Chi ha lanciato il siluro all'Europa della cultura?

 Chi ha lanciato il siluro all'Europa della cultura? STORIA D'UNA FONDAZIONE MAI NATA Chi ha lanciato il siluro all'Europa della cultura? La Fondazione europea della Cultura ha una storia strana, per certi versi inspiegabile, indubbiamente una vicenda complessa nei cui confronti ha pesato innazitutto l'atteggiamento del governo francese. Il suo Cahier de doléances inizia nel 1974, quando i Nove incaricano il primo ministro belga di redigere quello che diventerà il famoso rapporto sulla • unioneeuropea». A Tindemansoccorrerà poco meno di un anno per concludere l'indagine che i suoi colleghi accettano con grandi squilli di fanfara per chiuderla però subito in un cassetto. Qualcosa comunque si salva del capitolo quarto, dedicato alla -Europa dei cittadini* e che prevede fra l'altro la creazione di una Fondazione europea della Cultura finanziata dagli Stati, dai fondi comunitari e da donazioni private. E perché no? Dopotutto il Trattato di Roma non aveva forse gettato «le basi di un'unione sempre più stretta fra i popoli europei» aprendo la porta, con un voto unanime, a 'qualsiasi azione» volta a quel fine, come recita l'articolo 235? Adesso, quasi un quarto di secolo più. tardi, l'Europa culturale si trova ancora a zero. Eppure la Fondazione, secondo le dichiarazioni originarie di Tindemans, aveva come scopo «la promozione di tutto ciò che può concorrere ad una migliore comprensione fra i nostri popoli ponendo l'accento sui contatti umani al fine di contribuire all'espansione esterna dell'Europa». Parole e propositi che vennero poi inclusi in un documento approvato dal Consiglio europeo svoltosi a Roma nel 1977 che, a sua volta, aveva incaricato un gruppo di lavoro di stendere lo statuto della Fondazione. Che cosa succede invece? Ecco entrare in gioco la Francia. Sa che deve condurre una dura battaglia di sopravvivenza culturale: l'inglese supera di gran lunga il francese nell'impiego come lingua di lavoro internazionale, fra poco si dovranno fare i conti anche con lo spagnolo, dunque, questo il ragionamento, se la Francia soccombe dal punto di vista culturale, essa sparirà sul piano politico. Il governo è consapevole e consacra di conseguenza quasi la metà della dotazione finanziaria del Quai d'Orsay alle relazioni culturali. In questa lotta trova un atout prezioso nell'Europa comunitaria. Un'Europa degna di tale nome non può infatti che fortificare l'albero diversificato delle sue culture, un albero dove la cultura francese è presente con vivaci ramificazioni. La sua cultura supera i confini nazionali, impegna l'Europa non francofona, nella stessa Cee il francese ha un riconoscimento ufficiale in tre Stati membri. Un privilegio storico, comunque, che non deve suscitare complessi e nessuno dei partners avanza al riguardo rimproveri alla Francia. C'è infine il precedente delle funzioni svolte da Parigi quando la Comunità venne fondata e che ha assicurato ai francesi una indiscussa preminenza della sua lingua nell'amministrazione prima dei Sei, poi dei Nove ed ora dei Dieci nonostante l'avanzata costante dell 'inglese. Avendo dunque appurato la notevole sensibilità culturale delle sue aspirazioni per così dire ambientali diventa ancora più importante per la Francia che Parigi stessa diventi la sede della Fondazione. Su questo punto Giscard d'Estaing decide di battersi ottenendo soddisfazione, sembra senza eccessiva difficoltà, al Consiglio europeo di Copenhagen, l'8 aprile 1978. A suo favore hanno influito il prestigio, il carattere cosmopolita, la vocazione culturale internazionale del presidente, oltre alla circostanza che Parigi già ospita il quartiere generale dell'Unesco. In quel Consiglio si può così constatare che i Nove si trovano d'accordo su» '«insieme della struttura e del funzionamento» del futuro istituto. La città di Parigi offre per ospitarlo il palazzo di Coulages, nel vecchio quartiere del Marais, ricco di tradizioni culturali. Tutto sembra aposto. E'a questo punto che {'affaire si ingarbuglia. Le discussioni sugli ultimi paragrafi dello statuto si dilungano, giungono ad un punto morto, non progrediscono più dai primi mesi del 1979. Il Movimento europeo si mette in azione, in pochi giorni raccoglie le adesioni di una trentina di celebrità, compresi due premi Nobel, invia una serie di petizioni in alto loco. Gli si risponde -accusando ricevuta» ma con toni evasivi. Il 16 dicembre, secondo la prassi, il presidente del Consiglio comunitario ripropone l'esame, quasi in chiusura di riunione, delle questioni ancora pendenti. Quando si viene a parlare della Fondazione europea della cultura, gli sguardi dei presenti si.volgono al rappresentante francese. Questi fa scena muta. Fino ad oggi nessuno ancora è in grado di spiegare ufficialmente che cosa è accaduto. Si sa che esistono alcune riserve giuridiche, avanzate dai danesi, che si litiga su alcune frasi del documento istitutivo, che si discute della ripartizione dei seggi in seno al consiglio di amministrazione. La Francia, si stenta quasi a crederlo, vorrebbe che la Fondazione ricevesse dai soci europei soltanto una dotazione finanziaria iniziale mentre questi vorrebbero istituzionalizzare i contributi annuali. Nulla comunque di insormontabile, se si vuole trattare. Sor¬ ge il sospetto che sia proprio ciò che non si vuol fare. Si dice che le maggiori resistenze provengano da un gruppo di funzionari ferocemente anticomunitari, portavoci presso l'Eliseo delle istanze contro qualsiasi allargamento di eventuali competenze comunitarie. Eppure le questioni di principio sono superate e da due anni si è raggiunta l'intesa che la Fondazione venga creata con un accordo intergovernativo e non tramite un'estensione delle prerogative della Cee. Altra interpretazione del ritardo: si tratterebbe di un'abile battaglia tattica per guadagnare tempo tenendo in riserva la Fondazione fino al momento in cui si dovrà rinegoziare la ripartizione definitiva delle poltrone in alcune istituzioni comunitarie. Per inciso, esiste una .European Foundation for Culture», ente privato olandese con sede ad Amsterdam che collabora da tempo con gli organismi della Cee. La Francia, questo è noto da tempo, rivendica a Strasburgo l'assegnazione della sede permanente dell'europarlamento. Si vuole allora preservare la Fondazione come moneta di scambio? Se tale intenzione, criticabilissima, fosse vera, sarebbe una manovra assurda in quanto la Fondazione avrebbe un -prezzo» maggiore se fosse già installata e funzionante e non, come è in questo momento, un semplice pezzo di carta. La terza spiegazione è talmente meschina che si ha quasi vergogna nel formularla: il municipio di Parigi ha offerto la sede, un atto di generosità che nasconderebbe la vera intenzione, issare cioè l'attuale sindaco della capitale, Chirac, alla testa della Fondazione. Sarebbe una prospettiva orripilante. In sostanza, stando alla formula d'uso per tanti attentati, il siluramento della Fondazione non è stato finora rivendicato, ma è avvenuto. E allora, che fare? Se la Francia non vuole la Fondazione, che altri si facciano avanti, che Firenze, Bruges, Londra formulino proposte alternative. Sarebbe una buona lezione per una Francia ancora una volta indecisa e troppo-versatile». Maurice Delarue iiiiiiÉI fc Jacques Chirac, sindaco di Parigi: un candidato «culturale» scomodo

Persone citate: Chirac, Giscard D'estaing, Jacques Chirac, Marais, Maurice Delarue