Il medico ospedaliero? Lavora come alla catena di montaggio

Il medico ospedaliero? Lavora come alla catena di montaggio Il medico ospedaliero? Lavora come alla catena di montaggio Un giorno con primario e assistenti tra i malati del Martini Non sta filando tutto liscio tra governo e medici, come sembrava nei primi giorni della trattativa. Da oggi parte, per gli ospedalieri, lo sciopero bianco che, con la situazione degli ospedali italiani, significherà, probabilmente, la paralisi delle corsie. L'attenzione scrupolosa a mansioni e regolamenti manderà in «tilt» l'apparato sanitario. Dal canto suo il ministro Aniasi ha convocato per giovedì Lama, Camiti e Benvenuto, che in questi giorni hanno po¬ Oggi continua l'agitazione con lo sciopero bianco - «Troppe persone ricoverate, non abbiamo più letti e il pronto soccorso è stracolmo» - Molti gli anziani «scaricati» dalle famiglie «Ma questi medici che cosa vogliono? Prima protestano quelli delle Saub poi quelli dell'ospedale. Volevano più soldi, li hanno avuti, no?». E lo sfogo continua, lungo e sincero, al telefono della redazione. E non è l'unico. Ma questi medici che cosa vogliono? Ce lo chiediamo a «Medicina Uno» del Martini di via Tofane, mentre primario, aiuto ed assistenti stanno preparandosi per le visite al reparto femminile. Andiamo con loro, alla scoperta di «quel che fa» il medico in ospedale e del «perché» in ospedale vuol vivere sempre meno. Il corteo avanza lentamente. Nel primo letto una set¬ lemizzato con la categoria che s'è rivelata più battagliera del solito, per spiegare loro che, in sostanza, non è tutto oro quel che luccica e che le concessioni fatte ai generici non sono così clamorose come è stato detto. Gli ospedalieri saranno ricevuti, invece, venerdì, mentre i medici di base annunciano perentori che se verrà modificato, di una sola virgola, l'accordo fatto, si tornerà a far pagare le visite. tantenne, mucchietto d'ossa, con lo sguardo spento. Il prof. Triolo la visita, con gesti delicati. Alla fine una carezza sulla testa e l'attenzione già rivolta ad altre malate. «Primo problema — dice, una volta uscito dalla stanza — quella poveretta ha ormai poche settimane di vita e una diagnosi che non lascia speranza: leucemia. Le cure per lenire la sofferenza le potrebbero prestare anche i familiari. Ma si preferisce scaricare la persona scomoda». A mano a mano che il «corteo» avanza si ripete il rituale: dièci minuti circa, per ogni visita e molti letti occupati da anziane che, a detta Arriva una madre con un bimbo di sette anni: è caduto, si è fatto male al gomito ed ora deve essere ingessato. La dottoressa Angela Remerò lo anestetizza; mentre il piccino sta per addormentarsi lo coccola con frasi rassicuranti: «Faremo presto, tu sei in gamba, non hai paura, si vede». Ma ecco l'imprevisto: il bimbo ha fatto un'abbondante colazione, non ancora digerita. Sotto anestesia incomincia a vomitare, rendendo difficilissimo il compito di somministrargli l'ossigeno. E si devono fare i conti con lo spazio ristretto, una stanzetta indegna di un pronto soccorso, divisa a metà da un paravento al di là del quale altri medici stanno tentando di risolvere il caso del vecchietto di San Bartolomeo al Mare. Con gesti rapidi e sicuri al piccolo anestetizzato si torna a dare ossigeno e i colori ricompaiono sulle guance. In tutto mezz'ora di frenetico lavoro, con i parenti in piedi in corridoio e i malati un po' dappertutto. Ma che cosa vogliono «questi» medici? Forse non soltanto lire, forse la possibilità di lavorare senza avere l'impressione di essere ad una catena di montaggio dove i «pezzi» potremmo essere, un giorno, anche noi. Daniela Daniele del primario e dei suoi assistenti, potrebbero essere curate a casa, attorniate dall'affetto di una famiglia. Ad ogni letto un breve consulto, qualche battuta con la paziente che, per una domanda che «osa» rivolgere al medico, ne reprime altre cento. Retaggio di tempi passati e di costumi che, nella maggior parte dei casi, sono ormai stati abbandonati. I «baroni», si dice, non abitano più in ospedale. La mattinata scorre lenta e le visite «sembrano» tutte uguali. E' il primario che guarda le pazienti: l'aiuto si limita a seguirlo e così pure fanno gli assistenti. «Non sono d'accordo con questo modo di procedere — ha detto un noto primario delle Molinette che preferisce non essere menzionato — Secondo me il primario deve essere un supervisore, attento al proprio aggiornamento scientifico e l'aiuto dovrebbe invece avere un rapporto più diretto con i pazienti». «Ma i medici che lavorano con me — dice Triolo — non mi contestano, magari si discute, ma sempre in termini di stima reciproca». Arriva un'infermiera. Giù, al pronto soccorso c'è un vecchietto di San Bartolomeo al Mare, mandato dal Comune di Collegno. Dev'essere ricoverato. «Non ci sono letti — tuona il primario, — dove lo mettiamo? Non possiamo costringere la gente a dimettersi, per far posto». Quasi contemporaneamente un altro medico annuncia che ci sono altre persone che richiedono un ricovero urgente. «Ma non sanno che non abbiamo più letti? Basta andare a vedere in pronto soccorso». Ci andiamo. E il ritmo lento e rituale del reparto appena lasciato, cede il posto al frenetico lavoro dei medici, tanti, degli infermieri, nessuno seduto. I malati parcheggiati su barelle in corridoio. Tutti in attesa di ricovero: sono almeno quindici.

Persone citate: Angela Remerò, Aniasi, Daniela Daniele, Lama, Triolo

Luoghi citati: Comune Di Collegno, San Bartolomeo Al Mare