Goethe e Mommsen quest'Italia così bella, così sfasciata di Carlo Carena

Goethe e Mommsen quest'Italia così bella, così sfasciata Classici: due viaggiatori illustri Goethe e Mommsen quest'Italia così bella, così sfasciata GOETHE varca in incognito, con passaporto falso, il Brennero — «la linea di confine fra il Sud e il Nord» — l'8 settembre del 178S. E' sera, appena le cime biancheggianti delle montagne sono chiare nell'ultima luce. A leggerlo, nel suo diario, ristampato con la traduzione di Eugenio Zamboni da Sansoni, lo si direbbe sulle prime più un meteorologo in fuga da una donna fredda che un poeta in cerca d'ispirazione; un botanico, un mineralogista, un etnologo anziché un letterato: un unico libro come compagno di viaggio «nel dolce paese della bellezza», / "Ifigenia. Con una una curiosa dottrina estetica osserva che •le scene maestose che lo circondano non soffocano per nulla il sentimento della poesia; anzi, favorito com'è dal moto e dall'aria libera, lo ravvivano ancor più». E'a Roma che Goethe mira, solo nella «capitale del mondo» darà sfogo al suo sentimento, troverà al vivo i sogni della sua giovinezza. Quasi esattamente sessant'anni dopo, nel novembre del 1844, ed esattamente alla stessa età, ventisettenne, mette piede in Italia per aliam viam un conterraneo di Goethe che non avrà l'irraggiungibile grandezza dell'Olimpico, ma sarà pur illustrissimo nel suo campo di studi e nella vita politica del suo paese. Theodor Mommsen, studioso di diritto romano, epigrafista, storico di Cesare, irredentista e poi deputato liberale al Reichstag, aveva allora appena lasciato la carriera legale e ottenuta una borsa di studio giuridico-storiografica per l'Italia; si proponeva anche «qualche interessante bottino storiografico» cercando e ricopiando iscrizioni latine. Era molto, ma non tutto in un viaggio cosi curioso. Parte per nave da Amburgo il 20 settembre del 1844; il 24 novembre, via Parigi (biblioteca) - Lione (accademia) Montpellier (museo) - Nimes (anfiteatro), sbarca a Genova. La comitiva è di una tipicità scoraggiante: principessa milanese che ha deciso di non esprimersi mai più in italiano, troupe di cantanti Italiani reduci dall'Algeria, irlandese cattolicissimo. La reazione mommseniana, al varcare i confini del paese dei cedri, o piuttosto, per lui, delle viti, ha il limite di una semplice esclamazione: «Cosi, eravamo in Italia... Eccomi qua, sul sacro suolo della natura, dell'arte, della storia». Banale? Ma pure sono concentrati nel trio i più consueti miraggi del Grand Tour sette-ottocentesco che si avvia con inglesi come Walpole e Gray e Gibbon, se non si vuol risalire a Montaigne e a Carlo Ottavo, e si conclude con Ruskin e Butler e Morte a Venezia. Il Tour di Mommsen si distingue ovviamente per il carattere più tecnico del suo protagonista e annotatore in un Tagebuch der franzosisch-italienischen Reise, ora presentato in italiano, con puntiglio, da Anacleto Verecchia nella collana della Torre d'Avorio di Fògola. Ma non mancano, anzi, accanto alle mene universitarie, a polverosi archivi e succulente indigestioni di lapidi, ai nomi di John, di Keil, del grande Bartolomeo Borghesi in un rapido, nobilissimo ritratto, non mancano le altre notazioni, su cui si sofferma la curiosità del lettore di viaggi e di costumi, di cose del tempo andato. Lo stupore di Mommsen è articolato sul paesaggio e sulla gente. C'è la festa, l'allegria, la luce che incantavano l'autore del Guglielmo Meister, ma più ancora lo spettacolo continuo del verde, dei fichi, degli ulivi, dei papaveri, oltreché delle viti. Questo compatriota di Effi Briest, nato fra le stesse brume e i geli dello Schleswig-Holstein, ancora suddito del re di Danimarca, cammina come uno zuavo anche per lunghe tappe fra la terra: s'accoda a un pittore inglese e sale con lui ardito a piedi fino a Perugia; s incanta alle cascate del Velino, abbandona tranquillamente il calesse nelle salite più ripide, quando ai cavalli bisogna aggiungere una coppia di buoi, e mentre arranca guarda intorno con sorpresa i grani esuberanti. Poi gli italiani. Le numerose frontiere da attraversare sono un disastro burocratico, doganieri lentissimi da «un- gere», mance ed elemosine dappertutto in questo «paese del bajocco», e gente per lo più di una mezza cultura, che «è insita nel carattere italiano e domina tutta la letteratura». Non parliamo delle biblioteche e degli archivi: inagibili. Alla Lauremiana e Riccardiana di Firenze «si fanno petizioni per l'allargamento del locale, ogni anno; questo significa che non si fa niente, perche per la provvisoria (tecnicismo in italiano nel Mommsen) sistemazione e catalogazione del paio di migliaia di volumi ogni biblioteca troverebbe, in un anno, la possibilità».* e questo in Toscana, oasi dorata in un paese sgangherato di stracci e di vetturali pigri, ricattatori, alluvionata in continuazione, con .le case bagnate fino a una certa altezza, siepi sradicate, le vie piene di crepe, i muri crollati, le bietole dei campi allagate e ricoperte di fango» ai primi di dicembre del '44. Per fortuna non mancano l'arte, le ragazze e bettole. Non il Doney di Firenze, già frequentato allora dagli onnipresenti inglesi; la trattoria romanesca fuoriporta. La Campagna immalinconita dalla sera e dalla lontananza da casa è riscattata da una «gozzovigliata» e da una bottiglia (anche questa in italiano nel testo), intorno a un tavolo di pietra all'aperto nel mese di gennaio. Il carnevale romano è una fantasmagoria di dolci, di fiori e di fanciulle cosi belle «da rinfrancare l'anima» («sembrava un ballo di giugno.); a Ancona le ragazze sono addirittura un'attrattiva cittadina per la loro bellezza: «tendenti un po' alla pienezza e non cosi maliziosette come la razza toscana, ma piene di sensualità e tuttavia dai tratti fini» (meno bene in Romagna; per ritrovarne l'uguale bisognerà attendere fino a Caltanissetta). E poi gallerie di quadri, monumenti e cattedrali dappertutto, lungo un itinerario e tappe che da Genova scendono in Toscana (Pisa, Firenze, Siena), poi a Roma, per risalire l'anno dopo via Terni, Foligno, Perugia, Arezzo, Bologna, e ridiscendere a Ravenna, Rimini (recita della Ristori), Ancona, Loreto, Teramo, Chieti, Napoli e di II in Sicilia. E' tutta una gloria di Raffaelli e di Perugini, veri o men veri, trionfi di Fra Bartolomei e di Guidi, con «sciagurati» Cimabue e poco migliori Giotto. Illeggibile Leopardi, la sera funziona Dante. Il 22 marzo 1845, a Roma, celebrazione dell'anniversario di Goethe. Ma era pur fortunato quel paese in cui si poteva incontrare, in un salotto, il figlio di Charlotte Buff, la Lotte del pellegrino Werther, viandante ben altrimenti inquieto e grande di un epigrafista ! Carlo Carena Wolfgang Goethe, Viaggio In Italia, Sansoni. 620 pagine, 18.000 lire. Theodor Mommsen, Viaggio In Italia, Fogoia, 217 pagine, 4 tavole, 12.000 lire. Un'eruzione del Vesuvio in una tempera deU'800