni i •naufraghi del deserto» avanzano penosamente seguendo la battigia, perchè non osano addentrarsi nell'interno, per timore delle belve o dei selvaggi, in preda a miraggi allucinatoti, stremati dalla fatica, dal caldo, dalla fame, dalla sete (si sostentano con qualche granchio e con foglie dì piante selvatiche, per ingannare la sete succhiano pallini di piombo o sono ridotti a ingerire la propria orina). Lasceranno parecchi morti lungo la strada. Secondo una leggenda, il caporale Celbas, che ha assistito impotente all'agonia della moglie, ne sotterra il cadavere dopo aver spiccato la testa, che porterà con sé in una bisaccia: il vedovo morirà a sua volta appena giunto a Saint-Louis, stringendosi al cuore il macabro relitto. Ma le scene più orrende, veramente dantesche, si verificano a bordò della zattera, che va alla deriva portata dalla corrente, col suo carico di dannati. Fra di essi vi sono quattro ufficiali e 120 uomini di truppa, in parte ex galeotti liberati. Lo spazio è così esiguo che tutti sono costretti a rimanere in piedi, con l'acqua fino alle ginocchia data la permeabilità del galleggiante: hanno il busto cotto dal sole, gli arti inferiori rosi dàlia salsedine. Il sèr condo giorno, per alleggerire l'imbarcazione, decidono di sacrificare i viveri, conservando soltanto un sacco di biscotti e qualche barile di vino e d'acqua dolce. Il terzo giorno, i soldati, ubriachi di sole e di vino, tentano di ammutinarsi: gli ufficiali, soli armati, stroncano la rivolta sciabolando i più facinorosi altri -a mare. «Lo spettacolo era orribile — racconterà un superstite, l'aspirante Coudein —la. zattera era coperta di morti o di morenti che gli altri calpestavano. Dei feriti stesi a terra ci mordevano 1 polpacci». Il quarto giorno, vinti dalla fame, alcuni dei superstiti cominciano ad addentare i cadaveri. L'indomani in¬ terviene la tremenda decisione di sopprimere i malati e i feriti, gettandoli a mare. Quando finalmente, al quindicesimo giorno dopo il sinistro, il brigantino «Argus» avvista i naufraghi e li trae in salvo, sulla chiatta ìnfer-. naie non restano piU che quindici uomini validi e dei cadaveri ad assicuraxe la sussistenza degli ultimi superstiti, stanno seccando al sole, appesi a una gomena. E' questa scena drammatica, di una potenza michelangiolesca, che Théodore Géricault ha fissato sulla grande tela che figura oggi al Louvre. Il giovane pittore era stato molto colpito dal dettagliato resoconto di due degli scampati della zattera della -Medusa», il chirurgo Savigny e il geografo Corréard: tante vero che prima di decidersi a illustrare l'episodio dell'avvistamento dell'-Argus» ne trattò altri, come dimostra una serie di undici mirabili schizzi, attualmente dispersi in vari musei (in particolare, tre scene di ammutinamento, rispettivamente allo Stedeljik. Museum di Amsterdam, al Fogg Art Museum di Cambridge e al Museo delle Belle Arti di Rouen, e una scena di cannibalismo in una collezione privata parigina). La composizione definitiva che tutti conoscono venne esposta al Louvre, in occasione del -Salon» del 1819, sotto il titolo anodino di 'Scene di naufragio', per evitare un'allusione troppo diretta al tragico sinistro ancora vivo nelle memorie, che aveva suscitato uno scandalo politico. Trascinandosi a stento a causa della gotta, Luigi XVIII si soffermò a lungo davanti al dipìnto, prima di rivolgere all'autore un breve complimento sotto forma di battuta: «Signor Géricault, lei ha fatto un naufragio, che non sarà però un naufragio per un artista come lei». Tuttavia la critica si dimostrò piuttosto riservata di fronte a un'opera che rompeva con l'accademismo imperante della scuola di David e, nonostante il successo riscosso l'anno successivo da questo quadro quando venne esposto a Londra, i musei reali rifiutarono di acquistarlo. Le condizioni di salute del pittore, che era già ammalato e soffriva di disturbi psi- i chici, ne furono aggravate. " Egli ynorì.'q irènt'a.tréanni: nel 1824: pocAi'thetftìópò W Louvre comprava a uria Véndita all'asta il suo capolavoro. Cosi Géricault divenne l'ultima vittima della zattera della ^Medusa» che, ac- i cendendo la sua fantasia, aveva stimolato il genio, ma doveva anche procurargli una gloria immortale a tìtolo postumo. Elena Guicciardi Il celebre quadro «Le radeau de la Meduse» di Théodore Géricault (Parigi, Museo del Louvre)

Persone citate: Elena Guicciardi, Luigi Xviii, Théodore Géricault

Luoghi citati: Amsterdam, Cambridge, Londra, Mauritania, Parigi