L'altra Cina? Eppur si muove

L'altra Cina? Eppur si muove CHE COSA ACCADE NELLA PICCOLA TAIWAN DOPO IL DISCONOSCIMENTO DEGLI STATI UNITI L'altra Cina? Eppur si muove Sono circa 18 milioni i cinesi dell'altra Cina, quella isolana di Taiwan: loro si considerano 1' unica • Repubblica cinese» il cui obiettivo supremo è (o almeno era fino a pochi mesi fa) riconquistare la «madre patria» caduta in mano ai comunisti di Mao Tse-tung. SI, possiamo scrìverlo cosi, non Mao Zedong come sarebbe corretto fare se si parlasse sempre delio stesso personaggio ma nel contesto della Repubblica popolare cinese, quella che conta, uomo più uomo meno, un miliardo di abitanti. Infatti a Taiwan non è stata adottata la trascrizione fonetica. •Pinyin», non si usano caratteri abbreviati, i giornali si scrivono ancora per linee verticali, non orizzontali, i libri si pubblicano ancora come una volta, cioè quella che per noi (e adesso anche nella Cina popolare) è l'ultima, pagina, per loro è la prima. E' una questione di attaccamento alla tradizione con risvolti ideologici conservatori; non basta: Pechino, che in Cina è chiamata Beijing, cioè capitale settentrionale, a Taiwan è ancora chiamata con il vecchio nome di Pei Ping, che significa «pace settentrionale»: e i comunisti sono sempre immancabilmente definiti » banditi rossi». Pino al 1971. questa «ptecola Cina», in cui regnava Cliiang Kai-shek. costretto ad abbandonare 11 continente dai »banditi rossi» nel 1949. rappresentava tutta la Cina alle Nazioni Unite. Nella votazione del 25 novembre Taiwan venne espulsa e i diplomatici di Pechino entrarono nel Palazzo di vetro di New York. Ma ancora i na¬ zionalisti del Kuomintang, il partito unico che detiene il potere a Taiwan, avevano qualche speranza di riconquistare il grande paese che avevano perso. Oli Stati Uniti riconoscevano ufficialmente Taiwan, non la Cina Popolare, e — inoltre — un trattato di mutua difesa stipulato con l'America all'epoca della guerra di Corea, garantiva l'isola da un eventuale, ma improbabile, attacco di Pechino. Perché, logicamente, 11 governo di Pechino voleva e vuole liberare Taiwan, proprio come Taiwan voleva, e ora non vuole (perché non può più), liberare tutta la Cina. Folla inferocita Non può più perché il riconoscimento ufficiale del governo di Pechino da parte americana, sanzionato nel 1979 ma già nell'aria da quando Nixon fece il suo primo tour cinese nel 1972, ha comportato la rottura delle relazioni diplomatiche tra Taiwan e Stati Uniti e ora la Cina isolana ha relazioni ufficiali con soltanto ventuno paesi, per la maggior parte repubbliche sudamericane o . del Caraibi. E inoltre il trattato di mutua difesa, in seguito al disconoscimento americano di Taiwan, è venuto a scadere il primo gennaio del 1980. Quando, a fine dicembre 1979, una delegazione americana si recò a Taiwan per discutere sul futuro dei rapporti tra i due paesi, fu accolta da una folla di migliaia di persone inferocite con lancio di sassi e uova marce. Rabbia, delusione, convinzione di esser stati traditi, durarono soltanto però qualche mese, il tempo sufficiente per permettere al governo di colpire violentemente i maggiori esponenti di una opposizione moderata democratica che negli ultimi anni avevano trovato credito e sostegno tra la classe media urbana. Per prima cosa vennero sospese usine die» le elezioni fissate per il 23 dicembre del 1979 (Carter aveva annunciato il «disconoscimento» il 15 dicembre) e venne bruscamente interrotta la campagna elettorale che si svolgeva con più vivacità del solito. L'opposizione democratica che si era andata formando negli Anni Settanta aveva infatti rifiutato di entrare nelle liste dei due partiti-fantoccio sovvenzionati dal Kuomintang, il partito della ••Giovane Cina» (ne è presidente Li Huan. 86 anni) e il partito socialdemocratico, che conta meno di tremila iscritti. Gli oppositori si erano presentati come gruppo compatto chiedendo l'abolizione della legge marziale (in vigore da sempre), della censura, e proponendo una sostanziale revisione della Costituzione. Poi seguirono gli arresti: le prime vittime furono Yu Teng-fa, un magistrato di 75 anni e suo figlio Yu Jui-hen, accusati di diffondere -propaganda comunista» e di aver avuto contatti con una spia comunista, un certo Wu Chung-fa. Un anno prima che Pechino celebrasse il suo processo contro la »banda dei quattro», a Taipei, la capitale della Cina isolana, si celebrava il processo contro un altra banda detta «dei tredici». Gli oppositori Pare infatti che Wu Chung-fa avesse organizzato un piccolo gruppo di oppositori chiamato ^comitato rivoluzionario della libera repubblica di Taiwan». E' stato condannato a morte, sentenza immediatamente eseguita senza sospensione della