Sono i miti gli antenati dell'inconscio di Augusto Romano

Sono i miti gli antenati dell'inconscio Gli archetipi di Jung Sono i miti gli antenati dell'inconscio ARCHETIPO, archetipico: parole un tempo inconsuete ed oggi divenute di uso quasi comune. Il risvolto di copertina di un recente romanzo di successo dice: «La costellazione familiare formata da Som ed Henrietta... ha la statura dell'archetipo». Qui l'espressione è manifestamente usata nel senso di «situazione esemplare» e quasi di idea platonica, allo stesso modo in cui, nel Corpus hermeticum, si parla di Dio come della «luce archetipica», modello di ogni altra luce. Questo modo di concepire l'archetipo non è estraneo alla formulazione che Jung, basandosi su dati clinici e culturali, ha dato di tale concetto. Se analizziamo una grande quantità di miti, favole, sogni e visioni prodotti da culture e individui lontani nel tempo e nello spazio, saremo colpiti dal ricorrere costante, pur nella infinita varietà delle determinazioni specifiche, di immagini, figure e situazioni che hanno struttura e funzione comuni. Vedremo ad esempio che certe forme geometriche — solitamente il cerchio e il quadrato — appaiono come simboli di .pienezza e totalità: riconosceremo in contesti religiosi e rituali molto diversi una figura di madre universale che è insieme benefica e temibile: constateremo dovunque, nelle mitizzazioni di vicende naturali, di dei e di eroi, situazioni di morte e di rinascita. E' relativamente facile risalire dagli innumerevoli racconti concreti, attraverso un processo di astrazione te-: matica, a un numero più ristretto di motivi, che chiameremo archetipici. Questi motivi hanno per lo più a che fare con situazioni limite dell'esistenza (nascita, morte, passaggi di età e di condizione, confronto col male e con la sofferenza) o con relazioni umane fondamentali (i genitori, i figli, il partner) e alludono con particolare pregnanza a un insieme definito di percezioni, emozioni e reazioni comportamentali. Jung sostiene che dietro queste regolarità empiriche vi sia un meccanismo ereditario, l'archetipo in senso stretto, che — al modo delle categorie kantiane — struttura i contenuti psichici dando loro una forma determinata. Il concetto di archetipo si incontra qui con quello di istinto: in entrambi i casi si può parlare di modelli potenziali di comportamento: tuttavia, quando si parla di istinto si sottolinea soprattutto la spinta all'azione, mentre quando si parla di archetipi si allude piuttosto al particolare configurarsi della percezione e della immaginazione. Al di là della formulazione della teoria generale dell'archetipo — che sembra peraltro confermata da numerose ricerche nel campo etologico e linguistico — lo studio delle immagini e situazioni archetipiche ha consentito di approfondire straordinariamente la comprensione dei problemi umani e di inquadrarli in un contesto che dà loro senso. Si vedano, in questo volume, gli scritti sull'archetipo della madre, su quello dell'Anima, sul Fanciullo, sul Briccone, sulla fenomenologia dello spirito nella fiaba, sul simbolismo del mandala. Come quasi tutti i testi junghiani, si tratta di saggi non riservati agli «addetti ai lavori», che possono interessare quanti aspirano a collocare la propria esperienza di vita in un orizzonte più vasto. La loro funzione non è solo conoscitiva ma, in senso lato, terapeutica, giacché in essi si esprime quello che per Bar è il mito stesso di Jung: l'esigenza di «dare all'uomo la sensazione di una profonda connessione e dipendenza da un tutto a lui infinitamente superiore». Augusto Romano Cari Gustav Jung, Gli archetipi e l'inconscio collettivo, Bonnghieri, 533 pagine. 50.000 lire. Da una scultura di Ceylon

Persone citate: Gustav Jung, Jung

Luoghi citati: Ceylon