Marilyn, una verità in più

Marilyn, una verità in più LA MORTE DEL PADRE RIVELA NUOVI PARTICOLARI SULL'ATTRICE Marilyn, una verità in più Martin Mortensen, stroncato da un attacco cardiaco a 85 anni, conservava il certificato di nascita della piccola Norma Jean e quello di nozze con la signorina Baker - Come gli uffici stampa di Hollywood hanno fabbricato la figura della bambina abbandonata e «figlia illegittima» - La realtà delle persone e i mass-media «Se la gente scrivesse da sé le proprie interviste, intendo sia domande che risposte, il mondo apparirebbe diverso. Sarebbe più autentico, più simpatico. Un'intervista non può risultare migliore del giornalista che la fa», disse H. J. Lembourn, scrittore danese in visita a New York per offrire un soggetto cinematografico all'attenzione di Marilyn Monroe. • E' proprio cosi», rispose Marilyn, girando nervosamente fra le dita un bicchiere di gin-tonic, «scrivono sempre di me, ma sempre cose sbagliate. E' forse colpa mia, che non sono capace di spiegare le cose come erano veramente?». Il dialogo è stato riportato fedelmente dallo stesso Lembourn che (pari in pudore soltanto all'Oriana Fallaci) sul suo brevissimo amore con Marilyn ha scritto subito un libro (Quaranta giorni con Marilyn, edizione Sonzogno). Il libro è andato a sovrapporsi a decine di saggi, articoli, best-seller, documenti, tesi di laurea, rivelazioni, che avevano per oggetto lei: Marilyn. Da quando nel 1948 ha interpretato il suo primo film (una piccola parte in Scudda Hoo! Scudda HayU a quando, nel 1962, è stata trovata morta nel suo letto per overdose di barbiturici, Marilyn è stata decretata sexsymbol: la morbida dorata e curvilinea piccola bionda, capace di ammiccare e sospirare, muovendosi in una scia di desideri. Poi è diventata qualcosa di più (capita abbastanza spesso quando si ha la forza di mettere fine con la morte alle proiezioni che gli altri fanno su di te): un mito. La sua vita è stata letta come una metafora. Declamata come un apologo. Sunteggiata come un romanzo sceneggiato. Indagata come un verbale di polizia. Ipostatizzata come un modello. Perfino cantata come un'opera (la Marilyn del talentoso giovane musicista torinese Lorenzo Ferrerò). Sulla morte si è addirittura innestato un filone di spionaggio: l'ha o non l'ha fatta fuori la da perché aveva rapito il cuore al Presidente? (Se fossero già stati i tempi di Ronald Reagan, la cosa avrebbe fatto meno scandalo: beghe fra colleghi nel megagalattico set White House-Hollywood Boulevard). Pochi giorni fa, l'affare Monroe è stato riaperto a cagione di un'altra morte, all'apparenza assai banale. Quella del signor Martin Edward Mortensen,- di anni ottantacinque, dovuta ad attacco cardiaco. Il fatto è che l'anziano cittadino americano teneva, fra le sue cose, il certificato di nascita della piccola Norma Jean Mortensen (in arte Marilyn Monroe), datato 1" giugno 1926 e il certificato delle sue nozze con la signorina Baker, datato 1924. Gladys Mortensen Baker è, appunto, la madre di Marilyn, quella a cui, negli anni d'oro, Marilyn non dimenticava mai di portare cioccolatini e fiori in manicomio e che in manicomio si trova tuttora. La scoperta che il cardiopatico mister Mortensen non si vantava invano quando diceva «quella 11 che ha fatto girare la testa a mezzi Stati Uniti è mia figlia», ha gettato gli ingenui americani nello sconforto. «Dunque Marilyn non è figlia illegltlma!», hanno detto: «Il padre ce l'aveva, regolarmente coniugato e anche una brava persona, magari. Uno che. tutto sommato, è morto vecchio nel suo letto. Il che è sempre indice di buoni costumi. Bella porcheria! ». Per capire dov'è la porcheria bisogna andare a vedere che cosa avevano organizzato gli addetti Stampa e Propaganda della 20th Century Fox per vendere al meglio la bella Norma Jean. Marilyn era una bambina abbandonata, senza papà e con la mamma matta (schizofrenia paranoide, per la precisione). La sua bellezza e la generosità dei suoi sforzi ebbero ragione dell'avverso destino, come insegna la vecchia