pena: i suoi dodici compagni stanno scontando pene varianti dai venti anni all'ergastolo. L'ultima mossa fu sospendere le pubblicazioni della opposizione e arrestare i direttori responsabili. Insomma, gli Stati Uniti, chiudendo con Taiwan, hanno dapprima innescato un estremo processo di autodifesa della gerontocrazia emigrata nell'isola nel 1949, in pratica colonizzata da un milione di cinesi continentali che vi approdarono più di trent'anni fa al seguito di Chiang Kai-shek per sfuggire ai sbanditi rossi». Ma subito dopo lo shock da abbandono provocato dal riconoscimento americano della Cina popolare, la nuova generazione di manager e politici, nati a Taiwan o che vi erano giunti ancora bambini, ha preso in mano le redini della situazione ottenendo risultati Inaspettati. Di fronte alla prospettiva di un virtuale isolamento. Taiwan ha forr giato una forma inedita di diplomazia non ufficiale instaurando, tramite scambi commerciali e contatti culturali, una catena di relazioni bilaterali con quasi tutti i paesi del mondo al punto che si può dire che oggi «l'altra Cina» si trova in posizione di vantaggio, in campo internazionale, rispetto all'epoca in cui faceva prevalentemente conto sullo scudo degli Stati Uniti. Oggi, anche se Taiwan ha relazioni diplomatiche ufficiali con soltanto 21 Stati, mantiene legami commerciali e culturali diretti con altri 146 paesi e i giovani funzionari del Kuomintang vorrebbero rafforzare questi legami anche se dubitano di poter ottenere riconoscimenti diplomatici ufficiali. Nessun paese infatti sarebbe disposto a rompere con la grande Cina, in favore della piccola Taiwan. Ma il commercio ha delle sue ragioni, e se Taiwan continua a comportarsi con saggezza, cioè senza contrapporsi al gigante con il quale ha legami di «carne e sangue» (come dicono i cinesi, sia quelli della piccola che della grande Cina) può contare su successi significativi, non soltanto per uscire dall'isolamento ma anche per giocare un ruolo non del tutto trascurabile in campo internazionale. Lo scorso novembre il go¬ verno olandese ha rotto il ghiaccio concludendo con Taiwan un affare di 500 milioni di dollari per la vendita di due sottomarini e per un impianto di energia nucleare. Taiwan, che dedica 11 40 per cento del suo bilancio alle spese per la difesa, ha bisogno di chi le fornisca armi. Gli Stati Uniti sono piuttosto riluttanti (hanno rifiutato di vendere gli F.16 ma c'è chi spera in Reagan); Israele è ben disposta e anche il Sud Africa, ma finora i paesi europei, contattati non ufficialmente dai funzionari di Taiwan, si sono dimostrati evasivi. Cercano armi Dopo la decisione olandese, a Taiwan si spera in un ripensamento dei paesi aderenti alla Comunità economica europea che registra un deficit annuale di un mi-' liardo di dollari nel suo commercio con Taiwan: le armi sono una delle merci che l'Europa potrebbe fornire a Taiwan. Anche all'interno la situazione registra qualche mutamento: le elezioni rimandate all'indomani del disconoscimento americano si sono tenute il 6 dicembre scorso. Il Kuomintang ha riportato una vittoria schiacciante, come era prevedibile, ma non si sono registrati scandali clamorosi di brogli paragonabili a quelli denunciati dall'opposizione nel 1977. E' risultata eletta all'as¬ semblea legislativa una donna, la signora Chou Chingyu. presentatasi come indipendente. Il fatto ha destato scalpore perché la signora Chou è moglie di un giornalista dissidente, Yao Chla-wen. che sta scontando una condanna a venti anni per aver organizzato nel 1978 una manifestazione per i diritti civili, reato che a Taiwan è considerato di «alto tradimento» e per il quale è prevista la pena di morte. La signora Chou è stata eletta, anche se a lei e a altre mogli di dissidenti politici imprigionati presentatesi come candidate era stato imposto di non menzionare durante la campagna elettorale i procedimenti cui erano stati sottoposti i mariti, pena la cancellazione dalle Kste. Inoltre, a tutti i candidati indipendenti era stata consegnata una lunga lista di argomenti da non sollevare in pubblico che praticamente copriva tutte le questioni di maggiore interesse. Un black-out politico totale. Il fatto che la signora Chou sia stata ugualmente eletta significa che a Taiwan, nonostante tutto, si va formando un'opinione pubblica democratica che ha i suoi canali di informazione. Suona tuttavia abbastanza ipocrita la recente trionfalistica affermazione del 'Quotidiano della Cina» di Taipei: «Ci teniamo a sottolineare che proprio mentre qui da noi si è svolta una viva, sana, libera, animata campagna elettorale, sul continente il regime comunista è impegnato in un orripilante processo contro una delle cricche dei suoi ex dirigenti». Renata Plsu