Così Greco scolpisce la mia Sicilia
Così Greco scolpisce la mia Sicilia CONOSCO Emilio Greco da più di trenfanni. Dal 1949, per l'esattezza: quando ancora tanti artisti avevano studio e casa a Villa Massimo e vivevano, in quella villa splendida e in quegli ambienti gelidi, con allegro stento. Da allora seguo con attenzione non solo quello che Greco fa nell'arte sua — la scultura, il disegno, la litografia e l'acquaforte di cui è diventato maestro tra i più esperti e coscienziosi (e il «coscienziosi», parlando di litografia e di acquaforte, cade perfettamente in taglio: a distinguerlo dai tanti che coscienziosi non sono) — ma anche in quello che, di memorie e di impressioni, scrive e pubblica. La prima sua cosa che ho letto è stata una breve autobiografia: poche pagine, ma cosi semplici, così nude, cosi essenziali da dilatarsi ad abbracciare tutta un'infanzia povera, tutta una Catania povera: che era poi la Catania degli ultimi anni di Verga, di De Roberto, dell'attore Giovanni Grasso reduce dai trionfi europei (e se ne può trovare l'apoteosi nel racconto di Babel a lui intitolato). Grasso era di Greco vicino di casa: e in quelle pagine, in pochi tratti, lo scultore sbozza un ritratto della madre indimenticabile; da scultore appunto. Lessi poi le prime poe- che Vincenzo Cardarelli fu il primo cui le poesie di Greco piacquero e volle pubblicarle: e ne spiega la ragione e relativamente a Cardarelli e relativamente a quel che la poesia di.Greco è: «Quel tormento, quell'ansia di vivere per attingere un raro momento di grazia, che per Cardarelli rappresentavano il dono sovrano della poesia, trasparivano timidamente dalle liriche di Greco, con genuino calore. Possedeva ancb'egli quella spontaneità non automatica che è il segreto di Cardarelli. Ancb'egli sapeva riserbarsi a quei momenti, difficili, di totale abbandono, astraendosi dal particolare e conoscendo l'arte di togliere piuttosto che quella di aggiungere. La versificazione, nata da un dettato semplice, seguiva le vie della confidenza, del moto più diretto del cuore, talvolta l'esile sentiero di un ricordo lontanissimo, e sembrava raccogliere la sua luce d'improvviso, come uscendo da un tunnel». Ma io ho un debole, credo comprensibile, per le prose: per quelle brevi, rapide, schizzate evocazioni della Catania Anni Venti, che è poi quella che ritroviamo nelle pagine di Vitaliano Brancati, di Ercole Patti, di quella pleiade di scrittori minori catanesi da cui forse qualcuno se ne può estrarre per riproporlo. E' una Catania apparentemente indolente e persino infingarda, di un deambulare ozioso e svagato, di interminabili e ripetitivi discorsi sulle donne; la Catania, insomma, dei brancatiani anni perduti. Ma quanti personaggi, quanti e quali piaceri. Brancati ne ha fatto una specie di dizionario, contemperando alla nostalgia il moralismo, alla dolcezza del ricordo l'ironia. Greco si dene alla nostalgia, e l'ironia lascia che scatti dalle cose, dai fatti. Leonardo Sciascia Disegno di Emilio Greco Così Greco scolpisce la mia Sicilia sono accompagnate fierissime quanto gratuite polemiche come per il monumento a Pinocchio e per le porte del Duomo d'Orvieto — ma con vera vocazione: e nel giro di due anni, tra il '78 e l'80, ha pubblicato tre libri di prose e poesie: e stanno tra il ricordo e il diario. Del ricordo tengono le prose; un diario per appunti, per illuminazioni, sono le poesie. Nell'ultimo, intitolato Appunti di una vita, sono 'soltanto poesie: e le presenta una puntuale nota di Giacinto Spagnoletti. Racconta, Spagnoletti, sie, pubblicate in pochi esemplari da un editore Fiumara, credo siciliano ma attivo nel dopoguerra a Milano, che stampava delle cartelline in cui i testi si accompagnavano a dei disegni riprodotti in ciclostile, poiché lastre da incidere e pietre litografiche su cui disegnare allora mancavano. Specialmente mi restano nel ricordo alcune poesie per il fratello, caduto nel deserto d'Africa durante la guerra. Greco ha continuato a scrivere, in margine al suo lavoro di scultore — cui si
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