fiaba americana del •selfmade man» e della *self-madestar». Ma rimase un'ombra, sempre, nel suo splendore: Marilyn era bella ma era ignorante. Marilyn era bionda e deliziosamente scema. Un giorno disse che avrebbe voluto interpretare la parte della Grushenka dei Fratelli Karamazov e Bìlly Wilder le rispose, ridendo con divertito cinismo: «Io ti dirigerei volentieri in una serie sui Fratelli Karamazov. Cose come "I Karamazov brothers incontrano Abbott e Costello" eccetera eccetera». Marilyn era bella, dunque, ma soffriva di un indelebile complesso di inferiorità nei confronti di quella 'high society» in cui sarebbe stata sempre una «venuta dal basso». Un operatore de" : 20th Century Fox disse, con notevole acume, che era proprio questo cocktail di inferiorità e bellezza naturale che rendeva Marilyn la donna più amabile del mondo. Quella che tutti avrebbero voluto amare. Cioè la donna-donna. Un modello che, per intenderci, va da Cenerentola alla «Bella Violetera» del Pigmalione; e risponde ad un requisito fondamentale del sogno maschile: la donna perfettamente bella ma imperfetta quanto basta per essere, ipoteticamente, posseduta. Il desiderabile oggetto. Volete che una riflessione a cui era arrivato un modesto cameraman non fosse stata fatta dai potenti industriali dell'immagine dei grandi Studio's cinematografici? Costruirono Marilyn ad uso e consumo di chi se ne voleva innamorare. Ad ognuno dei suoi eccellenti attributi fisici fu accoppiata una disgrazia: capelli biondi e matrimoni falliti, due fianchi stupendi e due aborti spontanei, una bocca sensuale e una madre pazza, due splendide natiche e uno statuto sociale di «bastarda». Lee Strasberg, direttore artistico dell'Actor's Studio, pronunciando un discorso davanti alla bara di Marilyn il giorno del suo funerale, la definì «una povera ragazza con un'infanzia di privazioni da dimenticare». E cosi la raccontò Mark Harris nel suo saggio «One American Woman»: «... a due anni un vicino di casa in crisi di isteria tentò di soffocarla... aveva soltanto sei anni quando un amico di famiglia la stuprò quasi... a nove anni, lavorando nella dispensa dell'orfanotrofio che la ospitava, guadagnò un nickel: una parte la mise nella cassetta delle elemosine in chiesa, l'altra la usò per comprarsi un nastro colorato per i biondi capelli». C'è di che commuovere i cuori più duri. Ma c'era bisogno di tutto questo? La forza dei mezzi di comunicazione di massa è tale, siamo cosi abituati a ingurgitare i loro commenti e le loro interpretazioni e la loro informazione, che la realtà dei giornali e della televisione è ormai più reale della realtà. Fu Marilyn stessa a dire: •Mia madre è crollata per la vergogna di essere stata abbandonata da mio padre e che io sia nata dopo la sua sparizione». Ci credeva anche lei, evidentemente, all'immagine che le avevano sovrapposto. E adesso che papà Monroe è saltato fuori, i Monroefans riuniti in club, conventicole e scuole, visto che sulla Monroe tutto è già stato detto e che i presenti Anni 80 scarseggiano un po'di figure carismatiche, forse, a tempo perso e lentamente, inìzieranno l'opera di distruzione deimito. Verrà fuori che la bella e povera Norma Jean era figlia di un ragioniere e di una dattilografa, che era lesbica e lece carriera grazie ad una relazione con Betty Grable, o che aveva due figli in collegio a Philadelfia. Nemmeno in quest'ultima ipotesi chi l'ha amata cesserebbe di amarla. Perché, come disse lei stessa nel corso di una delle sue tremila interviste: «Si arriva sempre all'inconscio della gente», e lei c'era arrivata. ...Ma lo disse davvero? ...Un giorno un funzionario della 20th Century Fox, Ufficio Stampa e Propaganda, prese un lapis e scrisse, su un foglio di carta protocollo: «Scrivono sempre di me, ma scrivono sempre cose sbagliate. E' forse colpa mia. che non sono capace di spiegare le cose come erano veramente?»... Lidia Ravera Marilyn Monroe, personaggio costruito per rispondere alle esigenze del «sogno maschile»

Luoghi citati: Hollywood, New York, Stati Uniti